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Redazione

Malattie rare, cosa significa vivere con l’amiloidosi cardiaca

25/01/23 - Redazione

Roma, 20 gennaio 2023 – Potrebbero sembrare pochi, e in un certo senso lo sono, ma in cinque minuti Antonio è riuscito a raccontare la sua quotidianità, caratterizzata da momenti sereni ma anche da momenti complessi, una vita comune e al tempo stesso rara. Antonio Guzzo, 75enne di Torino, padre di due figlie e nonno di sei nipoti, è affetto da amiloidosi cardiaca, una malattia rara, spesso sottodiagnosticata e che può essere fatale. Le necessità, mediche e non, di chi vive con questa patologia vengono così raccontate dal protagonista nello short documentary “Antonio – Chi vive l’amiloidosi cardiaca ha qualcosa da dirti”, presentato oggi nel corso di un evento digital e il cui trailer era stato diffuso lo scorso 29 settembre, in occasione della Giornata Mondiale del Cuore. Il video fa parte della campagna di comunicazione realizzata da Osservatorio Malattie Rare, in collaborazione con Conacuore, fAMY – Associazione Italiana Amiloidosi Familiare Onlus, Fondazione Italiana per il Cuore e con il contributo non condizionante di Pfizer, che ha l’obiettivo di sensibilizzare tanto l’opinione pubblica quanto i nuovi rappresentanti istituzionali e la comunità scientifica sulla malattia e l’itinerario delle famiglie dalla diagnosi alla presa in carico. Tono della campagna: un racconto empatico senza pietismi.

Quasi due anni fa, dopo un normale esame di routine, ad Antonio è stata diagnosticata una cardiomiopatia ipertrofica, che poi si è rivelata connessa a un’amiloidosi da transtiretina nella forma “wild type”. Nel documentario, Guzzo racconta il suo percorso verso la diagnosi, l’inizio della terapia e il momento più drammatico, quando ha scoperto la possibile ereditarietà della malattia e dunque le relative conseguenze sulla sua famiglia, e infine il sollievo quando ha saputo che i suoi figli e nipoti sono fuori pericolo.

“La mia vita è fatta di tantissime cose, non solo della malattia: di amicizia, di come trascorro la giornata, di come vivo la mia famiglia, i miei nipoti – racconta Antonio nello short doc – La malattia c’è e devo cercare di starci dentro, di capirla. E come ci stai? Con la preoccupazione? Pensando che poi devi morire? Pensando che quella malattia ti può portare delle invalidità? Questo è il problema più grosso, secondo me. Perché poi tutti dobbiamo morire”. Guzzo ha quindi sottolineato l’importanza di rivolgersi alle associazioni di pazienti che sono un punto di riferimento anche a livello informativo.

Il patient journey di Antonio, il suo itinerario, è stato abbastanza semplice, ma non è sempre così. Arrivare a una diagnosi corretta spesso non è una tappa facilmente raggiungibile, ma è al tempo stesso fondamentale vista la rapida progressione che può avere la patologia. “Le amiloidosi sono un gruppo definito di malattie, all’incirca una trentina, ereditarie o meno, caratterizzate dall’accumulo dannoso di sostanza amiloide all’interno dell’organismo. Questa particolare sostanza si presenta sotto forma di piccole fibrille ed è composta da proteine che, per cause diverse, si sviluppano in maniera anomala – ha spiegato Francesco Cappelli, Cardiologo, CRR Toscano per lo studio e la cura delle amiloidosi, AOU Careggi, Firenze, nel corso dell’incontro – Esistono diverse forme di amiloidosi, ognuna delle quali è dovuta a una specifica proteina : si tratta di patologie multi-sistemiche, che colpiscono numerosi organi e tessuti come reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi e occhi. Uno degli organi principalmente coinvolti è il cuore, che sviluppa una cardiopatia infiltrativa e uno scompenso cardiaco progressivo. Per questo motivo il termine ‘amiloidosi cardiaca’ viene utilizzato per definire la patologia cardiaca associata alle amiloidosi”.

“È presente in due forme, una ereditaria causata da mutazioni del gene TTR che si manifesta più precocemente, a partire dai 50 anni, e una acquisita (amiloidosi sistemica senile ‘wild type’ TTR o SSA) dovuta a depositi di TTR non mutata che si presenta in soggetti più anziani, 60-80 anni. È tuttavia possibile che, soprattutto dove non c’è un esordio anticipato, la malattia venga ancora confusa con altre e dunque sottodiagnosticata”, ha aggiunto Marco Canepa, Università degli Studi di Genova e Ospedale Policlinico San Martino IRCCS. “I pazienti in media vivono da 2 a 4 anni dopo la diagnosi, in base alla loro condizione al momento del riconoscimento della patologia. È opportuno, dunque, garantire una presa in carico olistica, gestita da un team multidisciplinare, e in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale”.

A tal proposito, durante il dibattito, è emersa l’importanza di costruire un early dialogue, nonché una rete tra Coordinamenti Regionali e associazioni di pazienti, per la condivisione delle best practices al fine di migliorare e uniformare la presa in carico, strutturare le diverse informazioni e risolvere le criticità. “I Centri di Coordinamento regionali, grazie ai codici di esenzione, riescono a raccogliere informazioni in merito al numero complessivo di persone con amiloidosi presenti nella Regione. Tuttavia questo dato non tiene conto dei pazienti che vengono seguiti a livello extra-regionale e non può essere considerato un valore estremamente preciso”, ha affermato Giuseppe Palmiero, UOC Cardiologia, Ospedale dei Colli Monaldi, Napoli. “Proprio per questa ragione, strumenti come i registri nazionali e regionali o i codici di esenzione dovrebbero poter comunicare tra loro; anche in questo senso è necessario lavorare con l’obiettivo di consolidare e intensificare la collaborazione tra i Centri di Coordinamento, le associazioni di pazienti e i Centri di riferimento”.

