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Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

22/03/23 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Nella serata del 21 marzo è stato approvato alla Camera, dopo il via libera al Senato dello scorso 8 marzo, il Disegno di Legge Delega in materia di politiche in favore delle persone anziane.

Si tratta di un traguardo molto importante, fortemente voluto dalle 57 organizzazioni (tra cui Percorsi di secondo welfare) che costituiscono il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. Prima, queste realtà hanno lavorato insieme in questi ultimi due anni affinché, prima, la riforma dell’assistenza agli anziani venisse inserita nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR). Poi, si sono impegnate affinché venissero accolte dal Governo e dai Ministeri di riferimento le proposte volte a delineare una buona riforma per i milioni di italiani toccati a vario titolo dalla sfida dell’invecchiamento demografico.

Il testo ha accolto al suo interno numerose proposte “originali” del Patto e anche alcuni successivi emendamenti inviati alla Commissione Affari Sociali del Senato nel mese di febbraio. Vediamo quindi più nel dettaglio i contenuti della Legge Delega approvata, che è strutturata in 3 Capi e 9 articoli.

Principi, governance e programmazione

All’interno del Capo 1 dedicato ai principi generali e al sistema di coordinamento e programmazione interministeriale. Nello specifico l’articolo 1 fornisce le definizioni dei di Livelli essenziali delle prestazioni (LEPS), Livelli essenziali di assistenza (LEA), Ambiti territoriali sociali (ATS), Punti unici di accesso (PUA), i Piani individualizzati di assistenza integrata (PAI) e caregiver familiari rimandando per ognuno alla normativa di riferimento. L’articolo 2 definisce i principi generali (come riportati nella tabella 1) e prevede l’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (CIPE).

(…)

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

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Rapporto “Ospedali&Salute”, il Ssn soffre ancora del long covid

21/03/23 - Redazione

Roma, marzo 2023 – Lo scorso 8 marzo Aiop, Associazione italiana ospedalità privata, ha presentato al Senato il 20° Rapporto sull’attività ospedaliera in Italia “Ospedali&Salute“, realizzato in collaborazione con Ermeneia – Studi & strategie di sistema. Attraverso un’analisi dei servizi sanitari, dell’evoluzione del settore, dei costi, delle difficoltà di accesso e della qualità percepita dai cittadini, è stato preso in considerazione il triennio di pandemia: dalla fase dell’emergenza straordinaria nel 2020 a quella proattiva del 2021, caratterizzata dal programma di vaccinazione, ma anche dal blocco e dal differimento delle prestazioni, per finire con il 2022, anno durante il quale ci si è trovati ad affrontare il fenomeno di servizi non erogati o procrastinati. «Il Ssn soffre ancora del long covid – ha detto Barbara Cittadini, presidente nazionale Aiop – I dati parlano chiaro: a due anni dalla pandemia non solo non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica più acuta, ma i volumi di attività e la qualità delle cure non sono tornati ai livelli pre-Covid né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti». Il riferimento è a una situazione che nel Rapporto appare fotografata nei dettagli: «Le forze centrifughe dal Ssn sono sempre più evidenti – ha proseguito – con sempre più utenti che, per ovviare alle liste d’attesa, si trovano costretti, se possono, a pagare le prestazioni o, in caso di indisponibilità economica, a rinunciare alle cure».

La ricerca è uno strumento di monitoraggio e valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema ospedaliero italiano, nelle sue componenti di diritto pubblico e di diritto privato del Servizio sanitario nazionale e coniuga i dati oggettivi dei flussi informativi correnti con i dati “soggettivi” ricavati da un’indagine annuale sull’esperienza dei pazienti. «Vogliamo riportare l’interesse del malato al centro del dibattito sulla sanità pubblica, troppo spesso orientato da visioni parziali, che prescindono dai principi di realtà – ha evidenziato Cittadini – la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil continua a restare fortemente al di sotto della media dei Paesi Ocse e G7 e si continua a paralizzare l’erogazione di servizi alla salute, attraverso il meccanismo dei tetti di spesa, imponendo alle Regioni un limite massimo all’acquisto di prestazioni presso il privato accreditato e sacrificando i bisogni assistenziali dei pazienti sull’altare di una illogica predilezione per la proprietà pubblica degli asset». La presidente Aiop ha ricordato inoltre che «ancora una volta, i dati parlano chiaro: le dinamiche “conflittuali” tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del Ssn non interessano ai malati. L’interesse del paziente è quello di ricevere le cure migliori dal punto di vista dell’efficacia, appropriatezza e sicurezza e non, certamente, la natura giuridica dell’ospedale che le eroga. I malati desiderano, solamente, essere curati. È necessario comprendere che ogni euro impiegato in sanità è un investimento per il progresso del Paese – ha concluso Cittadini – e che è indispensabile procedere a un’alleanza di sistema, basata su un approccio collaborativo e competitivo tra la componente di diritto pubblico e la componente di diritto privato del Ssn preservando e aumentando gli ambiti di tutela, superando i condizionamenti ideologici, che, fino ad ora, hanno relegato la componente di diritto privato a un ruolo vicario e agendo attraverso una differente allocazione delle risorse alle strutture che assicurano prestazioni qualitativamente migliori e una gestione più efficiente».

Per il ministro della Salute, Orazio Schillaci, «la doppia anima del nostro sistema ospedaliero, pubblico e privato, può rappresentare la chiave di volta per risolvere alcune criticità esistenti e superare le inaccettabili disuguaglianze che tuttora persistono a livello territoriale. Dobbiamo implementare e allargare l’offerta, anche creando un sistema virtuoso tra pubblico e privato che possa garantire una presa in carico globale e appropriata delle esigenze di prevenzione, cura e assistenza di tutti i cittadini. Considero prioritario rispondere in modo tempestivo e adeguato alle esigenze di tutti coloro che sono rimasti indietro in questi anni, penso in particolare agli screening oncologici, ai ricoveri e agli interventi rimandati o sospesi soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria». In tal senso il ministro commenta i risultati presentati nella giornata: «L’edizione 2022 del Rapporto Aiop restituisce una nitida fotografia degli ultimi anni caratterizzati dalla pandemia di Covid-19. Una novità rilevante è rappresentata dall’approvazione dell’emendamento al decreto Milleproroghe che, oltre a permettere di continuare a utilizzare i fondi resi disponibili con la legge di Bilancio 2022, dà alle Regioni la facoltà di avvalersi di una quota dello 0,3% del fondo sanitario per incrementare l’offerta di prestazioni in convenzione con le strutture private accreditate. In tema di risorse destinate al Ssn – conclude Schillaci – abbiamo voluto dare un segnale di cambiamento, siamo arrivati a oltre 128 miliardi di euro per il fondo sanitario nazionale 2022 e aumentato le risorse del fondo per il triennio 2023-2025».

«Il Rapporto fotografa una situazione che ormai era chiara da molto, purtroppo le cifre sono drammatiche ed è necessario invertire la rotta – ha sottolineato Ugo Cappellacci, presidente della Commissione Affari sociali della Camera – La spesa sanitaria deve necessariamente diventare un investimento, passando dal concetto di prodotto interno lordo a quello di benessere interno lordo e comprendendo che in sanità spendere meno prima significa spendere di più dopo. I limiti riscontrati dal Servizio sanitario nazionale durante la pandemia si possono recuperare solo tramite un’integrazione vera tra pubblico e privato. Dobbiamo quindi intervenire sul tema dei tetti per arrivare a recuperare i ritardi che rischiano di mettere in ginocchio il Paese. Rompiamo assieme questo tetto». Davide Faraone (Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera) ha ricordato che «il Ssn è in gravissima crisi e il Covid ha peggiorato tale situazione. Il contributo del privato, dunque, è fondamentale per supportare il sistema e recuperare tutto ciò che è rimasto arretrato. Occorre però investire, stanziando risorse per almeno 10 miliardi di euro, di cui almeno 8 per il privato accreditato, e intervenire con nuove assunzioni. È necessario superare gli steccati ideologici: pubblico e privato stanno seguendo la stessa identica missione ed è arrivato il momento di riconoscerlo».

Per Domenico Mantoan, direttore generale Agenas, «il sistema pubblico è ingolfato e non riesce a utilizzare le risorse anche aggiuntive che gli sono, di volta in volta, assegnate. Il comparto privato è l’unico settore al quale sono rimasti applicati i tetti di spesa. Siamo in una condizione in cui i 300 milioni riconosciuti alle strutture di diritto pubblico per smaltire le liste d’attesa non sono stati utilizzati e in cui il privato accreditato è volutamente limitato nella sua capacità produttiva. Nel nostro Paese lo Stato deve incarnare il ruolo costituzionalmente previsto di soggetto regolatore: questo significa interpretare i bisogni in maniera flessibile, senza restare ancorati a norme – come il Dl 95 – introdotte 10 anni fa e mai aggiornate; significa rendere effettivo il ruolo di valutazione a livello centrale per monitorare più accuratamente l’efficienza delle strutture pubbliche che – dobbiamo dirlo – viaggiano a piè di lista e orientare verso una programmazione libera di dare di più a chi garantisce una qualità maggiore al minor costo». Secondo Tonino Aceti, presidente Salutequità, «Esiste un problema serio rispetto alle liste d’attesa e alla rinuncia alle cure a cui si somma il pregresso derivante dal Covid. Rispetto alla rinuncia alle cure abbiamo tassi raddoppiati rispetto al pre-Covid: in Sardegna – la Regione con la minore proporzione di privati accreditati – è quella con la percentuale maggiore, pari al 18%. Parallelamente il sistema di misurazione istituzionale ai fini Lea è profondamente carente nel misurare il fenomeno delle lista d’attesa: solo un indicatore dovrebbe catturare la capacità delle Regioni di rispondere tempestivamente ai bisogni di cura. Sull’intramoenia ancora cinque regioni non hanno istituito le relative commissioni di controllo e a fronte di un sistema che fa acqua da tutte le parti abbiamo, quindi, canali di accesso non controllato solo per chi se lo può permettere. Chi non ha disponibilità economica rinuncia alle cure e stiamo dinnanzi a un diffuso fenomeno di progressivo aggravamento delle condizioni di salute e al proliferare di casi che arrivano in ospedale quando ormai la patologia è complessa e a uno stadio avanzato».

La giornata ha previsto inoltre gli interventi del sottosegretario al ministero della Salute, Marcello Gemmato, e di Francesco Zaffini, presidente della Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato. Nadio Delai, presidente Ermeneia, e Gabriele Pelissero, vicepresidente Aiop, hanno inoltre preso parte alla tavola rotonda insieme
Mantoan e Aceti. Le conclusioni dell’evento sono state affidate al vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri. «Senza l’ospedalità privata non ci sarebbe il servizio pubblico – ha affermato – faccio parte culturalmente di un’area politica che crede nel ruolo dell’ospedalità privata nel concorso al servizio pubblico. Il monitoraggio e il controllo della corretta spesa delle risorse è imprescindibile per lo Stato. Oggi, però, devo esprimere gratitudine per il contributo fondamentale che il privato accreditato dà al Ssn».

“Ospedali&Salute” in sintesi

Accompagnando da 20 anni la vita del Ssn, il Rapporto si concentra dunque su una realtà dalla natura mista, che si esprime in una componente di diritto pubblico e in una componente di diritto privato. Doppia anche la prospettiva di analisi adottata, che tiene conto sia del punto di vista della domanda (cioè degli utenti e dei loro bisogni di cura) sia del punto di vista dell’offerta (cioè della “macchina” sanitaria e della sua evoluzione nel tempo). L’edizione 2022 descrive un inedito periodo di tempo, i cui riflessi, più o meno diretti, sono destinati a prodursi ancora a lungo: la fase dell’emergenza straordinaria, fronteggiata nel 2020; quella proattiva del 2021, caratterizzata dal vasto programma di vaccinazione ma, anche, dal blocco e dal differimento delle prestazioni; infine, quella del 2022, nel quale ci si è trovati ad affrontare un grave fenomeno di prestazioni non erogate o procrastinate. Come mostra il volume, che cita dati provenienti dal ministero e da altre fonti, la doppia anima del sistema ospedaliero italiano si manifesta innanzitutto nella distribuzione dei posti letto accreditati – 70% nella componente di diritto pubblico e 30% nella componente di diritto privato – nonché in una sostanzialmente analoga articolazione delle giornate di degenza erogate. Tale situazione non trova però riscontro nella distribuzione della spesa pubblica ospedaliera, destinata per l’88% alle strutture pubbliche e solo per il 12% a quelle private accreditate.
La sproporzione tra apporto fornito in termini di tutela della salute e sostegno pubblico del relativo apporto è tanto più evidente se si considera che, nel 2020, la complessità media delle prestazioni erogate (espressa dall’indice di peso medio) è pari a 1,35 nella componente di diritto pubblico e a 1,42 in quella di diritto privato e che le prestazioni di alta complessità rappresentano, rispettivamente, il 19,6% e il 26,2% del totale tra le strutture dell’intero Ssn nella sua duplice natura. Quanto alla qualità delle cure, le strutture di diritto privato erogano prestazioni mediamente migliori o non diverse da quelle di diritto pubblico in 27 dei 28 indicatori di esito considerati. Si tratta di un risultato perfettamente in linea con quanto già documentato nel Rapporto sulla Qualità degli outcome clinici negli ospedali italiani elaborato da Agenas e Aiop che, sempre attraverso una valutazione comparativa delle due componenti, rileva in quella di diritto privato una maggiore conformità agli standard di qualità, efficacia, appropriatezza e sicurezza.

