1. Introduzione: gli anziani e la casa
La popolazione italiana invecchia rapidamente. Il nostro è il Paese in cui la quota di ultraottantenni è più alta, 7,6% (media UE 6,1%) – quasi raddoppiata dal 2001 quando era il 4,2% – e quello in cui la quota di minori di 14 anni è più bassa, 12,7% (media UE 15%). Secondo le stime Istat, tra il 2040 e il 2060 gli anziani raggiungeranno il 33% (attualmente sono il 23%) del totale della popolazione; più nello specifico, la popolazione di 65 anni e più, che oggi rappresenta il 23,5% del totale, entro il 2050 potrebbe arrivare al 34,9%, portando con sé un incremento massivo sia della spesa pubblica previdenziale che di richieste di servizi per l’invecchiamento.
Contemporaneamente, con il calo della natalità si registra un forte aumento dei nuclei senza figli: le famiglie monocomponente over 65 cresceranno del 42% in vent’anni (Istat 2023). Al contempo, i processi di mobilità interna e verso l’estero porteranno i figli più frequentemente lontano dai genitori. Queste tendenze mineranno la stabilità di un modello di welfare come quello italiano, nel quale le attività di cura e assistenza verso gli anziani – ad oggi delegate ai membri più giovani della famiglia – dovranno invece in futuro trovare risposta al di fuori della cerchia familiare, a volte nella comunità, altre nel mercato.
La notizia positiva è che, al momento, la popolazione anziana italiana, a confronto con altri Paesi europei, può contare su un buon ammontare di risorse con cui far fronte alla vecchiaia: risparmi, abitazioni di proprietà, prestazioni previdenziali di discreto importo (l’importo medio mensile della pensione di vecchiaia è di 1.359,53 euro), col risultato che il tasso di povertà assoluta tra gli over 65 è il più basso tra generazioni – pari al 5,3%, quasi un terzo di quello dei minori (14,2%) – e stabile nel tempo – era il 4,5% nel 2005. Tuttavia vi sono inefficienze e fattori di rischio: i costi per i servizi sono estremamente alti – per una badante assunta a tempo pieno e in regime di convivenza una famiglia spende 18.639,12 euro l’anno (Effe 2023); gli importi pensionistici caleranno sensibilmente; spesso le risorse destinate all’invecchiamento sono spese male o non va nemmeno a beneficio dell’anziano – basti pensare a quanto accade per gli assegni di accompagnamento.
Inoltre, una società longeva è una società in cui non solo cresce il numero degli anziani ma anche la complessità delle loro caratteristiche, risorse e bisogni sanitari e sociali. L’invecchiamento infatti non deve essere considerato come una fase unica della vita, ma si possono distinguere almeno tre fasi: (a) silver age (65-74 anni), propria di persone che sono sia beneficiari che erogatori potenziali di servizi, e dunque vanno “mantenuti attivi”, fatti sentire ancora “giovani” e utili, prendendosi cura degli altri; (b) anziani fragili (75-84), per cui occorre favorire la mobilità, la socialità ed evitare il decadimento psico-fisico (difficoltà motorie, depressione, demenza, …); (c) anziani a maggior rischio di non autosufficienza o già non autosufficienti (over 85) che sono beneficiari di servizi di cura e assistenza per contenere il decadimento psico-fisico e garantire la presa in carico nei casi di totale perdita di autonomia (Maino e De Tommaso 2021).
Tradizionalmente le politiche si sono concentrate perlopiù sulla popolazione non autosufficiente, con bisogni conclamati e attraverso risposte emergenziali. Più di recente invece si è cominciato a lavorare anche sul primo e secondo target e a ragionare di un approccio preventivo, con politiche che da un lato allargano il raggio di azione appunto agli anziani ancora autosufficienti e con bisogni di tipo “leggero”, dall’altro alla prevenzione del rischio non autosufficienza anziché alla cura di bisogni già manifesti.
In questo contesto la casa occupa uno spazio centrale: con l’avanzare dell’età da luogo di affetti, sicurezza e protezione essa può diventare luogo di isolamento e fonte di pericolo. Si pensi alla presenza di barriere architettoniche, di abitazioni inefficienti o isolate. Investire nell’abitare per gli anziani è quindi una condizione propedeutica al loro buon invecchiare e al mantenimento della salute. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che la casa non è solo un bene/servizio. Essa è luogo di affetti, identità, memoria, e difficilmente chi la abita è disposto ad abbandonarla, tanto più un anziano di cui l’abitazione raccoglie la propria storia di vita. E’ per questo che si assiste a un maggiore interesse per il cosiddetto “ageing in place”, che consiste nello sviluppo di servizi che consentano alle persone anziane di rimanere a casa propria o in una soluzione di propria scelta (Whitney & Keith, 2006; Milligan, 2009, WHO, 2017). Quando questo non è possibile è utile pensare a soluzioni “fuori casa propria” ma il più possibile simili ad un contesto abitativo che l’anziano possa percepire come uno spazio proprio. In entrambi i casi, come vedremo, l’obiettivo deve essere quello di porre la persona, con i suoi bisogni e desideri, al centro del progetto abitativo, facendo sì che la casa resti un luogo di vita e non solo di cura/assistenza. Questo nella direzione non solo di posticipare l’ingresso in una struttura dedicata, ma facendo sì che la permanenza in abitazione costituisca un fattore di mantenimento di una vita indipendente e di qualità.