L’esigenza di accedere tempestivamente alle cure è stata poi evidenziata nel breve documentario, presentato pochi mesi fa in anteprima ai Centri di Coordinamento regionali delle Malattie Rare, da Antonio Guzzo il quale dice: “Auguro a tutti di poter fare e ottenere una diagnosi precoce, perché da lì in poi si parte con la terapia: adesso ci sono farmaci che stabilizzano questa malattia. C’è speranza”. Oltre al trattamento farmacologico che resta fondamentale, le associazioni di pazienti hanno ribadito più volte il bisogno di ricorrere al supporto psicologico, sia per i pazienti che per i caregiver.

L’intento di OMaR e delle associazioni Conacuore, fAMY e Fondazione Italiana per il Cuore di non sottovalutare l’amiloidosi cardiaca non è emerso specificamente quest’anno, ma rientra in un più ampio lavoro collettivo portato avanti da tempo. Un esempio: la campagna social “RaccontAMY – Chi vive l’amiloidosi cardiaca ha qualcosa da dirti”, realizzata nel 2021 e strutturata in cinque video-storie. Tra i testimoni anche Antonio – presente all’incontro di oggi – che in quella occasione aveva dichiarato: “L’amiloidosi, fino ad oggi, non mi determina, né tantomeno mi lascio definire da essa: io non sono la mia malattia, io sono Antonio”.

All’evento “ITINERARI: ASCOLTA IL CUORE E PENSAMY. Giornata informativa sull’Amiloidosi Cardiaca e i bisogni delle famiglie” hanno partecipato anche: Cristina Meneghin, Fondazione Italiana per il Cuore, Giuseppe Ciancamerla, Presidente Conacuore, Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore – ODV, Andrea Vaccari, Presidente fAMY, Associazione Italiana Amiloidosi Familiare Onlus, Laura Obici, Centro per lo studio e la cura delle Amiloidosi Sistemiche della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Giuseppe Limongelli, Direttore Centro di Coordinamento Malattie Rare, Regione Campania, Paolo Magni, Coordinatore Comitato Scientifico, Fondazione Italiana per il Cuore, Sen. Antonio Guidi, Membro X Commissione Lavoro e Sanità del Senato della Repubblica, e On. Simona Loizzo, Membro XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.

 

(Comunicato stampa)

A questo link, lo short doc sull’amiloidosi cardiaca:

 

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La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

16/01/23 - Redazione

Una delle notizie che il sistema dei mass media ha più ampiamente prima selezionato e poi diffuso – nel contesto della pandemia da Covid 19 – è stato quella del presunto fallimento delle Rsa. Questi contesti residenziali di cura sono stati descritti, soprattutto nei primi mesi della pandemia, come luoghi pericolosi e incontrollabili, dove il virus ha generato una vera e propria “strage” tra gli ospiti anziani e anche tra gli operatori.

Capri espiatori e strategia dello struzzo

La narrazione delle Rsa come luoghi pericolosi ha preso la forma di decine di news televisive, radiofoniche e della carta stampata; i programmi del cosiddetto “approfondimento”, ma anche report e saggi del sistema scientifico (spesso molto polemici nei confronti delle istituzioni regionali o locali in questione). Al pari delle Rsa, quali capri espiatori paragonabili, si contano solo il “sistema ospedaliero-ospedalocentrico” e i modelli sanitari.

A loro volta i politici regionali hanno scelto come causa di tutti i mali, il livello centrale di Governo. Ne è derivato un ping-pong senza costrutto che ha fatto dimenticare altre cose altrettanto rilevanti. Il “meccanismo del capro espiatorio” funziona sempre come deresponsabilizzazione collettiva e fuga dalla realtà. Il “sacrificio” del Capro rimette in equilibrio la comunità che espelle il male esternalizzandolo: un male di cui essa stessa è responsabile.

Società senza centro e senza vertice

Nella realtà, se una cosa la pandemia la ha insegnata, è che la società attuale non può essere controllata e diretta da nessuna istituzione in particolare. Ciò significa, tra l’altro, che ogni sottosistema sociale – e le sue istituzioni e organizzazioni – sono allo stesso tempo, più autonome e più interdipendenti le une dalle altre. La compresenza di autonomia e interdipendenza sociale serve a chiarire che qualsiasi osservazione critica sulla politica, ha sempre ragione e sempre torto contemporaneamente: ha sempre ragione perché chi ha deciso poteva farlo sempre in modo diverso; ha sempre torto perché comunque qualcuno da dentro al sistema politico dovrà poi decidere senza che la decisione possa essere presa altrove.

In sintesi, le nostre società sono senza centro e vertice (anche se i politici e gli scienziati vorrebbero che non fosse così). L’unica soluzione è una governance adatta alla sfida di questa pluralità sociale crescente che sappia responsabilizzare e coordinare il numero maggiore possibile di protagonisti, orientandoli a obiettivi comuni. Il contrario del meccanismo del capro espiatorio e della strategia dello struzzo.

Fallimento delle Rsa o fallimento del sistema delle cure?