In secondo luogo, il riferimento al long covid è dato dal fatto che, dal punto di vista dell’offerta, non solo nel 2021 non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica più acuta, ma – nonostante una ripresa rispetto al 2020 – si rileva che i volumi di attività non sono tornati ai livelli pre-pandemici né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti. In particolare, il volume di ricoveri urgenti non ha subìto sostanziali variazioni tra il 2020 e il 2021, confermando così una differenza percentuale del -13% rispetto al periodo pre-pandemico: circa 900 mila ospedalizzazioni “perse” sia nel 2020 sia nel 2021. Il numero di ospedalizzazioni urgenti, inoltre, resta sovrapponibile nel biennio anche nell’ambito delle stese aree territoriali (nord, centro e sud); viene quindi confermata una contrazione soprattutto nel sud e nelle isole, comparativamente meno investiti dall’urto pandemico e dal conseguente sforzo di recupero. Per quanto riguarda, invece, i ricoveri programmati, si assiste a una ripresa dell’attività elettiva, pur restando un significativo scostamento (-16%) dalla situazione del 2019. In questo caso, è più che evidente come il sistema fatichi a tornare sui livelli pre-pandemici, con quanto ne consegue anche in termini di non riuscito recupero delle prestazioni mancate nel 2020. Per quanto attiene le prestazioni di specialistica ambulatoriale, i volumi di attività restano fortemente al di sotto dei valori pre-Covid, con variazioni 2019-2021 che raggiungono scarti anche del -70% (Basilicata) e del -46% (P.A. di Bolzano). Differenze negative si registrano anche nel 2022, a conferma di un perdurante long covid del Ssn.
Il fenomeno dei tempi di attesa anomali – che già era una criticità rilevata nel nostro Ssn– si incrementa ulteriormente: ai ritardi “ordinari” pre-pandemici, si aggiungono quelli “straordinari” del 2020 e quelli provocati da un urto pandemico che stenta a esaurirsi. Se possiamo definire fisiologici i blocchi e rimandi del 2020 – nella misura in cui il sistema si è concentrato nella gestione dell’emergenza Covid e parallelamente le prestazioni non-Covid sono state limitate per controllare il rischio di contagio – si fa fatica a spiegare il dato del 2021. Dal punto di vista della domanda, l’indagine condotta da Ermeneia su un campione di 4.020 soggetti (rappresentativo della popolazione adulta italiana) rivela come, ancora nel 2022, il 73% degli intervistati senza esperienza di contagio e il 66% di quelli con una o più esperienze Covid abbiano dovuto sostenere blocchi o rimandi di prestazioni diagnostiche per patologie di gravità medio-alta.
Rispetto ai due sottogruppi – mai contagiati e contagiati – ostacoli all’accesso e procrastinazioni per terapie periodiche e controlli obbligatori sono stati sperimentati, rispettivamente, nel 89% e 97% dei casi.

La presenza di forze centrifughe al Ssn parte dunque dal presupposto di uno “straordinario” che non riesce ad essere assorbito in un “ordinario” che evidenziava criticità strutturali già prima dell’avvento del Covid-19. Tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito di un sistema a vocazione universalistica, dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie – al di fuori del Servizio sanitario nazionale – e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla spesa out-of-pocket. Per questi ultimi l’alternativa è tra un’attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure.
L’andamento dell’out-of-pocket italiano – che storicamente rappresenta circa ¼ della spesa sanitaria totale – è in progressiva crescita: è aumentato dai 37,3 miliardi di euro del 2017 al 38,4 del 2019 fino al 38,5 del 2021. Si registra un’evidente ripresa, nel 2021 rispetto al 2020, del valore dei ticket pagati dagli utenti per prestazioni intramoenia negli ospedali pubblici e – più in generale – dei consumi sanitari out-of-pocket delle famiglie italiane, che tornano a essere più elevati non solo rispetto al 2020 ma anche al 2019, anno immediatamente precedente la pandemia.
Dall’indagine contenuta nel Rapporto emerge che nel 2022 (sempre in riferimento a prestazioni/diagnosi serie-gravi) il 28% degli intervistati con almeno un episodio Covid-19 e il 13% di quelli mai contagiati si sono rivolti al privato puro; mentre alle prestazioni a pagamento all’interno delle strutture pubbliche (intramoenia), hanno rispettivamente fatto accesso il 31% e il 9% degli intervistati.
Il fenomeno di rinuncia alle cure, che nel 2021 ha coinvolto circa 1 intervistato su 20, si è lievemente ridotto nel 2022. Nella percezione degli intervistati, la sempre maggiore difficoltà di accesso alle cure per prestazioni o interventi a medio-alta complessità ha determinato un peggioramento dello stato di salute per circa il 50% degli individui mai contagiati e del 40% di quelli con esperienze di contagio. Stando al parere dei 2/3 del campione, il recupero delle prestazioni mancate o procrastinate rappresenta l’urgenza maggiore del Ssn e circa il 70% degli intervistati ritiene che la soluzione sia quella di investire in sanità e fare ricorso alle piene potenzialità di tutte le strutture sanitarie disponibili, pubbliche e private accreditate.

Nell’affrontare il tema delle risorse e del finanziamento del Ssn, analizzando l’andamento italiano e il quadro europeo, quali conclusioni dunque possiamo trarre? In tema di risorse finanziarie, va rilevato che al contrario, da anni, la sanità finanziaria – basata sui tagli e di fatto “antitetica” alla riorganizzazione strutturale e sistemica necessaria a garantire i livelli essenziali di assistenza a tutti gli individui in stato di bisogno – sta impoverendo la sanità reale, ovvero quella abitata dai pazienti, dalle loro famiglie e dagli operatori a tutti i livelli. La spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil, già al di sotto della media dei Paesi Ocse e G7 prima e durante l’urto pandemico, è tutt’oggi considerevolmente distante da questi riferimenti.
Tale rapporto, infatti, nel 2019, era del 6,4%, a fronte del 7,6% e del 9,1% rispetto ai gruppi citati; nel 2020, primo anno di pandemia, è aumentato al 7,4%, contro, però, l’8,4% e il 10,5% dei Paesi Ocse e G7. Le previsioni per il quinquennio successivo sono peggiorative rispetto alla già difficile situazione attuale: nel 2023 la spesa in rapporto al Pil previsto si attesterà su un valore di 6,4%, per diminuire al 6,3% del 2024 e, ulteriormente, al 6,1% nel 20257.
È con queste risorse finanziarie – sistematicamente riviste al ribasso – che il Servizio sanitario nazionale è chiamato ad affrontare una domanda crescente di prestazioni, dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione, al dato storico delle liste d’attesa e al recupero di prestazioni sospese/rimandate a partire dalla pandemia e alle nuove progettualità previste dal Pnnr.

Per scaricare il 20° Rapporto “Ospedali&Saluti” e altri materiali visitare questa pagina sul sito Aiop: clicca qui

(Fonte: Aiop)

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Autonomia e responsabilità per assicurare i diritti essenziali ai cittadini

8/03/23 - Luciano Pallini

A sostegno della tesi che l’autonomia differenziata di fatto rappresenterebbe la secessione dei “ricchi” a scapito delle regioni più arretrate economicamente i cui cittadini sarebbero penalizzati dal minor accesso a prestazioni essenziali, si fa sempre riferimento all’esperienza della sanità, materia di competenza regionale in pratica dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale.

L’esperienza della sanità: spesa e output

Ci sono grandi disparità nelle risorse assegnate a ciascuna regione (in verità, sulla base di parametri definiti d’intesa, in sede di Conferenza Stato Regioni) e profonde disparità in termini di quantità e qualità dei servizi erogati ai cittadini, ai quali dovrebbero essere garantiti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) definiti attraverso un lungo e complicato percorso, tecnico amministrativo e istituzionale.

Nel corso di una ricerca su alcune regioni benchmark, sono state elaborate alcune semplici tabelle, riferite a 21 regioni e province autonome,  con i dati riferiti all’anno 2019, l’ultimo precedente la  pandemia, sia per  la spesa corrente pro-capite sia per il punteggio ottenuto con il monitoraggio degli adempimenti LEA.

Spesa pro capite e punteggi LEA per regione – anno 2019

(in verde chiaro per le regioni non sottoposte a monitoraggio, in arancio le inadempienti LEA)

La spesa pro capite per regione oscilla tra il minimo della Campania – 1.780 euro – ed il massimo della provincia autonoma di Bolzano – 2.398 euro – e della regione Molise – 2.390 euro –  la quale riceve oltre il 34 % in più per ogni suo cittadino rispetto alla regione Campania.  Ma tutte le regioni meridionali spendono importi più modesti della generalità delle regioni del Centro nord.

I punteggi LEA, costruiti sulla base di una apposita griglia,  possono essere considerati una misura aggregata dei servizi che il Servizio sanitario di ciascuna regione, con le risorse date, è in grado di assicurare ai suoi abitanti.

Va ricordato come la griglia LEA sia contestata da numerose parti perché inadeguata a valutare “la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini” (Osservatorio GIMBE) in particolare perché avrebbe  modeste capacità di identificare gli inadempimenti per il numero limitato di indicatori e per le modalità di rilevazione, ovvero l’autocertificazione da parte delle stesse Regioni; per il progressivo appiattimento perché indicatori e soglie di adempimento non vengono modificati dal 2015, perché la dichiarazione di adempimento è rimasta sempre la stessa, 160 su 225 punti, per il ritardo della pubblicazione del monitoraggio (circa due anni) così che si perde la possibilità di tempestive azioni di miglioramento.

Tutto ciò premesso,  il monitoraggio basato sulla griglia LEA, ancorché con i limiti richiamati, offre un indicatore approssimato  della quantità e qualità dei servizi erogati.

Autonomia differenziata e diritti dei cittadini: un percorso virtuoso

In un meditato intervento sull’autonomia differenziata pubblicato sul Corriere della Sera il 4 febbraio scorso il professor Maurizio Ferrera respinge la demonizzazione che se ne fa, ricordando che: 1) l’autonomia differenziata è prevista e disciplinata dalla Costituzione, a seguito della riforma adottata dalla maggioranza di centro-sinistra nel 2000 e confermata da referendum popolare; 2)  l’attuazione di questo principio è iniziata nel 2017, con la richiesta di trasferimento dei poteri in varie materie da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e la successiva definizione di accordi preliminari con il governo Gentiloni nel febbraio 2018; 3) negli ultimi decenni, il trasferimento di poteri e competenze dal centro alle regioni ha interessato molte democrazie occidentali.

Al centro del dibattito c’è sempre stata la medesima questione: “Da un lato, concedere maggiore autonomia in modo da promuovere flessibilità, sperimentazione, responsabilità. Dall’altro, evitare di produrre disparità di diritti fra cittadini. Conciliare questi due obiettivi si è rivelato tutt’altro che facile”.

Il punto cruciale  è rappresentato dalla  definizione del pacchetto di servizi garantiti, i livelli essenziali di prestazione (LEP),  per salvaguardare il livello minimo di prestazioni assicurate ai cittadini  a prescindere dalla regione di residenza.

Un percorso complicato quello per definire questo pacchetto di servizi  garantiti  e nel quale scompare un aspetto fondamentale, richiamato da Ferrera nel suo articolo:  “I livelli essenziali vanno definiti non solo nel contenuto, ma anche nei loro costi standard. Solo così sarà possibile quantificare le risorse che lo Stato deve garantire a ciascuna regione, a seconda del fabbisogno. La Costituzione prevede un fondo perequativo a sostegno dei territori con minore capacità fiscale”.

Ma è lo status quo, quello difeso dagli avversari dell’autonomia differenziata, che produce oggi profonde disparità tra i cittadini che ricevono molto di meno di quello che spetterebbe loro e che neanche sanno potrebbero avere, in una situazione che genera anche clientelismo e corruzione.

Afferma ancora Ferrera che è indispensabile il monitoraggio “basato sugli output (non solo la spesa, ma le effettive prestazioni e, possibilmente, la loro qualità) è la chiave di volta del federalismo fiscale” per comprendere perché, con lo stesso livello di spesa pro capite, Avellino e Lecce eroghino quantità di servizi molto diverse: 15 prestazioni ogni 100 residenti a Lecce, 3 ad Avellino: autonomia e responsabilità devono essere coniugate insieme, per garantire efficienza, economicità ed equità nelle prestazioni per i cittadini.

Un esercizio di aritmetica (con valenza politica)

“Posso resistere a tutto fuorché alle tentazioni” è aforisma citatissimo di Oscar Wilde: la tentazione con i numeri a disposizione e le sollecitazioni dal testo di Ferrera è stata irresistibile e ha spinto ad un esercizio aritmetico sui numeri della sanità.

Nella tabella iniziale la spesa pro-capite per la sanità è impiegata per un complesso articolato output che è espresso  dal punteggio ottenuto. E allora è stato calcolato – per le regioni soggette a monitoraggio –   il costo medio per punto LEA che oscilla tra gli 8,7 € del Veneto ai 15,9 € del Molise. Si possono individuare quattro gruppi: i campioni dell’efficienza sotto i 9€ (Veneto e Marche), gli efficienti tra 9 e 9,5 € (Lazio, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lombardia, Emilia Romagna, Puglia),  in ritardo sopra 10 € (Liguria, Piemonte, Sicilia, Campania, Basilicata), gli inadempienti con Calabria e Molise.

Costo medio per punto LEA anno 2019 importi in €

 

Ovviamente dovrebbero essere considerati nel calcolo del costo medio fattori correttivi per diseconomie di scala per le regioni troppo piccole, per l’incidenza della popolazione anziana, per la distribuzione territoriale della popolazione e del sistema di mobilità.

L’esercizio che viene sviluppato si fonda sull’assunzione del costo medio sostenuto dal Veneto come frontiera dell’efficienza verso la quale devono muoversi (essere costrette a muoversi) le regioni che ne sono lontane.

Se ogni regione impiegasse le risorse attualmente assegnate avendo lo stesso costo medio del Veneto (8,7 €) quantità e qualità dei servizi garantiti ai cittadini espressi in punti LEA: dai 3.085 punti della situazione attuale si passerebbe, con il recupero in termini di efficienza di spesa, a 3.570 punti LEA, con un progresso di 485 punti.

Nonostante l’evidente miglioramento in tutte le regioni, vi sarebbero due regioni del Centro (Lazio e Marche) e sei del Meridione, quasi al completo, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) nelle quali il benchmark del Veneto (222 punti LEA) non è raggiunto senza aumento della spesa: ai 238 da incremento di efficienza bisogna aggiungerne 88 con assegnazione di fondi aggiuntivi.

La soluzione per garantire i medesimi diritti ai cittadini non è incremento sic et simpliciter di fondi ma, una assegnazione dei fondi che mancano (una stima spannometrica indica 3 miliardi circa per anno) condizionata all’accertato recupero di efficienza, secondo un programma pluriennale concordato tra Governo e regioni. Non si versa altra acqua in un secchio sfondato.

Alle regioni che con la convergenza sulla frontiera dell’efficienza vedono il loro benchmark superare quello del Veneto, dovrebbe essere previso un meccanismo premiale che lascia loro le risorse di cui beneficiano con la facoltà di destinarle ad altro impiego, caso mai prevedendo anche per loro qualche risorsa in più, come incentivo ulteriore.

Se libertà è partecipazione, autonomia è responsabilità.

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La spesa per la sanità: un esercizio di benchmark tra Regioni

7/02/23 - Luciano Pallini

C’è una costante nelle forti critiche rivolte nei diversi territori ai servizi sanitari regionali, alle loro inefficienze rispetto alle esigenze dei cittadini: si lamentano la condizione di superaffollamento dei pronto soccorso, la lunghezza spropositata delle liste di attesa, l’assenza di una medicina del territorio assieme alle grandi questioni di carenza del personale sanitario e di tagli continui alla spesa sanitaria, con svuotamento nei fatti del servizio universale.