Infine, come già accennato sopra, si segnala come parlare di invecchiamento significhi sempre più parlare di relazioni. I cambiamenti demografici e delle reti familiari e amicali comportano infatti un elevato rischio di solitudine, isolamento e povertà relazionale. Se la solitudine, si riferisce a una discrepanza soggettiva e vissuta negativamente tra la qualità e la quantità delle relazioni esistenti e i desideri o gli standard di una persona riguardo a tali relazioni (Machielse, 2015), l’isolamento sociale ha almeno due dimensioni: una dimensione soggettiva, che consiste nella percezione di una privazione delle proprie risorse sociali, come la compagnia o il sostegno sociale (ed è quindi più vicina al concetto di solitudine); e una dimensione oggettiva, che comprende la mancanza di contatti con gli altri a causa di fattori contestuali (ad esempio, una ridotta dimensione della rete sociale, rare interazioni sociali o la mancanza di partecipazione ad attività sociali). I fattori di rischio che portano all’isolamento sociale possono essere psicologici (ad esempio, uno stato depressivo), fisici (ad esempio, una malattia cronica) o sociali (legati alle disuguaglianze, agli aspetti economici o culturali, ai trasporti, alle attività sociali, ecc.). Si aggiunga infine come l’isolamento sia particolarmente fonte di paura per l’anziano (paura di essere derubati, frodati, di stare male senza che nessuno se ne accorga). E’ per questo che le caratteristiche dell’abitazione, la sua posizione rispetto al contesto urbano e la rete che vi gravita intorno sono così cruciali per invecchiare bene. Da qui l’interesse per soluzioni abitative che, accanto ai servizi e alla casa, offrano occasioni di relazioni: con gli altri abitanti di un cohousing, con altri anziani o con le comunità locali. Occasioni che hanno molteplici funzioni: contribuiscono a contrastare la solitudine, a mantenere capacità relazionali e cognitive; attivano processi di mutuo aiuto e community building che amplificano l’offerta di servizi.
Fatte queste premesse di contesto, la sezione che segue illustra oggetto, obiettivi e metodologia della ricerca, la sezione 3 descrive i casi di studio, la sezione 4 li analizza e compara, la sezione 5 conclude.
2. Oggetto, metodologia e obiettivi
Al fine di contribuire al dibattito su abitare e anziani e di riflesso favorire la sperimentazione di politiche e progetti innovativi, la presente ricerca illustra alcuni casi di studio che, pur non comprendendo tutte le opzioni possibili, provano a dare conto della loro eterogeneità. Ricordiamo che il target di interesse sono gli anziani autosufficienti.
In particolare la ricerca si concentra sui tre modelli seguenti.
Interventi finalizzati alla permanenza a casa propria: comprende progetti finalizzati a favorire la permanenza dell’anziano nella propria abitazione, ritardando il trasferimento verso spazi/strutture dedicate. Essi possono includere interventi per la rimozione di barriere architettoniche/adeguamento dell’abitazione; servizi di cura e assistenza socio-sanitaria; domotica, telesoccorso e telemedicina; attività per la socialità e lo sviluppo di relazioni; progetti per l’alleggerimento dei carichi di cura per i caregiver. I progetti individuali sono il più possibile condivisi con l’anziano e personalizzati sulla base delle sue esigenze e risorse disponibili. Sono erogati da professionisti socio-sanitari ma anche da altri cittadini (anziani, vicini, volontari, ecc.).[1]
Homesharing: coabitazioni “sotto lo stesso tetto, dietro alla stessa porta” (Costa 2015), che a differenza del caso successivo, hanno luogo “non solo allo stesso numero civico, ma dietro lo stesso campanello” (Costa e Minora 2023) e in cui un ospitante offre alloggio a un ospite in cambio di un aiuto concordato che può comprendere anche qualche forma di compensazione economica. La convivenza avviene entro un quadro di regole condivise. Tali programmi sono organizzati da soggetti terzi (di solito del terzo settore, a volte in collaborazione con attori pubblici) che attraverso colloqui e raccolta informazioni si occupano dell’attività di matching; ossia gemellano gli abitanti i quali si incontrano e decidono se e come avviare la convivenza, che ha di solito durata molto flessibile. I gestori offrono inoltre servizi di consulenza e forme di accompagnamento, assicurandosi che tutto proceda bene e intervenendo in caso di conflitti.