Più evidente, quasi ai limiti della banalità, l’accusa rivolta a ospedali e Rsa di essere “luoghi della morte”. Si tratta infatti di due contesti istituzionali in cui pazienti e operatori sanitari sono obbligati a rimanere per periodi di tempo giornaliero molto lungo, al chiuso e in interazione reciproca, cioè in presenza: e dove i pazienti sono in prevalenza rappresentati da persone fragili, tra cui maggioritarie nelle Rsa gli anziani non autosufficienti con malattie croniche difficilmente trattabili nelle loro case (anche perché in molti casi, le famiglie di origine, se sono presenti, hanno altri problemi da affrontare, parimenti urgenti e non sono minimamente attrezzate a rispondere ai bisogni).

Se a questa necessaria residenzialità si aggiunge anche una certa flessione di risorse a disposizione – soprattutto di operatori sociosanitari (che durante la pandemia sono stati “saccheggiati” da ospedali e da strutture pubbliche) – e un tipo di cura fortemente medicalizzato, diventa evidente come il virus, una volta entrato, abbia trovato lo spazio-tempo migliore per proliferare. Il problema però non è risolvibile attribuendo a questi luoghi residenziali una qualche qualità mostruosa, come se fossero stati gestiti internamente da delinquenti o incompetenti.

Il problema è che durante la prima fase della pandemia tutto il “sistema” ha preso decisioni che hanno avverato le peggiori profezie! Le chiusure delle Rsa, in netto ritardo con le notizie che già si avevano sulla circolazione del virus; l’ospedalizzazione dei pazienti, senza che agli operatori fossero stati forniti di dispositivi di protezione individuale (Macchioni e Prandini, 2022); lo spostamento di pazienti dagli ospedali alle Rsa; la richiesta successiva che le Rsa si chiudessero assolutamente all’interno per evitare (sic!) nuovi problemi di contagio; la ricerca spasmodica di operatori sanitari sottratti alle residenze stesse, etc. Tutto questo “circuito chiuso” di decisioni affrettate e difficili, spesso però molto orientato a scaricare problemi altrove – a smentire sul campo la retorica sempre presente d’integrazione e collaborazione istituzionale – ha fatto il resto. Che però si sia trattato di un fallimento di sistema basta pochissimo a mostrarlo.

Le analisi del caso sono arcinote e alcune tendenze erano già chiare da tempo:

  1. tendenziale accentramento delle “cure” negli ospedali
  2. punto di accesso prevalente alla cura dai pronto soccorso
  3. tendenziale perdita d’identità funzionale dei medici di base
  4. sottofinanziamento e sottovalutazione dell’assistenza domiciliare
  5. utilizzo massiccio delle “badanti” e di denaro privato per cure a medio termine
  6. differenziali territoriali ai limiti del tollerabile con conseguente mercato sanitario inter-regionale
  7. spinte alla privatizzazione degli erogatori di cure accreditati pubblicamente attirati da una spesa familiare in aumento, etc.

Questa fisionomia del “sistema” era così nota che da decenni si parlava della necessità di una riforma del “sistema”, se non già di riformare le riforme. Che si poteva fare? Infine, la controprova della non colpa generica delle Rsa si è avuta con l’inizio della campagna vaccinale. Tutti i dati hanno mostrato che la circolazione del virus è scesa in concomitanza della campagna vaccinale del gennaio 2021 sia tra gli ospiti che tra gli operatori sanitari fino quasi a sparire, mentre fuori continuava pur con meno virulenza. Le Rsa sono diventate i posti più sicuri, ma questo naturalmente non ha fatto notizia. Nonostante tutto ciò sia conoscenza comune, la cattiva reputazione creata dai media e dalle istituzioni permane abbastanza salda. Questa persistenza ne rivela la funzione di “semplificazione”, colpevolizzazione e scarico di responsabilità, tipica di un rituale sacrificale che serve a identificare una vittima capace di attirare l’attenzione per non vedere altro.

Riforma di sistema o riconoscimento delle innovazioni già in atto?

In effetti da molte parti sono arrivate proposte di riforma, alcune dell’intero sistema, altre più focalizzate su singoli aspetti dello stesso.
Tutti i “riformisti” hanno sottolineato alcuni aspetti che ci interessa enucleare. Ne sottolineiamo in particolare quattro:

  1. la critica alle Rsa come luoghi pericolosi, poco controllabili, gestiti prevalentemente senza pensare ai bisogni degli utenti e poco innovativi dal punto di vista del servizio di cura erogato
  2. le Rsa come luoghi della istituzionalizzazione di anziani che potrebbero essere rimessi “in libertà”
  3. l’Assistenza domiciliare come risposta positiva e sostitutiva alla crisi delle Rsa
  4. l’housing e co-housing come nuova modalità di ripensare i servizi residenziali.

Tutti e quattro i punti hanno evidentemente delle ragioni, ma nel loro essere estremamente generici producono effetti perversi e non intenzionali, tra i quali:
a) “fare di tutta l’erba un fascio” senza distinguere le diverse situazioni;
b) inscenare un “salto miracolistico” da una situazione descritta come del tutto negativa a un’immaginata come del tutto positiva, senza riconoscere ciò che già c’è di buono e di innovativo che va mantenuto e sviluppato;
c) dimenticare che i problemi delle Rsa derivano fortemente dal sistema istituzionale e territoriale dove sono radicate;
d) sopravvalutare alcune possibili innovazioni certamente rilevanti, generalizzandole come una panacea a tutta la realtà.

Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. In primo luogo, non è vero che il mondo delle Rsa sia tutto uguale, indifferenziato. Al contrario esistono universi paralleli sia dal punto di vista organizzativo, giuridico, territoriale quanto da quello culturale. Questa differenza è stata quasi del tutto nascosta dalle analisi critiche, ma non può essere ulteriormente taciuta. Moltissime delle innovazioni che sono presentate come capaci di innescare il cosiddetto “cambio di paradigma” sono già in atto, anticipate e ben radicate in eccellenze territoriali. Soprattutto dal punto di vista della organizzazione dei servizi e della loro innovatività moltissime buone prassi sono già esistenti.

Come abbiamo cercato di spiegare, e come è assolutamente evidente dai dati e dalle ricerche nazionali, le Rsa non sono entità isolate dal contesto istituzionale. Sono invece parti del sistema a filiera della salute che può trovare una maggiore o minore, migliore o peggiore, territorializzazione e reticolazione. Da questo punto di vista pensare di sostituire le Rsa, almeno per quel tipo specifico di anziani non autosufficienti che normalmente accolgono, con un generico quanto illusorio ritorno in famiglia non pare una strada percorribile in molti casi. Non si deve confondere la residenzialità con l’istituzionalizzazione, la permanenza in strutture speciali come diniego della familiarità o della possibilità di rimanere in contatto con la famiglia. Il vero tema è quello di connettere meglio processi simultanei di domiciliarizzazione e de-domiciliarizzazione, di residenzialità temporanea e durevole che vadano a costruire una rete territoriale di servizi plurali, adatti a diversi bisogni e capaci di connettersi in modo continuo: una filiera di servizi e di risposte di cura e di presa in carico che vada a costituire un continuum spazio-temporale. L’assistenza domiciliare e la residenzialità non sono assolutamente da mettere in alternativa, ma in sinergia.

La continuità spazio-temporale delle cure, secondo le organizzazioni della cura

A nostro parere, cogliere le opportunità di cambiamento dovute alla drammatica situazione pandemica è necessario per non permanere in una situazione sociosanitaria che ha mostrato ormai definitivamente i suoi limiti e che non è più proponibile: incredibilmente è quello che sta accadendo! Per farlo, però, bisogna cercare di essere più realistici e partire dalla situazione attuale. Il quadro del ragionamento è questo: qualsiasi riflessione sulle Rsa o su ogni altro aspetto istituzionale delle cure sociosanitarie, va trattato all’interno del “sistema” della sanità che a sua volta è solo un pezzo della generazione di salute che si svolge ben oltre i suoi confini istituzionali e organizzativi. Se occorre riformare, la riforma dovrà essere di sistema e di filiera. Nessuna proposta limitata a mere “parti” del sistema – e che non tenga conto del più vasto ambiente salutogeno – potrà mai cogliere nel segno.

Il sistema è rappresentabile come un continuum di “risposte sociosanitarie” alle domande degli utenti e delle loro famiglie, ognuna delle quali adeguata ai loro problemi peculiari, ognuna con punti di forza e di debolezza. Insieme agli attori del sistema sociosanitario sta il suo ambiente correlato di riferimento, quello dei bisogni-domande degli utenti e delle famiglie che vanno codificati dal sistema per poter essere “letti” ed “inclusi” in esso. Ma nell’ambiente del sistema sociosanitario, abbiamo anche le regole istituzionali, l’economia dei servizi, le decisioni politiche, la ricerca scientifica, etc.

La centralità è della “persona anziana” a cui tutte le parti in gioco si riferiscono per rendere la sua vita la più degna possibile, nelle sue specifiche condizioni psicofisiche e nei pressi più vicini del suo contesto quotidiano di riferimento, quale che esso sia.

Bibliografia

Macchioni E., Prandini R. (2022), Elderly Care during the Pandemic and its future Transformation, in Italian Sociological Review, 12, 6S,  247-267.

Di Elena Macchioni, Riccardo Prandini (Alma Mater Università di Bologna)

Pubblicato il 2 dicembre 2022 su “I luoghi della cura online” a questo link:

La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

 

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“Il caro bollette nelle Rsa è un problema sociale”

7/11/22 - Redazione

“Il caro bollette nelle Rsa è un problema sociale, non dei gestori”

di Sara De Carli (pubblicato su Vita.it il 18 ottobre 2022)

“Un viaggio in dieci tappe nelle residenze per anziani non profit alle prese con il caro bollette. Dal Piemonte alla Puglia, dal Veneto e la Sardegna la situazione è la stessa: bollette alle stelle per consumi incomprimibili. Risparmiare sul riscaldamento degli ambienti in cui vivono persone anziane non si può e non si deve, lo dice anche il decreto Cingolani: ma a fronte della richiesta di garantire – giustamente – un ambiente adeguato, secondo quanto richiesto dagli standard di accreditamento, tutti i costi aggiuntivi legati all’impennata del costo del gas stanno in questo momento in capo agli enti che gestiscono queste strutture, perché Stato e Regioni non hanno ancora messo in campo adeguati interventi.

La nostra inchiesta, bollette alla mano, parla di aumenti per i costi energetici che arrivano anche al +350%. C’è chi ha visto aumentare il gas metano del +116% e hi del 164%, mentre la luce è salita del 46% come pure di un +105%. Sacra Famiglia, 23 strutture e 10mila persone assistite ogni anno, nel 2022 prevede di spendere più di 7,1 milioni di euro per riscaldamento ed elettricità, contro i 4,3 milioni del 2021. La cooperativa sociale Gulliver, 29mila utenti, nel 2021 ha sostenuto costi attorno al milione di euro, mentre per il 2022 balza a oltre 3 milioni di euro, se non tre milioni e mezzo. Per Fondazione Don Carlo Gnocchi la bolletta dell’energia elettrica di luglio 2022, a fronte di scostamenti non significativi nei kwh consumati, è quattro volte la bolletta di luglio 2021.