Cresce il rigetto per la gestione regionale della sanità e si rimpiange una immaginaria gestione centralizzata della sanità che di fatto non è mai esistita da quando è nato il servizio universale che ha sostituito la precedente organizzazione fondata sulle mutue.

Secondo il dettato costituzionale, allo Stato è affidato il compito di definire i Livelli essenziali di assistenza (LEA) e l’ammontare complessivo delle risorse finanziarie necessarie al loro finanziamento oltre che assicurare il monitoraggio della relativa erogazione, mentre  alle regioni compete  di organizzare i rispettivi Servizi sanitari regionali e garantire l’erogazione delle prestazioni ricomprese nei LEA, in condizioni di efficienza e di appropriatezza.

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  1. La Spesa sanitaria corrente

1.1 Le procedure di verifica

I dati oggetto di analisi sono quelli risultanti dal Conto Economico (CE) redatto sulla base del modello approvato e sui quali viene effettuata la procedura annuale di verifica dell’equilibrio dei conti sanitari regionali: introdotta a partire dal 2005 (legge n 311 del 2004), individua un meccanismo di tutela dell’equilibrio economico del Servizio Sanitario Regionale e prevede la valutazione del risultato di esercizio di ciascun SSR riferito al IV trimestre di ciascun anno.

Presso il Tavolo di verifica degli adempimenti regionali viene convocata ciascuna Regione per valutare il risultato di gestione che può consistere in una situazione di avanzo, di equilibrio, oppure presentare un disavanzo.

In caso di disavanzo il Tavolo valuta l’idoneità e la congruità delle misure di copertura adottate dalla Regione al fine di rispettare l’obbligo, derivante dalla legislazione vigente, di coprire integralmente i disavanzi sanitari regionali. Le coperture possono essere sia in preordinati finanziamenti regionali oppure dall’aumento di aliquote fiscali che rientrino nell’autonomia regionale.

Se sono ritenute congrue, la partita si chiude qui, in caso contrario scatta la diffida del/della Presidente del consiglio dei ministri ad adottare entro il 30 aprile dell’anno di verifica la relativa copertura necessaria a garantire l’equilibrio. Se la regione non provvede a quanto disposto con la  diffida, il Presidente della regione, diviene commissario ad acta ed adotta le misure necessarie entro il successivo mese di maggio. Nel caso anche il commissario ad acta non adempia, o qualora le coperture non siano sufficienti, si prevede l’innalzamento automatico delle aliquote fiscali di IRAP e Addizionale regionale all’IRPEF ai livelli massimi previsti dalla legislazione vigente cui si accompagna , inoltre, il divieto di effettuare spese non obbligatorie.

1.2. I numeri delle Regioni: esercizi di aritmetica politica

La spesa sanitaria complessiva quale risulta dai conti economici delle Regioni è cresciuta in Italia da 110,4 miliardi di euro del 2012 a 126,6 miliardi di euro del 2021 con una crescita, a prezzi correnti, del 14,7%, in presenza di un tasso di inflazione (indice dei prezzi al consumo) che nello stesso intervallo di tempo è stato del 6,5%.

In Toscana la crescita è stata da 7,1 a 8,2 miliardi di euro con un incremento del 15,8%, leggermente al di sopra della media nazionale (sulla quale si attesta l’Emilia-Romagna) ma inferiore al + 17,7% della Lombardia e soprattutto al + 21,6% del Veneto.

Va tuttavia considerato che i dati del 2020 (assai meno il 2021) sono stati fortemente condizionati dallo stanziamento di importanti risorse aggiuntive per fronteggiare l’emergenza Covid: rispetto al + 5,4% di incremento medio nazionale nel 2020  sull’anno precedente, la Toscana ha segnato un incremento del 7,8%, con Lombardia al +5,3%, Veneto +8,2% ed Emilia Romagna +9,2%.

Tab. 1: spesa sanitaria corrente di CE per regione 2012-2021 (milioni di euro)

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 Totale
Lombardia 18.154,1 18.293,4 18.789,9 18.847,7 18.936,4 19.437,6 19.845,7 20.057,1 21.119,8 21.363,2 194.844,9
Veneto 8.713,3 8.675,6 8.754,3 8.834,5 8.980,1 9.244,9 9.327,4 9.468,9 10.248,5 10.596,8 92.844,3
Emilia R. 8.786,6 8.611,3 8.644,0 8.740,1 8.846,5 9.026,5 9.157,4 9.227,4 10.072,7 10.058,9 91.171,5
Toscana 7.120,1 6.948,1 7.107,2 7.197,8 7.277,8 7.446,9 7.396,6 7.505,5 8.090,8 8.247,8 74.338,6
ITALIA 110.399,3 109.429,4 110.746,3 111.113,6 112.492,4 114.307,5 115.713,3 116.928,3 123.294,9 126.640,2 1.151.065,3
Variazioni % su anno precedente
  2013/2012 2014/2013 2015/2014 2016/2015 2017/2016 2018/2017 2019/2018 2020/2019 2021/2020 2021/2012
Lombardia 0,8% 2,7% 0,3% 0,5% 2,6% 2,1% 1,1% 5,3% 1,2% 17,7%
Veneto -0,4% 0,9% 0,9% 1,6% 2,9% 0,9% 1,5% 8,2% 3,4% 21,6%
Emilia R. -2,0% 0,4% 1,1% 1,2% 2,0% 1,5% 0,8% 9,2% -0,1% 14,5%
Toscana -2,4% 2,3% 1,3% 1,1% 2,3% -0,7% 1,5% 7,8% 1,9% 15,8%
ITALIA -0,9% 1,2% 0,3% 1,2% 1,6% 1,2% 1,1% 5,4% 2,7% 14,7%
Inflazione   1,2% 0,2% 0,1% -0,1% 1,2% 1,2% 0,6% -0,2% 1,9% 6,5%

 

Tra 2012 e 2019, il periodo precedente la pandemia ma dentro la grande crisi della finanza pubblica italiana tra 2012 e 2014, la spesa sanitaria delle regioni a livello aggregato è cresciuta del 5,9% mentre i prezzi al consumo nello stesso periodo sono aumentati del 4,5%: di fatto la spesa sanitaria ha appena tenuto il passo con l’inflazione. Si è tuttavia assistito a dinamiche differenziate tra le regioni, con Emilia- Romagna e Toscana che vedono la spesa sanitaria aumentare di qualche decimo di punto percentuale in meno ed altre aumentare in misura decisamente superiore, il 10,5% in Lombardia e l’8,7% in Veneto.

Graf. 1: Variazione % spesa sanitaria da CE in periodo ante-covid 2019 su 2012

 

Per una corretta comparazione sulle risorse sulle quali le regioni hanno potuto contare e spendere, si è scelto di fare ricorso alla spesa pro capite, assumendo la popolazione residente come dimensione del bacino di utenza della sanità che deve essere servito, non considerando la diversa struttura per età che pure incide sulla domanda di servizi sanitari.

Tra 2012 e 2021 la popolazione in Italia si è ridotta dell’1,1% ma con dinamiche differenziate, che hanno seguito la dinamica delle economie regionali premiando le più attrattive che hanno invece aumentato la popolazione, come è successo per la Lombardia (+1,5%) e per l’Emilia-Romagna (+1,1%) mentre Toscana e Veneto hanno perso residenti, rispettivamente lo 0,8% e lo 0,7%.

Il risultato del differenziato aumento di spesa da conto economico e le disomogenee dinamiche della popolazione mostrano una maggior divaricazione nei tassi di crescita rispetto a quelle calcolate sulla spesa totale.

Tab. 2: Spesa pro capite per Regione 2012 e 2021 (euro)

var. %  residenti

2021 su 2012

Spesa pro capite (euro) n. indice Italia =100
2012 2021 Var.% 2012 2021
Lombardia 1,5% 1.853 2.149 15,9% 100,2 100,2
Veneto -0,7% 1.785 2.186 22,5% 96,5 101,9
Emilia R. 1,1% 2.007 2.273 13,2% 108,5 106,0
Toscana -0,8% 1.928 2.252 16,8% 104,2 105,0
ITALIA -1,1% 1.850 2.145 16,0% 100,0 100,0

 

Guardando alla spesa pro-capite, sono penalizzate le Regioni con popolazione in crescita (Lombardia + 15,9% contro 17, 7% ed Emilia-Romagna 13,2% contro 14,5%) e avvantaggiate le Regioni con popolazione in calo (Veneto 22,5% rispetto a 21,6% e Toscana 16,8% anziché 15,8%).

Si attenuano le differenze tra le risorse spese dalle diverse Regioni: se nel 2012 il range di oscillazione andava dai 1.785 euro pro capite del Veneto ai 2.007 dell’Emilia-Romagna, con i valori del Veneto inferiori a quelli della media nazionale, nel 2021 tutte le Regioni hanno valori pro capite di spesa superiori alla media nazionale con una forbice che si è ridotta dai 2.149 euro della Lombardia ai 2.273 euro dell’Emilia-Romagna cui la Toscana si è molto avvicinata con 2.252 euro, ovvero 107 euro in più rispetto alla media nazionale di 2.145 euro.

 

1.3 Il risultato di gestione

Il risultato di gestione viene valutato a partire dal Conto economico (CE) consolidato regionale previa verifica della corretta contabilizzazione delle voci di entrata relative al finanziamento del fabbisogno sanitario standard, nonché della mobilità sanitaria extraregionale ed internazionale e della loro coincidenza con quanto riportato nel bilancio regionale, perimetro sanità, con quanto riportato negli atti formali di riparto, anche con specifico riferimento negli ultimi anni  ai finanziamenti per le gestione dell’emergenza Covid.

Emergono sostanziali divergenze nei risultati di esercizio delle diverse regioni: Lombardia e Veneto mostrano sempre un avanzo di bilancio, l’Emilia Romagna dal 2015 risulta sempre in pareggio, la Toscana, fatto salvo il 2014, è permanentemente in disavanzo.

In presenza di una spesa pro-capite strutturalmente più elevata di Lombardia e Veneto, l’Emilia-Romagna è sempre sul filo di un pareggio stentato mentre la Toscana non riesce a uscire da risultati permanentemente in deficit.

Tab. 3: Risultati di esercizio da Tavolo per la verifica degli adempimenti per Regione – 2012-2021 (milioni di euro)

  2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
Lombardia 2,3 10,2 4,2 21,4 5,9 5,1 6,0 6,3 11,0 149,5
Veneto 11,6 4,4 15,7 3,5 13,7 51,9 13,1 13,3 2,2 71,3
Emilia R. -47,7 0,0 13,2 0,0 0,2 0,2 0,2 0,2 0,3 0,4
Toscana -50,6 -25,1 7,4 -21,8 -42,0 -94,0 -18,0 -12,9 -93,5 -145,7
ITALIA -2.141,8 -1.784,7 -927,7 -1.003,9 -923,0 -1.068,6 -1.084,9 -1.044,0 -733,8 -1.109,2

 

La situazione non muta se si considera il finanziamento effettivo che comprende anche le entrate proprie degli enti del SSN, oltre a quelle del fondo ordinario (le risorse attribuite dallo Stato alla sanità pubblica).

Tab. 4: Risultati d’esercizio in percentuale del finanziamento effettivo per Regione – Anni 2012-2021

  2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
Lombardia 0,01% 0,06% 0,02% 0,11% 0,03% 0,03% 0,03% 0,03% 0,05% 0,70%
Veneto 0,13% 0,05% 0,17% 0,04% 0,15% 0,55% 0,14% 0,14% 0,02% 0,68%
Emilia R. -0,54% 0,00% 0,15% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%
Toscana -0,70% -0,36% 0,10% -0,30% -0,57% -1,26% -0,24% -0,17% -1,16% -1,81%
ITALIA -1,95% -1,64% -0,83% -0,90% -0,82% -0,94% -0,94% -0,90% -0,60% -0,89%

 

Con i 145 milioni di disavanzo (stimati al IV trimestre dell’anno) il Tavolo di valutazione il 4 aprile 2022 aveva fatto presente che sussistevano i presupposti per l’avvio, nei confronti della Toscana,  della procedura della diffida a provvedere di cui al comma 174 della legge 311/2004 e successive modifiche. Con il conferimento di 153 milioni di euro, affannosamente reperiti, la Regione Toscana ha assicurato l’equilibrio ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge n. 311/2004 facendo venir meno i presupposti per la procedura di diffida riscontrati, ma «il Tavolo ha in ogni caso rinnovato l’invito alla regione ad una riflessione in merito alla gestione strutturale del FSR, in condizioni di efficienza e appropriatezza nell’erogazione dei LEA, nel rispetto dell’equilibrio economico in coerenza con le risorse disponibili a legislazione vigente».

Ed il Presidente Giani conferma: «Una spesa strutturalmente più alta di mezzo miliardo rispetto alla quota di Fondo sanitario assegnato alla Toscana» (La Repubblica, Cronaca di Firenze, 11 novembre 2022.). Ma qual è la struttura di spesa di queste Regioni?

  1. La struttura di spesa della sanità

2.1 L’andamento nel tempo per voce di spesa

In questa sede si analizza la struttura dei servizi sanitari di queste regioni sulla base della spesa corrente  e degli andamenti distinti delle quattro macro-componenti: Redditi da lavoro dipendente, Consumi intermedi, Prestazioni sociali in natura (corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market) e Altre componenti di spesa.

Per una maggiore analiticità, i Consumi intermedi vengono scomposti in Farmaci e Altri consumi e le Prestazioni sociali in natura sono disaggregate in Farmaceutica convenzionata, Assistenza medico-generica da convenzione e Altre prestazioni sociali in natura da privato.

Per una migliore comprensione degli andamenti nel tempo, si sono calcolate sia le variazioni relative all’intero intervallo 2012- 2021 sia quelle del periodo che precede lo scoppio dell’emergenza pandemica e le relative misure emergenziali di contrasto, ovvero le variazioni tra 2012 e 2019.

A livello nazionale, fino al 2019, si registrava una contrazione dei redditi da lavoro dipendente (-0,5%) , della farmaceutica convenzionata (- 15,1%) e dell’assistenza medico-generica da convenzione (-1,0%.). Nelle quattro regioni analizzate mostravano andamenti diversi:

  • per quanto riguarda le spese per il personale, la spesa risulta in crescita da un minimo del +0,8% della Lombardia ad un massimo del + 3,5% per Emilia-Romagna, con la Toscana che segna un +2,7%;
  • per la farmaceutica convenzionata tutte le Regioni mostrano decrementi superiori a quello medio nazionale, eccezion fatta per la Lombardia dove si verifica una contenuta crescita (+1,4%);
  • per l’assistenza medico-generica due regioni mostrano una riduzione accentuata, Lombardia (-4,0%) ed Emilia-Romagna (-3,6%), a fronte di una crescita del + 3,4% in Toscana con il Veneto che non registra variazioni.