Senior housing: la terza categoria è quella più problematica da circoscrivere e definire. Comprende progetti di abitare condiviso che hanno luogo dentro uno stesso edificio ma in alloggi indipendenti ossia, diversamente dal caso precedente, “allo stesso civico ma non allo stesso campanello”. Comunemente in Italia chiamiamo questi alloggi impropriamente cohousing. Impropriamente perchè il vero cohousing[2] è un modello abitativo del tutto diverso, profondamente resident led, autopromosso e autogestito, in cui gli abitanti sono al centro del progetto sin dalle origini. Un modello minoritario in Italia – anzi, parlando di senior cohousing sostanzialmente assente. Chiameremo dunque, seppur semplicisticamente, questa terza categoria “senior housing”.
La Tabella 1 riassume i casi di studio e i modelli – tra i tre descritti sopra – di appartenenza[3].
Tabella 1 – I casi di studio
Nome del progetto | Luogo | Soggetti gestori | Modello |
INCL – Invecchiare bene | Valli del Monviso (Cuneo) | Consorzio Monviso Solidale (CMS), ASL CN 1, Consorzio Socio-Assistenziale del Cuneese | Interventi finalizzati alla permanenza a casa propria |
Progetto C.U.R.A. | Milano | Comune di Milano con la rete progettuale composta da cooperative Cogess, Eureka! e Assiste | Interventi finalizzati alla permanenza a casa propria |
Progetto ISABELLA | Bologna | Associazione Aias Bologna Onlus, in collaborazione con Lepida e ASP Città di Bologna | Interventi finalizzati alla permanenza a casa propria |
Prendi in casa | Milano | Associazione Meglio Milano | Homesharing |
Abitare Solidale | Firenze | Auser Firenze | Homesharing |
Centri Don Vecchi | Provincia di Venezia | Fondazione Carpinetum | Senior housing |
ISRAA Borgo Mazzini | Treviso | ISRAA – Istituto di Servizi di Ricovero e Assistenza agli Anziani | Senior housing |
Cohousing del Moro | Lucca | Fondazione Casa Lucca | Senior housing |
Condominio Solidale Biella | Biella | Comune di Biella e Cooperativa Maria Cecilia | Senior housing |
Centro Sociale Residenziale | Lastra a Signa (Firenze) | Comune di Lastra a Signa | Senior housing |
Comunità di Sant’Egidio | Roma e Milano | Comunità di Sant’Egidio | Senior housing |
Evergreen Residenze | Roma | Società “Il Loreto” | Senior housing |
Villa Mater | Rivoli (Torino) | FondazioneUfficio Pio e Fondazione Compagnia di San Paolo | Senior housing |
Per quanto riguarda le dimensioni di indagine (Figura 1), si è cercato di indagare da chi e come sono stati promossi gli interventi, costi e modelli di gestione, destinatari e offerta abitativa. Nello specifico sono stati indagati i seguenti elementi: descrizione sintetica, anno di avvio del progetto, istituzione promotrice, istituzione che gestisce il progetto, genesi, investimento e fonti di finanziamento, destinatari, criteri di selezione degli abitanti, descrizione dell’offerta abitativa, tipologia di servizi offerti, eventuale presenza di spazi e attività condivise, modalità con cui sono gestiti i rapporti tra abitanti e gestori, costo dei servizi per gli abitanti, proventi per la copertura dei costi di gestione, infine che cosa succede quando sopravviene la non autosufficienza.
Le informazioni riportate nella sezione 3 sono state ricavate tramite analisi documentale e 7 interviste ai responsabili dei progetti[4].
Figura 1 – Le dimensioni di analisi
[1] Le icone utilizzate in questo report sono state realizzate da Juicy Fish.
[2] Il cohousing nasce per iniziativa di persone alla ricerca di un nuovo modo di abitare, più sociale e pragmatico e fortemente intenzionale, prevede un’elevata condivisione di spazi e servizi e la centralità del processo di progettazione partecipata (McCamant e Durrett 1988; Durrett 2005).
[3] Tra i casi considerati non è incluso ad esempio il Villaggio Novoli, inaugurato a Firenze dopo la presentazione di questo Rapporto. Si tratta di un senior housing di 37 appartamenti per persone over 65 autosufficienti con spazi comuni e servizi personalizzati, culturali e socio-sanitari. Il progetto del Villaggio Novoli è stato realizzato in collaborazione da Consorzio Fabrica, Consorzio Co&So, la cooperativa Il Girasole e con il contributo della Fondazione CR Firenze. L’offerta include un contratto di 4+4 con un canone mensile che varia da 1265 a 1470 euro a seconda della tipologia di appartamento e comprende l’affitto, gli oneri condominiali e servizi base: coordinamento e gestione generale; servizio di coordinamento e assistenza alla persona; reperibilità notturna per emergenze; attività ricreative e socializzazione, manutenzioni ascensore, pulizia degli spazi comuni.
[4] Si ringraziano tutti coloro che, partecipando all’intervista e mettendo a nostra disposizione documenti e materiali, hanno permesso di approfondire i casi di studio.