Non è solo questione di prezzi più elevati: ormai siamo al punto che è difficile anche trovare un fornitore. Qualcuno, di fronte alle eccessive esposizioni finanziarie che il sistema richiede in questo momento ha espresso la propria volontà di recesso. Più di una gara per la fornitura di materia prima è andata deserta.

Le strategie per il contenimento di consumi – abbassare la temperatura negli uffici, non sprecare, mettere la valvola su ogni termosifone per poter regolare la temperatura della singola stanza… – sono necessarie e doverose ma di certo non possono cambiare la sostanza della questione: sta entrando in crisi un servizio essenziale per la popolazione, che in questo momento non ha alternative. Serve un intervento delle istituzioni, che ancora non c’è. Anche la toppa tardiva arrivata con il Decreto Aiuti Ter ancora è insufficiente, sia per risorse stanziate sia perché non indica nemmeno qual è la percentuale dei costi aggiuntivi su cui è previsto un aiuto. In queste condizioni non si può neanche dire che si naviga a vista: si naviga completamente al buio.

Con questi aumenti, dice una riceca di Uneba nazionale, gli enti segnano ogni giorno una perdita netta di 11 euro per ciascun ospite. Impossibile reggere a lungo. Anche i più ottimisti dicono che solo per rientrare dalle maggiori spese per l’energia la rette giornaliera dovrebbe aumentare di 6/7 euro al giorno. E per una realtà che ha deciso che dal 2023 aumenterà la retta, in una sola delle sue strutture e di soli uno o due euro, a seconda della tipologia di stanza e di servizio, ce ne sono altre che per sopravvivere stanno già intaccando la capacità di innovare e di curare bene i pazienti: mettendo in tavola cibo di minor qualità, turnando i professionisti con meno tempo per la cura, interrompendo quel percorso che si stava faticosamente realizzando di maggiori relazioni tra le persone fragili e chi di loro si prende cura e fra di loro e il territorio. L’alternativa, per molti, è una sola: chiudere. Scaricando l’intero problema sugli anziani e sulle loro famiglie” (…) continua su Vita.it

PROSEGUI LA LETTURA: continua a leggere l’articolo su Vita.it

L’articolo originale, firmato da Sara De Carli, è pubblicato a questa pagina, dalla quale è possibile leggere tutte e dieci le tappe dell’inchiesta:

http://www.vita.it/it/article/2022/10/18/il-caro-bollette-nelle-rsa-e-un-problema-sociale-non-dei-gestori/164459/

 

 

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Caro energia, costi tutti a carico di strutture e famiglie

27/10/22 - Redazione

Firenze, 27 ottobre 2022 – Di fronte al caro energia e all’inflazione, Rsa e centri diurni chiedono a gran voce l’intervento urgente della Regione Toscana. Gestori, operatori e famiglie hanno manifestato stamani in piazza Duomo, di fronte a Palazzo Strozzi Sacrati, per richiamare l’attenzione sui problemi che rendono insostenibile la gestione dei servizi agli anziani. «I costi della pandemia sono tutti a carico delle singole organizzazioni e da restituire alle banche, mentre le famiglie fanno fatica a pagare una quota di parte sociale che ora dovrà necessariamente aumentare – dicono le associazioni rappresentative delle strutture toscane – nel frattempo i lavoratori del settore attendono da anni di essere trattati contrattualmente come i colleghi che operano nel pubblico, ma la politica latita. Regione, Asl, Società della Salute e Comuni si comportano come se nulla sia avvenuto: è tutto in mano al presidente Giani, che si nega a un confronto». Rsa e centri diurni attendono infatti un incontro con Eugenio Giani, richiesto ormai mesi addietro e più recentemente anche dal prefetto di Firenze, affinché sia valutata una revisione delle tariffe, praticamente ferme da ben 11 anni. Un provvedimento, questo, già adottato da altre Regioni (tra cui Veneto, Puglia ed Emilia-Romagna) proprio per sostenere le strutture ma su cui la Toscana, nonostante l’assessore al Sociale Serena Spinelli abbia più volte ricevuto i gestori, continua a non intervenire.

L’aumento dei costi energetici e dell’inflazione è l’ultima goccia, dopo molte criticità da troppo tempo irrisolte che le associazioni hanno sottoposto all’attenzione delle istituzioni fin dall’inizio della pandemia: «Chiediamo che sia affrontata subito la gravissima carenza di infermieri e Oss, della quale finora la Regione non ha facilitato la soluzione, nemmeno con l’arrivo di operatori comunitari. Poi, chiediamo che siano riviste organizzazione e spesa sanitaria, specie quella ospedaliera, affinché arrivino le risorse necessarie per i servizi agli anziani e alle persone con disabilità: non si può continuare ancora a gravare sulle famiglie, con le rette e con liste d’attesa eccessive».

Ora, sebbene i ristori siano interrotti dal luglio scorso, si assiste inoltre alla ripresa dei contagi, tutt’altro che scomparsi. Il caro bollette, insieme al Covid-19 e all’assenza dei ristori, mette definitivamente a rischio i servizi alla popolazione anziana non autosufficiente. Perciò la protesta non si limiterà alla giornata odierna: mentre i gestori saranno ricevuti in prefettura insieme all’assessore Spinelli il prossimo 3 novembre, Rsa e centri diurni continueranno a essere silenziosamente presenti due giorni a settimana di fronte alla sede del Consiglio regionale. «Ci saremo insieme a famiglie e lavoratori per opporci a una situazione che ci costringerebbe a chiudere i servizi, forse per la gioia di fondi d’investimento speculativi che non aspettano altro».