Le altre componenti di spesa al 2019 crescono tutte, sia a livello nazionale che regionale, dai consumi intermedi per farmaci (+45,4% con la Toscana al +21,8%) agli altri consumi intermedi (+3,8% con la Toscana al + 9,1%) alle altre prestazioni sociali da privati (+11,0% con la Toscana al +12,7%).

Invece al 2021 tutte le componenti della spesa, eccezion fatta per la farmaceutica convenzionata, sono in crescita sul 2012, in conseguenza delle misure adottate per contrastare la pandemia soprattutto in termini di risorse umane e dei consumi intermedi non farmaceutici.

Tab. 5: Spesa sanitaria per componente 2021 (milioni di euro) e var. % 2012/2019 e 2021/2012 spesa

personale Consumi intermedi Prestazioni sociali da privati Altre componenti di spesa Totale
farmaci altri consumi Farmaceutica convenzionata Assistenza medico generica Altre prestazioni sociali
Lombardia 5.320,5 1.565,0 4.949,0 1.343,0 936,5 5.552,8 1.696,5 21.363,2
Veneto 3.022,2 941,7 2.619,1 463,3 602,8 1.845,0 1.102,6 10.596,8
Emilia R. 3.386,3 930,1 2.178,4 457,9 546,9 1.595,1 964,2 10.058,9
Toscana 2.856,0 752,7 2.062,5 418,9 473,7 928,2 755,9 8.247,8
ITALIA 37.659,3 11.816,0 27.239,0 7.374,5 7.164,5 25.469,3 9.917,7 126.640,2
Variazioni % 2021 su 2012
Lombardia 4,3% 48,2% 30,0% 1,1% 4,2% 7,4% 114,1% 17,7%
Veneto 10,6% 56,3% 34,9% -21,4% 10,4% 8,0% 85,6% 21,6%
Emilia R. 12,0% 51,3% 15,5% -17,0% 4,6% 23,3% 7,9% 14,5%
Toscana 11,3% 20,2% 29,3% -17,0% 15,5% 10,9% 30,0% 15,8%
ITALIA 5,6% 50,4% 23,3% -17,1% 7,7% 13,0% 47,5% 14,7%
Variazioni % 2019 su 2012
Lombardia 0,8% 54,3% 6,7% 1,4% -4,0% 11,2% 59,6% 10,5%
Veneto 3,4% 48,6% 4,8% -18,7% 0,0% 2,5% 58,0% 8,7%
Emilia R. 3,5% 43,6% 5,4% -18,9% -3,6% 17,0% -14,7% 5,0%
Toscana 2,7% 21,8% 9,1% -16,1% 3,4% 12,7% -0,7% 5,4%
ITALIA -0,5% 45,4% 3,8% -15,1% -1,0% 11,0% 18,2% 5,9%

 

2.3 Il peso delle diverse voci di spesa nel 2021 nei diversi modelli di sanità regionale  

Al 2021 la distribuzione della spesa sanitaria in riferimento alle tre componenti più rilevanti non mostra differenziazioni tra le regioni per i consumi intermedi diversi dai farmaci mentre l’incidenza del personale e le altre prestazioni dei privati mostrano due mondi diversi che possono definire differenti modelli di sanità.

Tab. 6: Spesa sanitaria per componente 2021 – distribuzione%

personale Consumi intermedi Prestazioni sociali da privati Altre componenti di spesa Totale
farmaci Altri consumi Farmaceutica

convenzionata

Assistenza

medico

generica

Altre

prestazioni

sociali

Lombardia 24,9 7,3 23,2 6,3 4,4 26,0 7,9 100,0
Veneto 28,5 8,9 24,7 4,4 5,7 17,4 10,4 100,0
Emilia R. 33,7 9,2 21,7 4,6 5,4 15,9 9,6 100,0
Toscana 34,6 9,1 25,0 5,1 5,7 11,3 9,2 100,0
ITALIA 29,7 9,3 21,5 5,8 5,7 20,1 7,8 100,0

 

Da un lato c’è il modello Lombardia a ridotta incidenza di spesa per il personale ed ad alto ricorso a altre prestazioni sociali da privato, dall’altro il modello Toscana con elevata incidenza del personale e basso ricorso alle prestazioni sociali dei privati:  il Veneto appare più vicino al modello lombardo mentre l’Emilia Romagna non è distante dal modello toscano.

Tra i due modelli, sulla base dei risultati di bilancio, quello più in affanno appare quello tosco-emiliano cui sono stati indirizzati i warning sulla struttura della spesa.

Nei prossimi articoli sarà comparato il diverso risultato in termini di prestazioni attraverso il confronto dei punteggi Lea e i risultati di indagini condotte da istituti di ricerca specializzati.

Graf. 2: Incidenza % spesa per personale e altre prestazioni da privato su totale 2021

2.3 Alcune notazioni sulle dinamiche delle diverse voci

La spesa per il personale fino al 2017 evidenziava una costante contrazione  dovuta al blocco della parte economica relativa alle procedure contrattuali il periodo 2010-2015  e per il mancato perfezionamento di quelle del triennio successivo. Nel 2018 sono contabilizzati gli oneri per il rinnovo contrattuale del personale del comparto del SSN, nel 2019 sono imputati gli aumenti della dirigenza sanitaria medica e non medica, mentre nel 2020 sono presenti gli incrementi relativi alla dirigenza professionale tecnica e amministrativa.

A queste spese vanno aggiunti gli oneri dovuti a procedure di stabilizzazione e a nuovi  concorsi straordinari nel rispetto del piano sul fabbisogno di persona senza dimenticare che  è stata data la possibilità di rinviare il pensionamento dei medici.

I consumi intermedi sono  aumentati non solo per l’inclusione di una quota degli oneri sostenuti dal Commissario per l’emergenza Covid ma anche per i costi crescenti per il consistente reclutamento di lavoratori flessibili necessario  ad assicurare la tempestiva  messa a disposizione degli operatori sanitari  cui si è fatto ricorso in considerazione delle lunghe procedure per il reclutamento di personale dipendente a tempo determinato, anch’esso previsto dalla normativa emergenziale, e delle difficoltà a reperire a tempo indeterminato talune tipologie di personale sanitario.

  • La fissazione dal 2014 di un tetto pari al 4,4% del fabbisogno sanitario standard per la spesa relativa ai dispositivi medici con un meccanismo automatico di recupero a carico delle aziende fornitrici in caso di superamento del predetto valore (c.d. pay-back) accompagnata dalla rinegoziazione dei contratti relativi alla fornitura dei dispositivi medici così da garantire il rispetto del tetto di spesa fissato normativamente;
  • L’individuazione per il 2021 di un tetto per la spesa relativa alla farmaceutica per acquisti diretti pari al 7,85% del fabbisogno sanitario standard con un meccanismo di rimborso automatico a carico delle aziende farmaceutiche in caso di sforamento della soglia individuata (c.d. pay-back);

Per le prestazioni in natura da privati sono intervenute nel tempo misure tese alla razionalizzazione ed al contenimento, oltre che alla fissazione di tempi di pagamento, della spesa di cui si dà qui sommario conto:

  • per la farmaceutica convenzionata l’andamento storico della spesa è legato anche agli strumenti di governance introdotti nel tempo. A decorrere dal 2021 il tetto di spesa per questa voce è stato rideterminato nella misura del 7%. In caso di superamento di tale limite è previsto un meccanismo di recupero automatico (c.d. pay-back) a carico delle aziende farmaceutiche, dei farmacisti e dei grossisti. Non va poi dimenticata l’introduzione di strumenti di responsabilizzazione a carico degli assistiti, quali i ticket e il maggiore utilizzo di farmaci generici.
  • La spesa per l’assistenza medica convenzionata (medico di medicina generale, quello di continuità assistenziale, i pediatri di libera scelta, ecc) è rimasta sostanzialmente invariata fino al 2017 per il mancato rinnovo delle convenzioni

Il mancato rinnovo delle convenzioni con il SSN relative agli anni 2010-2015  e il divieto del riconoscimento di aumenti  hanno determinato un andamento a strappi,  con tassi di variazione sostanzialmente nulli fino al 2017 e quindi un aumento nel 2018 per la corresponsione degli arretrati. Così nel 2020 la spesa per l’assistenza medico-generica è aumentata dell’11,2% a causa  dell’imputazione a costo degli oneri per il rinnovo delle convenzioni relativamente al triennio 2016-2018, con  i relativi arretrati ai quali si sono aggiunti  i maggiori costi sostenuti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 per il  coinvolgimento nella gestione dell’emergenza.  Così il 2021 registra una riduzione di spesa per il venir meno degli effetti connessi con il pagamento degli arretrati concretizzatosi l’anno precedente per le convenzioni relative all’annualità 2018.

  • Le altre prestazioni sociali in natura da privato includono gli acquisti di assistenza ospedaliera, specialistica, riabilitativa, integrativa, protesica nonché altre tipologie di assistenza erogate da operatori privati accreditati con il SSN. Eccezion fatta per il 2015, sono cresciute ogni anno nell’intero intervallo considerato. sono regolamentate da un sistema di governance della spesa, specie per le regioni sottoposte ai Piani di rientro regionali attraverso la fissazione di tetti di spesa e l’attribuzione di budget.

Sono state previste funzioni assistenziali remunerate in base ai c.d. “costi standard di produzione” nonché attività assistenziali remunerate in base a tariffe predefiniti. Dal 2014 sono state introdotte misure di contenimento della spesa per prestazioni di specialistiche ambulatoriali e ospedaliere, con la fissazione di un limite all’incremento di tale tipologia di acquisiti di prestazioni dal privato. In questa voce sono inclusi gli oneri per l’assistenza specialistica ambulatoriale interna.

L’incremento del 2020 è fondamentalmente legato agli oneri sostenuti dal Commissario straordinario: al netto di questi ultimi la spesa evidenzierebbe un decremento dell’1,4% in ragione del minor numero di prestazioni erogate per via della sospensione delle prestazioni non urgenti disposta durante la prima fase dell’emergenza Covid.

L’incremento registrato nel 2021 riflette, invece, i costi sostenuti da un lato per continuare a fronteggiare l’emergenza pandemica dall’altro per riprendere e recuperare le ordinarie attività assistenziali, prevedendo il ricorso agli operatori privati per il recupero delle liste di attesa formatisi durante gli anni della pandemia.

Tab. 7: Personale

Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 5.100,1 4.936,0 5.030,8 5.320,5 28,1 26,2 25,3 24,9
Veneto 2.731,9 2.738,2 2.752,0 3.022,2 31,4 31,0 29,5 28,5
Emilia R. 3.024,1 2.971,0 3.032,5 3.386,3 34,4 34,0 33,1 33,7
Toscana 2.566,0 2.541,6 2.572,6 2.856,0 36,0 35,3 34,8 34,6
ITALIA 35.652,6 34.625,8 34.856,6 37.659,3 32,3 31,2 30,1 29,7

 

Tab. 8: Consumi intermedi Farmaci

Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 1.056,3 1.512,8 1.578,1 1.565,0 5,8 8,0 8,0 7,3
Veneto 602,5 737,2 839,5 941,7 6,9 8,3 9,0 8,9
Emilia R. 614,7 754,4 912,9 930,1 7,0 8,6 10,0 9,2
Toscana 626,1 735,9 766,8 752,7 8,8 10,2 10,4 9,1
ITALIA 7.856,8 10.137,1 11.493,8 11.816,0 7,1 9,1 9,9 9,3

 

Tab. 9: Consumi intermedi diversi

Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 3.808,0 3.695,0 4.224,2 4.949,0 21,0 19,6 21,3 23,2
Veneto 1.941,9 1.903,6 1.951,7 2.619,1 22,3 21,5 20,9 24,7
Emilia R. 1.885,5 1.847,3 2.009,8 2.178,4 21,5 21,1 21,9 21,7
Toscana 1.594,6 1.606,1 1.672,9 2.062,5 22,4 22,3 22,6 25,0
ITALIA 22.090,0 21.274,6 22.635,2 27.239,0 20,0 19,1 19,6 21,5

 

Tab.10: Prestazioni sociali in natura da privato Farmaceutica convenzionata

Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 1.328,5 1.307,1 1.316,9 1.343,0 7,3 6,9 6,6 6,3
Veneto 589,1 542,6 482,8 463,3 6,8 6,1 5,2 4,4
Emilia R. 551,9 496,5 459,7 457,9 6,3 5,7 5,0 4,6
Toscana 504,7 450,1 420,4 418,9 7,1 6,3 5,7 5,1
ITALIA 8.891,3 8.234,7 7.552,7 7.374,5 8,1 7,4 6,5 5,8

 

Tab.11: Prestazioni sociali in natura da privato Assistenza medica da convenzione

  Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 899,0 861,1 869,6 936,5 5,0 4,6 4,4 4,4
Veneto 545,9 543,8 546,9 602,8 6,3 6,2 5,9 5,7
Emilia R. 522,9 522,9 517,7 546,9 6,0 6,0 5,7 5,4
Toscana 410,2 412,8 419,8 473,7 5,8 5,7 5,7 5,7
ITALIA 6.652,5 6.605,9 6.647,7 7.164,5 6,0 5,9 5,7 5,7

 

Tab.12: Prestazioni sociali in natura da privato Altre prestazioni

  Importi milioni di euro incidenza su totale
Regioni 2012 2015 2018 2021 2012 2015 2018 2021
Lombardia 5.169,7 5.407,5 5.680,0 5.552,8 28,5 28,7 28,6 26,0
Veneto 1.707,9 1.738,2 1.686,8 1.845,0 19,6 19,7 18,1 17,4
Emilia R. 1.294,2 1.432,9 1.502,5 1.595,1 14,7 16,4 16,4 15,9
Toscana 837,2 822,8 922,3 928,2 11,8 11,4 12,5 11,3
ITALIA 22.534,0 23.144,5 24.470,9 25.469,3 20,4 20,8 21,1 20,1

 

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“Inaccettabile escludere futuri adeguamenti tariffari”

6/02/23 - Redazione

Firenze, 6 febbraio 2023 – I conti ancora non tornano per le Rsa toscane, alle prese con stanziamenti insufficienti da parte della Regione dopo mesi di confronti con le istituzioni. Gli ultimi provvedimenti deliberati dalla Giunta regionale sono del tutto inadeguati rispetto all’aumento dei costi effettivi sostenuti dalle strutture: non serviranno, perciò, a scongiurare l’aumento della quota sociale a carico delle famiglie o, dove non si può intervenire sulle tariffe, il collasso del sistema.

Un rischio, questo, quanto mai reale, che non potrà che ricadere sugli utenti e sui loro bisogni e sul mondo della cooperazione già, peraltro, colpiti nel contesto più ampio della difficile situazione attuale.

Per il Comitato dei gestori delle Rsa private toscane e per le Centrali Cooperative-Settore Sociale, è inaccettabile che gli inadeguati finanziamenti annunciati la scorsa settimana (aumento della quota sanitaria e ristori post Covid-19) possano precludere ulteriori interventi più incisivi che sarebbero, invece, indispensabili per la sopravvivenza del settore.

In particolare:

  •  i ristori previsti per l’anno 2022 si sono interrotti dal 1° luglio e per sei mesi le strutture non hanno beneficiato di alcun tipo di intervento, nemmeno appellandosi alla possibilità di vedersi destinare le quote sanitarie previste ma non stanziate nell’anno passato (stimate tra i 20 e i 30 milioni di euro), nonostante si trattasse di fondi per l’inserimento di persone anziane non autosufficienti nelle Rsa e dunque dedicati a un bisogno in crescita nella nostra Regione. La percentuale di utenti che pagano privatamente la retta per intero, infatti, sta ormai progressivamente aumentando con grandi difficoltà per le famiglie, date le condizioni di elevata non autosufficienza che non permettono la gestione al domicilio;
  • l’importo dei ristori stabiliti nella delibera 53/2023 per il periodo gennaio-giugno 2023, pari a 2,50 euro al giorno, non consente di raggiungere la cifra necessaria a coprire i maggiori costi delle strutture;
  • i 68 centesimi al giorno stanziati per l’aumento della quota sanitaria delle Rsa con la delibera 52/2023 sono del tutto inadeguati, a fronte dei circa 10 euro (minimo) calcolati per l’adeguamento all’inflazione e al caro energia;
  • non solo: la stessa delibera preclude futuri adeguamenti poiché, al punto 2, afferma di «ritenere non più applicabile l’adeguamento tariffario della quota sanitaria delle RSA tramite l’incremento programmato annuale del costo della vita previsto, accertato dall’ISTAT, di cui al punto 4 della DGR n. 818/2009»;
  •  la beffa si completa con l’annosa questione dell’IVA che si sta ripresentando in tutta la sua dirompenza: infatti alcune Aziende USL stanno imponendo alle cooperative sociali la firma di accordi contrattuali che prevedono che l’IVA sia compresa nella fatturazione delle prestazioni in favore degli anziani non autosufficienti, andando a decurtare la quota sanitaria di un ulteriore 5%.

Le Centrali Cooperative-Settore Sociale ed i gestori privati, qualora non venissero ascoltati, programmeranno azioni a loro tutela e valuteranno ulteriori iniziative di sensibilizzazione sulla gravità della situazione del settore RSA in Toscana, divenuta insostenibile con il rischio di dure ripercussioni sulle necessità degli anziani bisognosi di assistenza qualificata, sulle famiglie spesso chiamate a sostenere rincari importanti oppure a rinunciare a servizi indispensabili, e sui lavoratori del comparto.

Il comitato gestori delle Rsa private toscane:

AGESPI (Associazione gestori servizi sociosanitari e cure post intensive) TOSCANA

AIOP (Associazione italiana ospedalità privata) TOSCANA – sezione RSA

ANASTE (Associazione nazionale strutture terza età) TOSCANA

ARAT (Associazioni residenze anziani Toscana)

ARET – ASP (Associazione regionale aziende pubbliche di servizi alla persona),

ARSA (Associazione residenze sanitarie assistenziali)

UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) TOSCANA

Le Centrali Cooperative-Settore Sociale:

AGCI-Solidarietà Toscana

Confcooperative-Federsolidarietà Toscana

Legacoop Toscana-Dipartimento Welfare

 

(Comunicato stampa)

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I disturbi del comportamento alimentare in età adolescenziale: aspetti endocrino-metabolici

23/01/23 - Deanna Belliti

“Di fronte a me
Querce e sassi, mentre
piccola guardo”
Poesia Haiku scritta da adolescente con disturbo dell’alimentazione¹

 

I Disturbi del Comportamento Alimentare in adolescenza sono un fenomeno sempre più diffuso così da dimostrarsi come un vero e proprio allarme sociale. In Italia ci sono circa due milioni di persone affette da disturbi del comportamento alimentare. La maggiore insorgenza è in età adolescenziale, tuttavia il dato preoccupante è che queste patologie iniziano a riguardare ormai anche l’infanzia. L’età media dei soggetti che soffrono di disturbi alimentari si sta abbassando drasticamente, arrivando in molti casi a colpire bambine/i di otto o nove anni.
L’insorgenza precoce, interferendo con un sano e fisiologico processo evolutivo, sia biologico che psicologico, si associa a conseguenze molto più gravi sul corpo e sulla mente. Un esordio precoce può infatti comportare un rischio maggiore di danni permanenti secondari alla malnutrizione, soprattutto a carico dei tessuti che non hanno ancora raggiunto una piena maturazione, come le ossa e il sistema nervoso centrale. Inoltre gli studi fino ad oggi a disposizione mostrano significative differenze nel percorso di cura in quanto evidenze cliniche indicano che i pazienti adolescenti rispondono meglio ai trattamenti rispetto ai bambini e anche ai pazienti adulti.

La data di esordio del disturbo è mediamente tra i 15 e i 25 anni, con due picchi (15 e 18 anni), età che rappresentano due periodi evolutivi significativi, quello della pubertà e quello della cosiddetta ‘autonomia’, il passaggio alla fase adulta. I Disordini Alimentari colpiscono prevalentemente il sesso femminile rispetto a quello maschile in un rapporto di 9:1 e nella fascia di età delle giovani donne tra i 12 e 25 anni la patologia colpisce il 10% della popolazione: su 100 ragazze in età adolescenziale, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come l’Anoressia e la Bulimia, le altre di manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. I dati epidemiologici comuni a tutte le ricerche internazionali indicano un aumento dell’incidenza della patologia bulimica rispetto a quella anoressica e come il disturbo bulimico abbia una più elevata età d’insorgenza rispetto al disturbo anoressico.

Per riuscire interpretare questo disagio che può portare ad implicazioni psicologiche e biologiche importanti e gravi sulla persona, dobbiamo porci una domanda: perché mangiamo? Nel 1979 John Blundell, Psicobiologo dell’Università di Leeds, con i suoi studi arrivò ad intuire ed evidenziare la rete di fattori biologici, psicosensoriali e socio culturali che interagendo tra loro determinano o possono determinare un comportamento alimentare. L’importanza di ogni fattore implicato nel comportamento alimentare dipende dalla situazione metabolica, psicologica, sociale, ambientale dell’individuo in un dato momento.
Quando mangiamo rispondiamo ad una triplice richiesta:

  • energetica, di ordine biologico, con finalità nutrizionali e di sopravvivenza perché da esso dipende il primo determinante del bilancio energetico, partecipando alla sue regolazione;
  • edonistica, di ordine affettivo ed emozionale, poiché è fonte di piacere, di ricompensa e di benessere;
  • simbolica, di ordine psicologico, relazionale e culturale, poiché è un potente legame sociale e poiché l’assunzione di cibo rimanda inconsciamente ai processi di maturazione della personalità.

Questo complesso sistema bio-psicologico in condizioni di benessere funziona in modo armonico, in una equilibrata integrazione di molteplici informazioni provenienti dall’interno dell’organismo e dall’ambiente esterno. Tuttavia può spesso accadere che in particolari situazioni l’equilibrio di questo sistema venga a mancare.

Così in un periodo della vita molto complesso come è l’età adolescenziale quando le rapide trasformazioni del corpo si associano ai cambiamenti del pensiero, può emergere una situazione di fragilità ed aprirsi la strada allo sviluppo di un disturbo alimentare. L’adolescente, influenzato dalla famiglia, dai coetanei, oltre che dai media, mette in atto qualsiasi tentativo per raggiungere un corpo ideale, controllando i segnali biologici, senza riconoscere i propri bisogni ed emozioni, vissuti come aspetti negativi nel processo di crescita.
Inoltre, quando si sviluppa un disagio con l’assunzione di cibo, per il susseguirsi di restrizioni alimentari, abbuffate, vomito autoindotto, il sistema va incontro a desincronizzazione e si innescano risposte fisiologiche anomale, come le oscillazioni di peso e le abbuffate alimentari, che la persona può interpretare come incapacità personale di autocontrollo; così le emozioni negative che ne derivano consolidano il perdurare del disturbo del comportamento alimentare.

Breve storia della patologia

Anche in passato e in altre epoche, se ripercorriamo la storia delle prime diagnosi di questo disturbo, troviamo che l’età maggiormente coinvolta è quella adolescenziale.
È nel 1689 che Richard Morton, in un trattato medico pubblicato a Londra, intitolato “Phtisiologia seu exercitationes de Phtisi”, dà una descrizione dell’Anoressia Nervosa come «consunzione nervosa» causata da «tristezza e preoccupazioni ansiose».

Morton descrisse due casi, una ragazza di 18 anni e un ragazzo di 16 anni e in entrambi escluse cause fisiche del deperimento organico; quindi a ragione le sue possono considerarsi le prime descrizioni consapevoli di disturbi alimentari su base psicogena, la prima segnalazione ufficiale di una diagnosi di anoressia nervosa.
Settantacinque anni dopo, nel 1764, Robert Whytt, medico di Edimburgo, è l’autore di una seconda segnalazione del disturbo alimentare psicogeno: si tratta di un ragazzo quattordicenne, di cui segnalava la spiccata bradicardia che si accompagna al digiuno e ad uno stato che oggi chiameremmo depressivo e che Whytt definisce «privo di spirito e pensieroso» (low-spirited and thoughtful) e costituisce quindi la seconda diagnosi di anoressia storicamente registrata da un medico.
Dopo un intervallo di quasi cento anni, nel 1860, Louis-Victor Marcé, un medico di Parigi, come Morton e Whytt, arrivò alla conclusione che tra le varie forme di deperimento alimentare alcune hanno un’origine psicologica e notò che il fenomeno colpiva per lo più giovani ragazze nel momento del primo sviluppo fisico «che arrivano alla convinzione delirante che esse non possono o non devono mangiare ».
Nel 1873 un altro medico francese, Charles Lasègue, riportò otto casi di emaciazione e deprivazione alimentare su base psicologica, sottolineando la sofferenza emotiva dei pazienti. In quello stesso 1873, circa sei mesi dopo, a Londra William Gull descrisse tre casi e li denominò per la prima volta con il termine che si sarebbe poi universalmente affermato: anoressia nervosa. Due anni dopo, nel 1875, anche in Italia vengono studiati due casi da Giovanni Brugnoli, a Bologna.
In questi stessi anni un altro medico francese, Charles Charcot JM (1889), riconosce per primo, nelle pazienti anoressiche, la preoccupazione concernente l’immagine corporea e la ricerca ad ogni costo nel dimagrimento. Nei decenni successivi, dopo che Morris Simmonds, anatomo patologo danese, nel 1914 descrisse il caso di una donna deceduta per grave cachessia ipofisaria, qualsiasi quadro di defedamento organico e di alterazioni metaboliche verrà spesso attribuito a disturbi di natura fisica, per lo più endocrinologica, considerandolo una forma di grave insufficienza funzionale della ghiandola ipofisaria.
Dobbiamo arrivare al ventesimo secolo quando con gli studi di Hilde Bruch (1973, 1982) e di Mara Selvini-Palazzoli (1974) si riaffermerà il nucleo psicopatologico sotteso ai disturbi del comportamento alimentare. Hilde Bruch distingue tre criteri patognomonici fondamentali:

  1. disturbo dell’immagine corporea , in assenza preoccupazione per gli stadi anche gravissimi di emaciazione e/o di alterazioni organiche, nella difesa del proprio aspetto come giusto e normale;
  2. mancanza di un’adeguata percezione degli stimoli provenienti dal corpo: negazione della fame, essere estremamente iperattivi anche in presenza di esaurimento di energia, mantenere posture disagevoli;
  3. senso paralizzante d’inefficacia e d’impotenza, caratterizzato dalla costante paura di ingrassare e di perdere il controllo sugli istinti, in particolare sull’assunzione di cibo.

Nel 1990, Richard A. Gordon interpreta la rapida diffusione dei disturbi del comportamento alimentare come una vera e propria epidemia sociale, analizzandone gli aspetti socio-culturali. Oggi possiamo notare come la loro diffusione si accompagni anche ad importanti modificazioni delle caratteristiche psicopatologiche; le forme di disagio che assumono appaiono di volta in volta diverse perché fattori “patoplastici” legati al contesto specifico, alla cultura e ai decorsi storico – sociali di ogni paese, possono agire in modo predisponente e modellante su queste manifestazioni del malessere.
È successo nel corso della pandemia da Covid-19. I dati di un’indagine Survey diffusi dal ministero della Salute documentano un aumento del 30% di persone affette da disturbi alimentari nel primo semestre del 2020 e un peggioramento delle situazioni già preesistenti. L’interruzione delle attività quotidiane, l’isolamento sociale e la paura del contagio sono stati fattori facilitanti l’insorgenza della patologia o di una situazione al limite; contemporaneamente sono venuti a mancare fattori di protezione come il supporto sociale e l’accesso ai trattamenti di cura.

Un aspetto dei Disturbi del Comportamento Alimentare da richiedere oggi grande attenzione, è la innumerevole variabilità di forme con cui si manifestano, “forme mutanti” ; pertanto le due principali patologie, Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa, rappresentano gli estremi di un continuum di una serie di quadri intermedi, inseriti nella categoria dei “disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati” , di cui fanno parte quadri talvolta transitori o con manifestazioni cliniche “subliminali” e incomplete che richiedono comunque una presa in carico globale.
Sono comparsi anche se in misura ridotta disturbi alimentari maschili, assenti fino a 10 anni fa, con espressioni nuove della patologia (Bigoressia e Ortoressia) e disturbi infantili con forme purtroppo estremamente severe e difficili da trattare.

Eziopatogenesi

I Disturbi del Comportamento Alimentare sono patologie di origine multifattoriale, una varietà di fattori ne determinano l’insorgenza, il decorso e gli esiti. Garner D. M. (1993) ha indicato un modello di studio multifattoriale in cui spiega l’insorgenza e il permanere del disturbo attraverso 3 tipi di fattori di rischio che agiscono in modo consecutivo:

  1. fattori predisponenti, di tipo genetico, psicologico, ambientale che aumentano la vulnerabilità della persona a sviluppare il disturbo del comportamento alimentare;
  2. fattori precipitanti, eventi o situazioni scatenanti l’insorgenza del disturbo;
  3. fattori di mantenimento, di tipo psicologico, fisico e ambientale che impediscono il ritorno alla normalità attraverso un “circolo vizioso” del perdurare della malattia. A questa situazione contribuisce anche la stessa malnutrizione, conseguente a restrizioni alimentari, abbuffate, vomito autoindotto, così da innescare anomalie neuroendocrine nelle risposte fisiologiche preposte al controllo del comportamento alimentare.