Aderiscono all’iniziativa:

AGCI (Associazione generale cooperative italiane) SOLIDARIETÀ TOSCANA,

AGESPI (Associazione gestori servizi sociosanitari e cure post intensive) TOSCANA,

AIOP (Associazione italiana ospedalità privata) TOSCANA,

ANASTE (Associazione nazionale strutture terza età) TOSCANA,

ARAT (Associazioni residenze anziani Toscana),

ARET – ASP (Associazione regionale aziende pubbliche di servizi alla persona),

ARSA (Associazione residenze sanitarie assistenziali),

UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) TOSCANA,

CONFCOOPERATIVE SANITÀ TOSCANA,

CONFCOOPERATIVE FEDERSOLIDARIETÀ TOSCANA.

(Comunicato stampa)

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Mille a congresso sui centri diurni Alzheimer

13/10/22 - Redazione

«In assenza di novità terapeutiche, pandemia e caro bollette con il loro impatto devastante sulle strutture dedicate alle demenze e sulle famiglie dei malati sono gli argomenti chiave del Congresso nazionale sui centri diurni Alzheimer, in programma venerdì 14 e sabato 15 ottobre 2022 al teatro Verdi di Montecatini Terme (PT). Un’occasione importante di confronto tra esperti per chiedere al nuovo governo, da una platea qualificata, i necessari interventi in materia». Lo ha dichiarato il presidente della Fondazione Caript, Lorenzo Zogheri, presentando alla stampa la 12ª edizione dell’iniziativa insieme al presidente del congresso, il professor Giulio Masotti, decano della geriatria italiana. Da molti anni l’appuntamento porta in Toscana il top dei ricercatori, dei clinici e degli operatori, con Masotti in rappresentanza dell’Unità di ricerca di Geriatria dell’Università di Firenze, curatrice della parte scientifica, e Zogheri dell’ente pistoiese che fin dalla prima edizione mette a disposizione le risorse per realizzarlo.

«Prevediamo mille congressisti – sottolinea il professore – Tra relatori, operatori e pubblico sarà un bel salto rispetto alla prima edizione quando in tutto furono 150. Il congresso è dedicato anche gli studenti delle lauree sanitarie (Medicina e Chirurgia, Infermieristica, Fisioterapia, Psicologia) dell’Università di Firenze e delle sedi di Pistoia ed Empoli». Dal punto di vista organizzativo la novità è l’invito a partecipare, gratuitamente, rivolto ai familiari dei malati e agli assistenti domiciliari. Non sarà un’esperienza inutile: il congresso si svolge in termini comprensibili a chiunque e consentirà di ascoltare le relazioni di specialisti e di ricevere materiali divulgativi su come prendersi cura dei malati nei modi più adeguati.

Apriranno il programma due relazioni dedicate al futuro dei centri diurni e dei servizi per la demenza. La prima del presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, Marco Trabucchi, l’altra del geriatra Enrico Mossello, che presenterà i dati di un sondaggio inedito sulle conseguenze della pandemia. Più che una relazione, quella del professor Andrea Ungar, direttore della geriatria universitaria dell’AU di Careggi e co-presidente del congresso, sarà la denuncia del malcostume definito ageismo, cioè la pervasiva, perlopiù inconscia, discriminazione degli anziani in base alla sola età anagrafica, perfino nelle strutture sanitarie.

Dei giardini Alzheimer negli edifici, una novità sperimentale significativa che interessa molto anche l’economia di Pistoia, parlerà invece il ricercatore veronese Stefano Tamburin, e dei successi crescenti della pet therapy la veterinaria perugina Maria Chiara Catalani, specialista di comportamento animale. La relazione dell’empolese Enrico Benvenuti verterà poi sull’ospedalizzazione domiciliare, ossia sull’esperienza toscana dei Girot, le squadre di medici multiprofessionali nate con la pandemia per curare i malati con Covid-19 ospiti delle Rsa.

Inoltre, sarà dedicato un momento di ricordo a Nicola Cariglia, il presidente della Fondazione Turati di recente scomparso, e sarà consegnata la “Medaglia Jorio Vivarelli per la Geriatria” a una colonna del congresso, il dottor Adriano Carlo Biagini, geriatra pistoiese neopensionato.

IL PROGRAMMA DEL 12° CONGRESSO NAZIONALE CENTRI DIURNI ALZHEIMER

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Non autosufficienza, approvato il Ddl delega

11/10/22 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Il 10 ottobre, il Governo Draghi – in occasione del suo ultimo Consiglio dei Ministri – ha approvato il testo del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale del settore della non autosufficienza. Una approvazione che dovrebbe così avviare l’iter della riforma, che prevede nell’autunno la seconda fase del procedimento legislativo: la discussione del Disegno di Legge Delega in Parlamento, che avrà tempo sino a primavera 2023 per portarlo a termine. Sono infatti questi i termini fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per realizzare “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”. Un traguardo atteso da trent’anni che, nel frattempo, è stato raggiunto in tutti i Paesi europei simili al nostro.

Non senza qualche intoppo, sembrano dunque essere stato recepito l’appello del Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza di non sprecare l’occasione. Ora che l’iter può dirsi dunque avviato, starà al Parlamento recepire le indicazioni contenute nel Manifesto del Patto, che indica le ragioni per cui è importante fare presto e le condizioni da rispettare affinché si possa realizzare una “buona riforma“. Un obiettivo non più rimandabile alla luce di una popolazione che vive più a lungo e che deve affrontare la sfida della progressiva perdita dell’autonomia fisica e cognitiva attraverso un sistema di tutela adeguato.