Obbiettivo di molte ricerche è riuscire a riconoscere fattori di rischio specifici così da individuare segni e sintomi premonitori e distinguere fin dall’esordio i casi che manifesteranno la patologia. La Tabella 1 riassume i fattori di rischio, specifici e aspecifici, e di protezione sui quali le ricerche più recenti maggiormente concordano (Cuzzolaro, 2010).

Alcuni fattori sono molto diffusi nella popolazione giovanile di oggi, tuttavia possiamo riconoscere alcuni gruppi di ragazzi/e che sono più a rischio di sviluppare un disturbo alimentare. Bambini e adolescenti in sovrappeso sono molto preoccupati per il loro peso corporeo perché “stigmatizzati” e presi in giro a causa del loro aspetto fisico, iniziano a mettersi a dieta, con frequente perdita di controllo, e se non trovano un sostegno familiare e sociale, possono entrare in un disagio che conduce verso un disturbo alimentare.
Danzatrici, modelle, atlete e giovani pazienti con diabete di tipo 1 e malattie croniche intestinali rappresentano gruppi per i quali è stato evidenziato che il rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione sia più elevato della media. È comunque sempre da evitare una medicalizzazione eccessiva, che può portare ad effetti negativi iatrogeni, soprattutto in una età come quella adolescenziale caratterizzata spesso da crisi di passaggio transitorie e funzionali alla maturazione biologica e psicologica.

Ci troviamo quindi di fronte a quadri complessi anche perché il malessere psichico, manifestandosi con il rifiuto del cibo e/o con condotte di eliminazione, si associa a danni significativi della salute fisica, che vengono sottovalutati da parte della persona per una scarsa consapevolezza e rifiuto di malattia e possono portare ad emergenze mediche severe fino al ricovero ospedaliero Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i disturbi del comportamento alimentare rappresentano la seconda causa di morte nella popolazione femminile in adolescenza dopo gli incidenti stradali e il tasso di mortalità dell’anoressia nervosa supera il 10% collocandosi come la malattia psichiatrica a tasso di mortalità più elevato.

Il quadro organico , soprattutto nelle prime fasi, è di difficile interpretazione in quanto va considerato che spesso è presente una normalità degli esami di laboratorio poiché si attivano fenomeni di adattamento legati al deficit nutrizionale che possono falsare gli usuali esami ematochimici. In questo intrecciarsi, quindi, di fenomeni di adattamento e patologici emergono tutte le difficoltà per poter distinguere i segni clinici potenzialmente gravi e intervenire nel modo opportuno. È indubbio che la malnutrizione sia la principale causa delle complicanze mediche più comuni nei pazienti con disturbi del comportamento alimentare.
Le persone malnutrite hanno scarse riserve di carboidrati, con rischio di episodi ipoglicemici nei momenti di maggior richiesta energetica; sono a rischio di squilibri metabolici ed elettrolitici, che possono aumentare l’insorgenza di aritmie cardiache, una delle cause più severe nel decorso di malattia che può portare anche a morte; presentano malfunzionamento intestinale con stipsi ostinata che induce all’assunzione di lassativi in modo eccessivo con conseguente alterazioni elettrolitiche.
Pertanto tutto il corpo, con i suoi organi e apparati, viene indotto a mettere in campo tutte le modificazioni possibili di adattamento finalizzate alla sopravvivenza. Sul piano endocrinologico – metabolico troviamo molteplici alterazioni che rivestono in gran parte un significato adattativo ma che possono anche contribuire allo sviluppo e al mantenimento di alcune complicanze cliniche.
Gli aspetti neuroendocrini si modificano in relazione allo stadio evolutivo della malattia e riflettono il suo andamento. Nelle ragazze spesso l’amenorrea e le irregolarità mestruali, da ipogonadismo di origine centrale, ipotalamo – ipofisario, sono antecedenti alla perdita di peso e possono persistere anche dopo il recupero del peso corporeo, fino a che non si manifesterà un miglioramento stabile della condizione psicologica.
Mediante gli studi delle neuroscienze che hanno dimostrato i meccanismi che legano la vita mentale con la vita biologica, oggi si possono spiegare molti degli aspetti neuroendocrini presenti nei disturbi del comportamento alimentare ed in generale nelle malattie con nucleo psicopatologico di base.

Fra i meccanismi adattativi la sintesi preferenziale della forma biologicamente inattiva, reverseT3 , invece dell’ormone attivo T3 , la cosiddetta “ low T3 syndrome “, è espressione di una alterazione metabolica periferica che permette una riduzione della spesa energetica in una situazione di grave malnutrizione. Clinicamente si possono osservare sintomi tipici dell’ipotiroidismo bradicardia, intolleranza al freddo, stipsi, ipotensione, che sono comuni a tutti i soggetti malnutriti. Al contrario il dimagrimento, l’iperattività motoria non si accordano con il quadro di deficit della funzionalità tiroidea, ma si ricollegano agli aspetti comportamentali tipici di questa patologia. Allo stesso modo le anormalità nella secrezione dell’ormone dell’accrescimento, HGH, che si presenta elevato, sembrano finalizzare l’azione alle funzioni metaboliche essenziali piuttosto che per la crescita.
Parallelamente si presentano molti ridotti i livelli di Somatomedina C ( o IGF-1, fattore di crescita insulino-simile ); questi sono correlabili con il basso apporto proteico e possono essere usati come un valido indice per valutare lo stato nutrizionale del paziente in quanto varia in stretta relazione con la quantità e la qualità dell’alimentazione ancora prima delle modificazioni ponderali.
Lo stress cronico è la causa delle alterazioni neuroendocrine del sistema Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, che si manifestano con aumentati livelli basali urinari e plasmatici di cortisolo e spesso anche da assenza del ritmo circadiano del cortisolo e dal suo ridotto metabolismo a livello periferico.

L’ipercortisolismo, il deficit di Somatomedina C, l’ipogonadismo, accanto alla malnutrizione e al basso peso corporeo, rappresentano i maggiori fattori coinvolti nel difetto di mineralizzazione ossea di queste pazienti. L’iponutrizione e la malnutrizione in età adolescenziale impediscono il raggiungimento di un adeguato picco di massa ossea; l’osteopenia interessa sia la parte trabecolare che corticale dell’osso così da provocare anche l’insorgenza di fratture spontanee. Il recupero del peso corporeo, la ripresa dei cicli mestruali può in parte migliorare la mineralizzazione ossea, tuttavia pazienti con amenorrea primaria, pazienti con durata di malattia di oltre 6 anni presentano un rischio di frattura sei – sette volte superiore rispetto a quello di una persona sana di pari età.

Gli studi sui neuropeptidi modulatori dei meccanismi fame – sazietà, quali leptina e ghrelina, hanno dimostrato che la regolazione fisiologica della loro secrezione viene mantenuta in relazione allo stato nutrizionale. Dunque i livelli di leptina, ormone prodotto dalle cellule del tessuto adiposo con effetti anoressizzanti , sono francamente ridotti in questi quadri patologici contraddistinti da severa perdita del grasso corporeo. Con il recupero ponderale le concentrazioni ematiche di leptina aumentano, mostrando dei picchi anche più elevati rispetto a controlli normali, come dimostrato da alcuni studi condotti in pazienti durante le fasi di rieducazione alimentare.
Anche se necessitano di ulteriori approfondimenti, questi rilievi potrebbero suggerire un ruolo della leptina nelle difficoltà di recupero ponderale in corso di rialimentazione in alcuni pazienti. La ghrelina è un peptide prodotto durante il digiuno prevalentemente dalle ghiandole del fondo dello stomaco; ha azione oressizzante, di stimolo all’assunzione del cibo e riduce il metabolismo basale. Lo troviamo secreto anche dalle cellule delle aree centrali ipotalamiche e ipofisarie, dove stimola la secrezione dell’ormone somatotropo. Nei pazienti con disturbo del comportamento alimentare è presente ipersecrezione di questo neuropeptide come fisiologico tentativo di compenso nei confronti della mancata assunzione calorica e della carenza di depositi energetici. Tutto questo è reversibile e viene corretto dal recupero ponderale.

Altri neuropeptidi sono coinvolti nelle disfunzioni neuroendocrine riscontrate nei quadri di disturbi del comportamento alimentare; come rilevato in indagini cliniche sono presenti anomale concentrazioni di Neuropeptide Y, peptidi oppioidi, colecistochinina, CRH. Questi rilievi, oltre che ad un interesse speculativo e di ricerca, possono dare un contributo ai vari aspetti fisiopatogenetici dei disturbi del comportamento alimentare e, visto il loro modificarsi nelle diverse fasi della malattia, costituiscono indici diagnostici e di controllo dell’evoluzione del quadro patologico.

Siamo di fronte quindi a malattie molto complesse che richiedono il coinvolgimento di discipline diverse, con approccio integrato in modo da coglierne tutti gli aspetti, conoscerli e poter intervenire, per quanto possibile, in fase precoce rispetto all’insorgenza del disturbo; è infatti ormai riconosciuto a livello clinico che il trattamento intrapreso nelle prime fasi di malattia è più efficace e previene le comorbidità e la cronicizzazione, due aspetti importanti per il decorso e per la prognosi dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

 

1 – “Haiku nei Disturbi del Comportamento Alimentare”, Marucci S., Tiberi S., 2013

 

Bibliografia

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Bruch H “La gabbia d’oro – l’enigma dell’Anoressia Mentale“ 1978, ed. italiana, 1983, Feltrinelli Editore, Milano

Bruch H “Anoressia – Casi clinici” 1988, Raffaello Cortina Editore, Milano

Cuzzolaro M “Intervento integrato di prevenzione primaria e secondaria dei disturbi dell’alimentazione e del peso corporeo in una popolazione scolastica adolescenziale“, in “Il coraggio di guardare” 2010, ed. e cura Istituto Superiore di Sanità

Dalla Ragione L “La casa delle bambine che non mangiano“ 2005, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma

Donaldson AA et al. “Skeletal Complications of Eating Disorders“ 2015, Metabolism 64(9): 943-951

Gordon RA “Anoressia e Bulimia . Anatomia di una epidemia sociale“ 1991, Raffaello Cortina Editore, Milano

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Ostuzzi R , Luxardi GL “Figlie in lotta con il cibo“ 2003, Baldini Castoldi Editore, Milano

Quaderni del Ministero della Salute n. 17/22 “Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione” 2013

Quaderni del Ministero della Salute n. 29 “Linee di indirizzo nazionale per la riabilitazione nutrizionale dei disturbi dell’alimentazione“ 2017

Selvini Palazzoli M “L’Anoressia Mentale: dalla terapia individuale alla terapia familiare“ 1998, Raffaello Cortina Editore, Milano

 

*Il presente contributo costituisce il contenuto della relazione della dottoressa Deanna Belliti nell’ambito della 4°conferenza scientifica “Giancarlo Piperno”, dedicata al tema “La nutrizione e le sue condizioni problematiche. «Il cibo nel servar salute e nel recupero della sua parte perduta» (Castore Durante da Gualdo Tadino, 1529.1590)” e tenutasi a Pistoia il 29 aprile 2022. Il convegno è stato organizzato dalla Fondazione Filippo Turati.

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La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

16/01/23 - Redazione

Una delle notizie che il sistema dei mass media ha più ampiamente prima selezionato e poi diffuso – nel contesto della pandemia da Covid 19 – è stato quella del presunto fallimento delle Rsa. Questi contesti residenziali di cura sono stati descritti, soprattutto nei primi mesi della pandemia, come luoghi pericolosi e incontrollabili, dove il virus ha generato una vera e propria “strage” tra gli ospiti anziani e anche tra gli operatori.

Capri espiatori e strategia dello struzzo

La narrazione delle Rsa come luoghi pericolosi ha preso la forma di decine di news televisive, radiofoniche e della carta stampata; i programmi del cosiddetto “approfondimento”, ma anche report e saggi del sistema scientifico (spesso molto polemici nei confronti delle istituzioni regionali o locali in questione). Al pari delle Rsa, quali capri espiatori paragonabili, si contano solo il “sistema ospedaliero-ospedalocentrico” e i modelli sanitari.

A loro volta i politici regionali hanno scelto come causa di tutti i mali, il livello centrale di Governo. Ne è derivato un ping-pong senza costrutto che ha fatto dimenticare altre cose altrettanto rilevanti. Il “meccanismo del capro espiatorio” funziona sempre come deresponsabilizzazione collettiva e fuga dalla realtà. Il “sacrificio” del Capro rimette in equilibrio la comunità che espelle il male esternalizzandolo: un male di cui essa stessa è responsabile.

Società senza centro e senza vertice

Nella realtà, se una cosa la pandemia la ha insegnata, è che la società attuale non può essere controllata e diretta da nessuna istituzione in particolare. Ciò significa, tra l’altro, che ogni sottosistema sociale – e le sue istituzioni e organizzazioni – sono allo stesso tempo, più autonome e più interdipendenti le une dalle altre. La compresenza di autonomia e interdipendenza sociale serve a chiarire che qualsiasi osservazione critica sulla politica, ha sempre ragione e sempre torto contemporaneamente: ha sempre ragione perché chi ha deciso poteva farlo sempre in modo diverso; ha sempre torto perché comunque qualcuno da dentro al sistema politico dovrà poi decidere senza che la decisione possa essere presa altrove.

In sintesi, le nostre società sono senza centro e vertice (anche se i politici e gli scienziati vorrebbero che non fosse così). L’unica soluzione è una governance adatta alla sfida di questa pluralità sociale crescente che sappia responsabilizzare e coordinare il numero maggiore possibile di protagonisti, orientandoli a obiettivi comuni. Il contrario del meccanismo del capro espiatorio e della strategia dello struzzo.

Fallimento delle Rsa o fallimento del sistema delle cure?

Più evidente, quasi ai limiti della banalità, l’accusa rivolta a ospedali e Rsa di essere “luoghi della morte”. Si tratta infatti di due contesti istituzionali in cui pazienti e operatori sanitari sono obbligati a rimanere per periodi di tempo giornaliero molto lungo, al chiuso e in interazione reciproca, cioè in presenza: e dove i pazienti sono in prevalenza rappresentati da persone fragili, tra cui maggioritarie nelle Rsa gli anziani non autosufficienti con malattie croniche difficilmente trattabili nelle loro case (anche perché in molti casi, le famiglie di origine, se sono presenti, hanno altri problemi da affrontare, parimenti urgenti e non sono minimamente attrezzate a rispondere ai bisogni).

Se a questa necessaria residenzialità si aggiunge anche una certa flessione di risorse a disposizione – soprattutto di operatori sociosanitari (che durante la pandemia sono stati “saccheggiati” da ospedali e da strutture pubbliche) – e un tipo di cura fortemente medicalizzato, diventa evidente come il virus, una volta entrato, abbia trovato lo spazio-tempo migliore per proliferare. Il problema però non è risolvibile attribuendo a questi luoghi residenziali una qualche qualità mostruosa, come se fossero stati gestiti internamente da delinquenti o incompetenti.

Il problema è che durante la prima fase della pandemia tutto il “sistema” ha preso decisioni che hanno avverato le peggiori profezie! Le chiusure delle Rsa, in netto ritardo con le notizie che già si avevano sulla circolazione del virus; l’ospedalizzazione dei pazienti, senza che agli operatori fossero stati forniti di dispositivi di protezione individuale (Macchioni e Prandini, 2022); lo spostamento di pazienti dagli ospedali alle Rsa; la richiesta successiva che le Rsa si chiudessero assolutamente all’interno per evitare (sic!) nuovi problemi di contagio; la ricerca spasmodica di operatori sanitari sottratti alle residenze stesse, etc. Tutto questo “circuito chiuso” di decisioni affrettate e difficili, spesso però molto orientato a scaricare problemi altrove – a smentire sul campo la retorica sempre presente d’integrazione e collaborazione istituzionale – ha fatto il resto. Che però si sia trattato di un fallimento di sistema basta pochissimo a mostrarlo.

Le analisi del caso sono arcinote e alcune tendenze erano già chiare da tempo:

  1. tendenziale accentramento delle “cure” negli ospedali
  2. punto di accesso prevalente alla cura dai pronto soccorso
  3. tendenziale perdita d’identità funzionale dei medici di base
  4. sottofinanziamento e sottovalutazione dell’assistenza domiciliare
  5. utilizzo massiccio delle “badanti” e di denaro privato per cure a medio termine
  6. differenziali territoriali ai limiti del tollerabile con conseguente mercato sanitario inter-regionale
  7. spinte alla privatizzazione degli erogatori di cure accreditati pubblicamente attirati da una spesa familiare in aumento, etc.

Questa fisionomia del “sistema” era così nota che da decenni si parlava della necessità di una riforma del “sistema”, se non già di riformare le riforme. Che si poteva fare? Infine, la controprova della non colpa generica delle Rsa si è avuta con l’inizio della campagna vaccinale. Tutti i dati hanno mostrato che la circolazione del virus è scesa in concomitanza della campagna vaccinale del gennaio 2021 sia tra gli ospiti che tra gli operatori sanitari fino quasi a sparire, mentre fuori continuava pur con meno virulenza. Le Rsa sono diventate i posti più sicuri, ma questo naturalmente non ha fatto notizia. Nonostante tutto ciò sia conoscenza comune, la cattiva reputazione creata dai media e dalle istituzioni permane abbastanza salda. Questa persistenza ne rivela la funzione di “semplificazione”, colpevolizzazione e scarico di responsabilità, tipica di un rituale sacrificale che serve a identificare una vittima capace di attirare l’attenzione per non vedere altro.

Riforma di sistema o riconoscimento delle innovazioni già in atto?

In effetti da molte parti sono arrivate proposte di riforma, alcune dell’intero sistema, altre più focalizzate su singoli aspetti dello stesso.
Tutti i “riformisti” hanno sottolineato alcuni aspetti che ci interessa enucleare. Ne sottolineiamo in particolare quattro:

  1. la critica alle Rsa come luoghi pericolosi, poco controllabili, gestiti prevalentemente senza pensare ai bisogni degli utenti e poco innovativi dal punto di vista del servizio di cura erogato
  2. le Rsa come luoghi della istituzionalizzazione di anziani che potrebbero essere rimessi “in libertà”
  3. l’Assistenza domiciliare come risposta positiva e sostitutiva alla crisi delle Rsa
  4. l’housing e co-housing come nuova modalità di ripensare i servizi residenziali.

Tutti e quattro i punti hanno evidentemente delle ragioni, ma nel loro essere estremamente generici producono effetti perversi e non intenzionali, tra i quali:
a) “fare di tutta l’erba un fascio” senza distinguere le diverse situazioni;
b) inscenare un “salto miracolistico” da una situazione descritta come del tutto negativa a un’immaginata come del tutto positiva, senza riconoscere ciò che già c’è di buono e di innovativo che va mantenuto e sviluppato;
c) dimenticare che i problemi delle Rsa derivano fortemente dal sistema istituzionale e territoriale dove sono radicate;
d) sopravvalutare alcune possibili innovazioni certamente rilevanti, generalizzandole come una panacea a tutta la realtà.

Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. In primo luogo, non è vero che il mondo delle Rsa sia tutto uguale, indifferenziato. Al contrario esistono universi paralleli sia dal punto di vista organizzativo, giuridico, territoriale quanto da quello culturale. Questa differenza è stata quasi del tutto nascosta dalle analisi critiche, ma non può essere ulteriormente taciuta. Moltissime delle innovazioni che sono presentate come capaci di innescare il cosiddetto “cambio di paradigma” sono già in atto, anticipate e ben radicate in eccellenze territoriali. Soprattutto dal punto di vista della organizzazione dei servizi e della loro innovatività moltissime buone prassi sono già esistenti.

Come abbiamo cercato di spiegare, e come è assolutamente evidente dai dati e dalle ricerche nazionali, le Rsa non sono entità isolate dal contesto istituzionale. Sono invece parti del sistema a filiera della salute che può trovare una maggiore o minore, migliore o peggiore, territorializzazione e reticolazione. Da questo punto di vista pensare di sostituire le Rsa, almeno per quel tipo specifico di anziani non autosufficienti che normalmente accolgono, con un generico quanto illusorio ritorno in famiglia non pare una strada percorribile in molti casi. Non si deve confondere la residenzialità con l’istituzionalizzazione, la permanenza in strutture speciali come diniego della familiarità o della possibilità di rimanere in contatto con la famiglia. Il vero tema è quello di connettere meglio processi simultanei di domiciliarizzazione e de-domiciliarizzazione, di residenzialità temporanea e durevole che vadano a costruire una rete territoriale di servizi plurali, adatti a diversi bisogni e capaci di connettersi in modo continuo: una filiera di servizi e di risposte di cura e di presa in carico che vada a costituire un continuum spazio-temporale. L’assistenza domiciliare e la residenzialità non sono assolutamente da mettere in alternativa, ma in sinergia.

La continuità spazio-temporale delle cure, secondo le organizzazioni della cura

A nostro parere, cogliere le opportunità di cambiamento dovute alla drammatica situazione pandemica è necessario per non permanere in una situazione sociosanitaria che ha mostrato ormai definitivamente i suoi limiti e che non è più proponibile: incredibilmente è quello che sta accadendo! Per farlo, però, bisogna cercare di essere più realistici e partire dalla situazione attuale. Il quadro del ragionamento è questo: qualsiasi riflessione sulle Rsa o su ogni altro aspetto istituzionale delle cure sociosanitarie, va trattato all’interno del “sistema” della sanità che a sua volta è solo un pezzo della generazione di salute che si svolge ben oltre i suoi confini istituzionali e organizzativi. Se occorre riformare, la riforma dovrà essere di sistema e di filiera. Nessuna proposta limitata a mere “parti” del sistema – e che non tenga conto del più vasto ambiente salutogeno – potrà mai cogliere nel segno.

Il sistema è rappresentabile come un continuum di “risposte sociosanitarie” alle domande degli utenti e delle loro famiglie, ognuna delle quali adeguata ai loro problemi peculiari, ognuna con punti di forza e di debolezza. Insieme agli attori del sistema sociosanitario sta il suo ambiente correlato di riferimento, quello dei bisogni-domande degli utenti e delle famiglie che vanno codificati dal sistema per poter essere “letti” ed “inclusi” in esso. Ma nell’ambiente del sistema sociosanitario, abbiamo anche le regole istituzionali, l’economia dei servizi, le decisioni politiche, la ricerca scientifica, etc.

La centralità è della “persona anziana” a cui tutte le parti in gioco si riferiscono per rendere la sua vita la più degna possibile, nelle sue specifiche condizioni psicofisiche e nei pressi più vicini del suo contesto quotidiano di riferimento, quale che esso sia.

Bibliografia

Macchioni E., Prandini R. (2022), Elderly Care during the Pandemic and its future Transformation, in Italian Sociological Review, 12, 6S,  247-267.

Di Elena Macchioni, Riccardo Prandini (Alma Mater Università di Bologna)

Pubblicato il 2 dicembre 2022 su “I luoghi della cura online” a questo link:

La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

 

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Non autosufficienza, le proposte per cambiare la legge di Bilancio

13/12/22 - Redazione Secondo Welfare

Nel testo della Legge di Bilancio 2023 presentato dal Governo Meloni sono totalmente assenti interventi per gli anziani non autosufficienti, i loro familiari e gli operatori professionali che li assistono ogni giorno. È quanto segnala il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che parla di 10 milioni di persone dimenticate, per cui non è stata spesa neanche una riga della Manovra.

Le 52 organizzazioni che compongono la coalizione sociale del Patto – tra cui Percorsi di secondo welfare – hanno espresso sorpresa e preoccupazione per l’attuale testo della Legge di Bilancio, ma invece di limitarsi a protestare hanno optato per la presentazione di un dettagliato pacchetto di proposte da inserire subito nella manovra che è ora all’attenzione del Parlamento.

Il contesto di riferimento

Nel documento “Prime misure per gli anziani non autosufficienti. Per non sprecare il 2023” il Patto ricorda come, anche in seguito alle richieste e alla pressione fatte in tal senso, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza preveda la realizzazione della riforma dell’assistenza agli anziani. Proprio perché inserito nella cornice del PNRR, entro marzo 2023 il Parlamento dovrà approvare una Legge Delega del tema ed entro marzo 2024 il Governo dovrà predisporre i Decreti Delegati per l’attuazione della riforma.

Il testo di partenza è lo Schema di Disegno di Legge Delega approvato il 10 ottobre scorso dal Governo Draghi: numerose delle sue parti riprendono le proposte del Patto e le indicazioni suggerite per la Legge di Bilancio riguardano proprio alcuni aspetti della riforma già ben definiti e, quindi, immediatamente applicabili.

Metterli in pratica nel 2023 significherebbe pertanto evitare di sprecare il prossimo anno. Secondo il Patto, infatti, occorre cominciare a fornire subito migliori risposte ad anziani e famiglie e utilizzare il tempo che precede la riforma per iniziare ad indirizzare i territori nella sua direzione, dato che l’attuazione di una simile riforma è sempre ben più lunga e complicata di quanto si pensi.

La proposte del Patto per la Legge di Bilancio

Nello specifico, tenuto conto dei limiti imposti dalla crisi energetica e dall’inflazione, il Patto ha elaborato delle proposte facendo in modo di minimizzare l’impatto per le casse dello Stato. Lo si evince dalla limitata cifra di spesa aggiuntiva prevista, di circa 300 milioni di euro, e dall’utilizzo dei fondi del PNRR con una riconversione delle risorse. La scelta è stata quella di proporre un’azione compatibile con la situazione attuale della finanza pubblica e di iniziare ad avviare la progettualità traducendo in pratica alcuni benefici della riforma già chiaramente delineati. Le misure su cui investire sono tre, una per ognuno dei principali ambiti del settore.

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Non autosufficienza: le proposte del Patto per cambiare la Legge di Bilancio

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Fragilità: conoscerla per contrastarla

28/11/22 - Luciano Pallini

Si ringrazia la dr.ssa Lucia Galluzzo dell’Istituto Superiore di Sanità per i preziosi suggerimenti. Resta inteso che la responsabilità dell’articolo è tutta e soltanto del suo Autore.

 

“Oggi i tempi sono maturi per rivedere tutto il sistema della assistenza alla popolazione anziana. Con un corpo di provvedimenti che interessino i non autosufficienti, i soggetti fragili ed anche e soprattutto coloro che fragili ancora non lo sono ai quali deve essere assicurata la possibilità di mantenere la propria autonomia il più a lungo possibile”.

Così Nicola Cariglia, il compianto presidente della Fondazione Turati, apriva a Firenze il 2 luglio 2021 il convegno “Oltre la RSA. Verso una long term care inclusiva”[1]: e tuttavia, stante la drammatica urgenza delle tematiche della disabilità e non autosufficienza, la condizione della fragilità restava in secondo piano, da non pochi considerata sinonimo di disabilità, invecchiamento e multimorbilità.

Si aggiunga che, mentre disabilità e non autosufficienza per gli interventi di assistenza e cura che richiede al sistema sanitario nazionale ed agli enti territoriali, sono ben documentate nella domanda di prestazioni e nella capacità e modalità di risposta, sia dalle statistiche ufficiali sia per opera di ricercatori e studiosi a servizio di organizzazioni della società civile (per tutte si ricorda il Network per la Non Autosufficienza (NNA) con i suoi sette rapporti dal 2009 al 2020), assai scarsa è la ricerca e la documentazione statistica afferente la condizione di fragilità, a partire da una confusione terminologica.

 

  1. Lo stato dell’arte a livello internazionale: la Joint Action ADVANTAGE

Sul tema è stata realizzata la Joint Action europea ADVANTAGE per la prevenzione della fragilità che ha individuato, nell’ampia rassegna della situazione nei diversi paesi partecipanti, diverse aree problematiche:

  • La mancanza di consenso internazionale su come definire e misurare la fragilità, che rende difficile programmare ed intervenire per la prevenzione, la gestione clinica e le attività di ricerca.
  • La necessità di distinguere fra fragilità e multimorbidità, due sindromiche si sovrappongono e sono talvolta usati in modo intercambiabile per descrivere vulnerabili adulti più anziani.
  • L’assenza di una definizione comune comporta che vi sia  un’ampia variazione nei risultati del studi sulla prevalenza della fragilità, su come la fragilità comune è in contesti diversi (comunità, cure primarie, ospedali, case di cura) e se esista una differente frequenza tra  da paese a paese, così come sono insufficienti le informazioni su quanti nuovi casi sono prevedibili  in futuro, su quanti  individui diventeranno fragili o usciranno  da questa condizione, su quali siano  i fattori che determinano la transizione  a stadi diversi di fragilità.
  • L’assenza di una definizione condivisa ha prodotto una molteplicità di strumenti per lo screening e la diagnosi della fragilità contribuisce, complicando ulteriormente il confronto tra attività di prevenzione e gestione: serve identificare e selezionare gli strumenti più appropriati attraverso l’applicazione di criteri ben definiti. Resta anche da chiarire fattibilità e potenziali benefici dello screening e del monitoraggio sistematici a livello di popolazione.
  • Poiché la fragilità può essere potenzialmente prevenuta e curata, in particolare con interventi precoci, vanno approfondite le conoscenze su quattro aree specifiche di intervento ad oggi efficaci o promettenti nella prevenzione e nella gestione clinica di fragilità: alimentazione, attività fisica ed esercizio fisico, farmaci e informazioni e tecnologie della comunicazione (TIC).
  • Gli attuali modelli sanitari e di assistenza sociale non sono in sintonia con le sfide che an comporta una crescente presenza di fragilità tra le persone: l’assistenza integrata è ormai ritenuta il modo più efficace per migliorare i risultati per le persone con malattie croniche e bisogni complessi di assistenza e supporto, e da questa potrebbero trarre vantaggi  anche le persone fragili, anche se ad oggi  vi sono  pochi dati  dagli studi di costo-efficacia a sostenere questa ipotesi.
  • In ultimo, c’è bisogno di competenze, attualmente assenti nei curricula dei corsi di laurea e post-laurea dei professionisti della salute e dell’assistenza, per rendere possibile il ridisegno dei sistemi sanitari e di assistenza sociale per affrontare la fragilità.