Di seguito – seppur brevemente – analizziamo l’importanza politica del Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri e i contenuti principali della possibile riforma che ora passa nelle mani del prossimo Governo e del nuovo Parlamento.

La non autosufficienza come priorità politica

La non autosufficienza, d’ora in avanti, si troverà al centro dell’agenda politica. La questione sociale dell’assistenza continuativa agli anziani non autosufficienti riguarda circa 10 milioni di individui: persone anziane e non autosufficienti, i loro familiari e chi le assiste professionalmente. La legislatura che si è appena conclusa ha finalmente – dopo trent’anni di immobilismo – restituito attenzione al tema, innescando un percorso di cambiamento. I requisiti imposti dal PNRR hanno spinto in questa direzione poiché il Piano prevede esplicitamente una riforma che introduca anche in Italia “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”.

La brusca conclusione della legislatura ha rischiato di vanificare gli sforzi intrapresi nel 2021 e 2022. Ora con l’approvazione del DDL il processo è ripartito ma resta la sfida: non solo approvare la riforma ma raggiungere, come detto, una “buona riforma”. È insomma giunto il momento che la riforma – di cui studiosi e operatori discutono da molti anni prendendo ad esempio esperienze e soluzioni adottate da numerosi altri Paesi europei – porti un cambiamento paradigmatico, profondo, del settore della Long Term Care.

Anche se il PNRR obbliga a fare la riforma, non è infatti detto che si giunga a esito positivo. Starà al Governo che si insedierà a breve prendere la bozza di proposta, presentata oggi sotto forma di Disegno di Legge Delega, e compiere i passi decisivi per arrivare a una buona riforma, che contenga le risposte necessarie per migliorare la condizione di vita delle persone in condizioni di non autosufficienza. L’ambizione deve essere quella di arrivare ad una riforma strutturale, che non si accontenti di piccoli passi “incrementali”.

I contenuti del Disegno di Legge Delega

 La Legge Delega sulla non autosufficienza si occupa di anziani, ovvero le persone al compimento del 65esimo anno di età, indipendentemente dal fatto di essere ancora occupati. La proposta richiede al Parlamento di conferire all’Esecutivo il compito di disciplinare, tramite decreti legislativi in materia di politiche per l’invecchiamento attivo, la promozione dell’autonomia, la prevenzione delle fragilità, l’assistenza e la cura delle persone anziane (anche non autosufficienti).

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Non autosufficienza: approvato il DDL Delega. Un passo avanti importante verso la riforma

 

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I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Di Celestina Valeria De Tommaso – In Europa, le politiche di assistenza continuativa agli anziani – in inglese Long Term Care (LTC) – sono tra le meno strutturate tra gli interventi di welfare (in confronto, ad esempio, alle politiche pensionistiche o del mercato del lavoro). I confini tra le competenze e i ruoli attribuiti alla sfera sociale e sanitaria sono spesso labili e sovrapposti, sia nell’erogazione dei servizi che nel design delle misure.

Il risultato sono sistemi di LTC caratterizzati – in molti Paesi europei – da alta frammentarietà e inefficienza dei servizi, unitamente ad uno scarso investimento pubblico dedicato, specificamente, ai bisogni della non autosufficienza.

La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione i sistemi di protezione sociale in tutta Europa e, al contempo, ha evidenziato i limiti – già esistenti – dei sistemi di LTC. Ora più che mai, il tema ha raggiunto le agende di policy nazionali. Il prof. Emmanuele Pavolini ha recentemente curato un rapporto per l’European Social Policy Network dal titolo “Long-term care social protection models in the EU”, in cui illustra le sfide e gli sviluppi del settore, proponendo una nuova classificazione dei sistemi di LTC in Europa. Ve ne parliamo in questo articolo.

Il “trilemma” della Long Term Care

Secondo il Rapporto, i Paesi europei devono fronteggiare il c.d. “trilemma della Long Term Care”.

Il primo punto del trilemma è come garantire la più estesa copertura dei potenziali bisogni di LTC attraverso l’erogazione di servizi di welfare formale (ad esclusione, dunque, del mercato sommerso). Raggiungere la più ampia copertura dei bisogni è una sfida ineludibile per i sistemi di protezione sociale contemporanei. La copertura dei servizi di Long Term Care, inoltre, è spesso misurata in relazione alla percentuale degli individui che beneficiano delle prestazioni di welfare, ma non in termini di intensità di tali servizi (ad esempio, il numero di ore fornite ai beneficiari). E quest’ultimo punto è sempre più centrale in merito alla strategia dell’ageing in place (letteralmente, invecchiamento sul posto), basata sull’assistenza alle persone non autosufficienti o fragili a casa loro, piuttosto che in strutture di assistenza residenziale o ospedaliera.

Il secondo punto riguarda i caregiver familiari informali – perlopiù donne – e gli strumenti che le politiche di LTC devono mettere in campo per evitare che gli oneri di cura cadano prevalentemente sulle loro spalle. Il sostegno inadeguato ai caregiver informali favorisce, da un lato, la loro uscita precoce dal mercato del lavoro (o situazioni di part-time involontario, con conseguente riduzione dell’orario di lavoro), dall’altro il “burn out” psicologico di queste persone, con potenziali conseguenze sulla loro salute e sul loro benessere.

Il terzo punto è l’aumento della spesa pubblica, in un momento in cui i bilanci sono già sotto pressione e faticano ad essere ampliati. Quello della non autosufficienza, tuttavia, è un problema che non può essere evitato. Nei prossimi anni, la spesa per la LTC aumenterà a causa, ad esempio, del progressivo invecchiamento della popolazione.