 

  1. Strumenti e risultati

Molti strumenti sono stati proposti e vengono utilizzati per identificare (screening e diagnosi) individui fragili nella pratica clinica e per la rilevazione della frequenza della fragilità a livello di sanità pubblica.

Tra tutti gli strumenti disponibili, ADVANTAGE JA propone quelli che soddisfano  determinate caratteristiche.

Per lo screening vengono suggeriti nove strumenti: Clinical Frailty Scale; Edmonton Frailty Scale; Fatigue, Resistance, Illness, Loss of Weight Index (FRAIL Index); Gait Speed; Inter-Frail; Prisma-7; Sherbrooke Postal Questionaire; Short Physical Performance Battery (SPPB)  Study of Osteoporotic Fractures Index (SOF).

Per la diagnosi sono consigliati: 1. Frailty Index of accumulative deficits, 2. Frailty  Phenotype 3.  Frailty Trait Scale, descritti nella tabella sottostante.

La prevalenza in epidemiologia misura la proporzione di “eventi” presenti in una popolazione in un determinato momento (analisi statica), nello specifico di soggetti fragili sul totale della popolazione oggetto di analisi.

La prevalenza della fragilità riportata in più studi su campioni di comunità varia dal 2% al 60%, a seconda di fattori quali l’età della popolazione studiata, e lo strumento di valutazione della fragilità o la classificazione utilizzata: gli studi analizzati alla scala europea all’interno di ADVANTAGE hanno mostrato una prevalenza stimata del 12%.

Nei nove studi italiani riportati la prevalenza oscilla tra 6,5% ed il 23,0% per gli studi su comunità, dato che sale al 38,0% nello studio condotto in setting ospedaliero geriatrico.

Assai meno definiti ed omogenei – anche a causa di diverse definizioni, setting e popolazioni –  appaiono i dati relativi all’incidenza (definita come la proporzione di “nuovi eventi” che si verificano in una popolazione in un dato lasso di tempo), alla progressione temporale e in generale ai fattori protettivi e di rischio a essa associati, con evidenze poco omogenee.

Soprattutto viene segnalata la insufficienza di studi longitudinali, sudi che effettua ripetute osservazioni dello stesso gruppo di persone in un lungo periodo di tempo, anche per  decenni

 

  1. La fragilità nella “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2017-2021” del Ministero della Salute

La relazione offre una compiuta definizione della fragilità come” condizione a se stante, età-correlata e multifattoriale, caratterizzata da un’aumentata vulnerabilità agli eventi avversi di origine endogena ed esogena, che espone l’individuo a una sorta di accelerazione del naturale processo di depauperamento della capacità funzionale (intesa come interazione tra ambiente di vita e risorse fisiche e mentali individuali), aumentando il rischio di esiti di salute negativi. In questo processo la disabilità rappresenta uno degli outcome principali. Essendo una condizione dinamica, potenzialmente reversibile, la fragilità offre ampie opportunità di intervento”.

La Relazione richiama poi i risultati della unica indagine longitudinale sull’invecchiamento (ILSA), che ha seguito nel tempo la storia naturale di una coorte e le modificazioni delle condizioni di salute di un vasto campione di anziani italiani, di età 65-84 anni, selezionati con metodo random dalle liste anagrafiche di 8 centri coinvolti. La coorte è stata approfonditamente esaminata periodicamente nel corso di indagini iniziate nel 1992, ripetute nel 1995 e nel 2000 e analizzate in seguito attraverso un follow-up di mortalità della durata di 10 anni, e tuttora in corso.

Su un campione di 2.457 persone di questa coorte di anziani ,  è stata realizzata l’analisi longitudinale della frequenza della fragilità e dell’associazione con i nuovi casi di disabilità [mancanza di autonomia valutata nella scala ADL (Activities of Daily Living) o IADL (Instrumental Activities of Daily Living)] è la fragilità è stata definita sulla base dei cinque criteri del fenotipo fisico di Fried (debolezza/ridotta forza muscolare, ridotta velocità dell’andatura, scarsa attività fisica, perdita di peso involontaria, affaticamento/spossatezza),  assegnando un punto per ogni condizione presente: 0 = non fragile, 1-2 = pre-fragile, ≥ 3 = fragile).

I principali risultati evidenziano che il 4% degli anziani (2,1 % uomini e 5,3% donne) risulta fragile e il 44,6% pre-fragile, con valori differenziati tra uomini (32,1%) e donne (53,3%).

La fragilità aumenta con l’avanzare dell’età, dall’ 1,1% per la fascia 65-69 a 12,8% per gli ultraottantenni, analoga progressione si ha per la condizione di pre-fragilità da37,7% in fascia 65-69 a 55,6% tra gli ultraottantenni.

La prevalenza di queste condizioni è più elevata nei soggetti in peggiori condizioni psico-fisiche e sociali.

La relazione stima che, applicando le frequenze ottenute al segmento di popolazione di età maggiore di 65 anni (censimento 2021), i fragili sarebbero almeno 500.000 e più di 6 milioni i pre-fragili (in maggioranza donne).

Prevalenza Fragilità e Prefragilità per 100 persone

 

Il tasso di incidenza quale risulta dall’indagine è di 7,3 nuovi casi di fragilità per 1.000 persone-anno, con la solita accentuazione per le donne (8,6 contro 5,6) e per le classi di età più anziane.

Il tasso è di 83,7 persone per mille-anno  per la pre-fragilità, più elevato per le donne a 106,0 contro 65,5 degli uomini: non emergono differenze sostanziali invece legate alle classi di età.

Con questi tassi, i nuovi casi attesi annualmente nella popolazione italiana supererebbero 100.000 per la fragilità e 1.200.000 per la pre-fragilità.

 

Incidenza Prefragilità e Fragilità per 1000 persone-anno

Accertare la condizione di pre-fragilità è essenziale per la prevenzione vista l’alta possibilità che si trasformi in  fragilità nel corso del tempo (incidenza di fragilità 14,1 per i pre-fragili contro  1,9 per i non fragili); la condizione di fragilità è, a sua volta, un forte e indipendente fattore di rischio per la disabilità a medio termine, soprattutto nelle ADL; il rischio di diventare disabili nel corso di 4 anni è circa triplo nei fragili e quasi doppio nei pre-fragili, rispetto ai non fragili.

Con l’approvazione nel dicembre 2021 della “Delega al Governo in materia di disabilità” si è messo al centro il progetto di vita personalizzato e partecipato, diretto a consentire alle persone con disabilità di essere protagoniste della propria vita e di realizzare un’effettiva inclusione nella società.

La Relazione sullo stato di salute fissa un programma di lavoro: “Per una risposta efficace alla fragilità, limitando e ritardando l’insorgenza della disabilità, è fondamentale elaborare una strategia articolata di prevenzione, identificazione precoce nei vari setting assistenziali, gestione integrata e multidimensionale, monitoraggio e valutazione d’impatto degli interventi. Tuttavia, tutto ciò implica un approccio innovativo, non più incentrato sul trattamento specialistico e riabilitativo. Inoltre, il raccordo tra servizi sociali, infrastrutture sanitarie e assistenziali, e il potenziamento dell’assistenza personalizzata, territoriale e a distanza sono elementi indispensabili per giungere veramente a una società più inclusiva che faciliti la vita indipendente di tutti, senza lasciare che nessuno resti indietro. In prospettiva futura, un ruolo sempre più importante sarà rappresentato dallo sviluppo e dall’incremento dell’impiego della tecnologia, nelle sue diverse forme e applicazioni”.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. State of the art report on theprevention and management offrailty
    Ángel Rodríguez-Laso, María Ángeles Caballero Mora, Inés García Sánchez, Leocadio Rodríguez Mañas, Roberto Bernabei, Branko Gabrovec, Anne Hendry, Aaron Liew, Rónán O’Caoimh, Regina Roller-Wirnsberger, Eleftheria Antoniadou, Ana María Carriazo, Lucia Galluzzo, Josep Redón, Tomasz Targowski, on behalf of all ADVANTAGE Joint Action partners – https://www.promisalute.it/upload/mattone/documentiallegati/StateoftheArtADVANTAGEJA_13660_3010.pdf
  1. Updated state of the art report on the prevention and management of frailty August 2019 – Ángel Rodríguez-Laso, María Ángeles Caballero Mora, Inés García Sánchez, Cristina Alonso Bouzón, Leocadio Rodríguez Mañas, Roberto Bernabei, Branko Gabrovec, Anne Hendry, Aaron Liew, Rónán O’Caoimh, Regina RollerWirnsberger, Eleftheria Antoniadou, Ana María Carriazo, Lucia Galluzzo, Josep Redón, Tomasz Targowski, on behalf of all ADVANTAGE Joint Action partners – https://www.advantageja.eu/images/SoAR-AdvantageJA_Fulltext.pdf
  1. Prevalence of frailty at population level in European ADVANTAGE Joint Action Member States: a systematic review and meta-analysis
    Rónán O’Caoimh1, Lucia Galluzzo2, Ángel Rodríguez-Laso3, Johan Van der Heyden4 , Anette Hylen Ranhoff5, Maria Lamprini-Koula6, Marius Ciutan7, Luz López Samaniego8, Laure Carcaillon-Bentata9, Siobhán Kennelly1*, Aaron Liew1 on behalf of Work – https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30284550/
  1. Frailty Prevalence, Incidence, and Association with Incident Disability in the Italian Longitudinal Study on Aging Lucia Galluzzoa Marianna Noaleb Stefania Maggib Alessandro Feraldic Marzia Baldereschid Antonio Di Carlod Graziano Ondera the ILSA Working Group – https://www.karger.com/Article/FullText/525581
  1. Ministero della Salute “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2017-2021” – https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3270

 

[1] Gli atti sono disponibili su richiesta presso la segreteria della Fondazione segreteria@fondazioneturati.it

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“Il caro bollette nelle Rsa è un problema sociale”

7/11/22 - Redazione

“Il caro bollette nelle Rsa è un problema sociale, non dei gestori”

di Sara De Carli (pubblicato su Vita.it il 18 ottobre 2022)

“Un viaggio in dieci tappe nelle residenze per anziani non profit alle prese con il caro bollette. Dal Piemonte alla Puglia, dal Veneto e la Sardegna la situazione è la stessa: bollette alle stelle per consumi incomprimibili. Risparmiare sul riscaldamento degli ambienti in cui vivono persone anziane non si può e non si deve, lo dice anche il decreto Cingolani: ma a fronte della richiesta di garantire – giustamente – un ambiente adeguato, secondo quanto richiesto dagli standard di accreditamento, tutti i costi aggiuntivi legati all’impennata del costo del gas stanno in questo momento in capo agli enti che gestiscono queste strutture, perché Stato e Regioni non hanno ancora messo in campo adeguati interventi.

La nostra inchiesta, bollette alla mano, parla di aumenti per i costi energetici che arrivano anche al +350%. C’è chi ha visto aumentare il gas metano del +116% e hi del 164%, mentre la luce è salita del 46% come pure di un +105%. Sacra Famiglia, 23 strutture e 10mila persone assistite ogni anno, nel 2022 prevede di spendere più di 7,1 milioni di euro per riscaldamento ed elettricità, contro i 4,3 milioni del 2021. La cooperativa sociale Gulliver, 29mila utenti, nel 2021 ha sostenuto costi attorno al milione di euro, mentre per il 2022 balza a oltre 3 milioni di euro, se non tre milioni e mezzo. Per Fondazione Don Carlo Gnocchi la bolletta dell’energia elettrica di luglio 2022, a fronte di scostamenti non significativi nei kwh consumati, è quattro volte la bolletta di luglio 2021.

Non è solo questione di prezzi più elevati: ormai siamo al punto che è difficile anche trovare un fornitore. Qualcuno, di fronte alle eccessive esposizioni finanziarie che il sistema richiede in questo momento ha espresso la propria volontà di recesso. Più di una gara per la fornitura di materia prima è andata deserta.

Le strategie per il contenimento di consumi – abbassare la temperatura negli uffici, non sprecare, mettere la valvola su ogni termosifone per poter regolare la temperatura della singola stanza… – sono necessarie e doverose ma di certo non possono cambiare la sostanza della questione: sta entrando in crisi un servizio essenziale per la popolazione, che in questo momento non ha alternative. Serve un intervento delle istituzioni, che ancora non c’è. Anche la toppa tardiva arrivata con il Decreto Aiuti Ter ancora è insufficiente, sia per risorse stanziate sia perché non indica nemmeno qual è la percentuale dei costi aggiuntivi su cui è previsto un aiuto. In queste condizioni non si può neanche dire che si naviga a vista: si naviga completamente al buio.

Con questi aumenti, dice una riceca di Uneba nazionale, gli enti segnano ogni giorno una perdita netta di 11 euro per ciascun ospite. Impossibile reggere a lungo. Anche i più ottimisti dicono che solo per rientrare dalle maggiori spese per l’energia la rette giornaliera dovrebbe aumentare di 6/7 euro al giorno. E per una realtà che ha deciso che dal 2023 aumenterà la retta, in una sola delle sue strutture e di soli uno o due euro, a seconda della tipologia di stanza e di servizio, ce ne sono altre che per sopravvivere stanno già intaccando la capacità di innovare e di curare bene i pazienti: mettendo in tavola cibo di minor qualità, turnando i professionisti con meno tempo per la cura, interrompendo quel percorso che si stava faticosamente realizzando di maggiori relazioni tra le persone fragili e chi di loro si prende cura e fra di loro e il territorio. L’alternativa, per molti, è una sola: chiudere. Scaricando l’intero problema sugli anziani e sulle loro famiglie” (…) continua su Vita.it

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L’articolo originale, firmato da Sara De Carli, è pubblicato a questa pagina, dalla quale è possibile leggere tutte e dieci le tappe dell’inchiesta:

http://www.vita.it/it/article/2022/10/18/il-caro-bollette-nelle-rsa-e-un-problema-sociale-non-dei-gestori/164459/

 

 

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