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Come ripensare i modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

 

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Pet therapy per aiutare i malati di Alzheimer

4/10/22 - Redazione

Quando l’hanno portato a vivere in una casa protetta per anziani, Alberto aveva 70 anni, la moglie Ada, un figlio, due nipoti e una testa che non rispondeva più, travolta dall’Alzheimer. Alto e robusto, era stato un abile geometra, aveva amici, in gioventù giocava a calcio e amava viaggiare. Ma era ormai costretto in carrozzina, del tutto assente e incapace di comunicare, di gestirsi, perfino di coordinare l’uso delle mani. Era diventato impossibile assisterlo in famiglia. Otto anni dopo, grazie alla pet therapy, è tornato alla vita.

Ecco la bella avventura che Maria Chiara Catalani, veterinaria perugina specialista di comportamento animale, racconterà al convegno nazionale sui centri diurni Alzheimer. La 12ª edizione, in programma al teatro Verdi di Montecatini Terme venerdì 14 e sabato 15 ottobre 2022, sarà ricca di appuntamenti ed è come sempre organizzata dalla facoltà di Geriatria dell’Università di Firenze con il sostegno della Fondazione Caript. Ne parlerà nel quadro di una relazione su come si preparano gli animali da compagnia oppure destinati alla pet therapy. Un intervento per conto della Sisca, la Società italiana di scienze del comportamento animale, nel cui nome la dottoressa Catalani ha coordinato la ricerca con Alberto. Sisca, per chi non lo sapesse, studia e promuove i rapporti uomo-animale nella provata convinzione che favorisca il benessere di entrambi.

Due anni. Tanto è durata la pet therapy su Alberto, con una seduta a settimana per un totale di venti. Protagonisti tre magnifici cani addestrati a Bologna in tandem con i loro operatori alla Scuola di interazione uomo animale (Siua): Tomas con Pebeta, una molossoide nera focata di taglia grande; Monica con il labrador Brenda; Valentina con Kora, una meticcia nera. Gli anni rispettivi: 7, 5 e 3.

«Per le sedute abbiamo usato un ambiente attrezzato della casa protetta con più pazienti in contemporanea – spiega Catalani – sempre però in rapporto personalizzato uno a uno: a ogni paziente un operatore a rotazione. Durata un’ora circa, attività variabili. Quando abbiamo cominciato Alberto aveva già 76 anni. Arrivava in carrozzella spinta dalla moglie, ma con lui si poteva fare molto poco: non aveva autonomia, né capacità di interagire».

E aggiunge: «Empiricamente si sa da sempre che le potenzialità del rapporto uomo-animale sono tante e uniche. E sono proprio i tre attori a renderla speciale: la persona che per vari motivi soffre, e l’operatore con il suo animale che, essendo diverso da noi, apre porte altrimenti sbarrate. Oramai anche la comunità scientifica riconosce le grandissime potenzialità e il valore di questi interventi assistiti. Grazie a Pebeta nella mente di Alberto si è aperto uno spiraglio. Se all’inizio non controllava le mani neppure per accarezzare il cane e meno che mai per offrirgli uno snack o lanciargli una pallina, alla fine ce l’ha fatta con visibile soddisfazione sua e di noi operatori. Non solo. Per mesi non aveva risposto alle nostre sollecitazioni. Poi, d’improvviso, ha parlato: ‘Alberto, vuoi continuare le attività con Pebeta?’, gli ha chiesto Tomas. ‘Sì’, ha risposto. Era proprio la sua voce. Alla sedicesima seduta anche nel muro del silenzio si era aperta una breccia».

Poi? Poi niente, si rammarica Catalani: «Nelle ultime sedute abbiamo visto altri progressi. Purtroppo, il finanziamento non è stato rinnovato e l’esperienza si è conclusa. È andata bene, la pet therapy si è dimostrata ancora una volta efficace. Alberto è riemerso dalle nebbie dell’Alzheimer. Ma continuando, chissà dove si poteva arrivare».

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La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

27/09/22 - Redazione

Nel 2019 la spesa per i servizi sociali dei Comuni in Italia è stata pari allo 0,42% del PIL, arrivando a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media). Grandi sono le differenze territoriali che non sembrano però seguire un pattern Nord-Sud: la spesa sociale provinciale per abitante dei Comuni singoli e associati al netto della compartecipazione degli utenti e del SSN è stata di 583 euro per la provincia di Bolzano e solo 6 per quella Vibo Valentia.

Le analisi relative al 2019 indicano un trend di spesa leggermente positivo, al netto delle compartecipazioni, pari a +0,48%, che passa così da 7,472 a 7,508 miliardi di euro (+35,9 milioni). Si tratta di un valore inferiore al tasso di inflazione. È una spesa peraltro che è sostanzialmente analoga a quella reale di 10 anni prima, nonostante i fenomeni di incremento della domanda sociale, con persistenti marcate divergenze regionali ed anche infra-regionali. Tale trend non è omogeneo sul territorio italiano, anzi, ci sono territori che retrocedono. In 42 aree provinciali si infatti è registrato un decremento della spesa sociale.

Le aree di intervento che assorbono la maggior parte della spesa sociale sono tre: Famiglia e minori, Disabili e Anziani. Nel 2018 per la prima si sono spesi circa 2,8 miliardi euro, pari al 37,9% della spesa dei Comuni; per la seconda circa 2 miliardi, pari al 26,8%; per la terza circa 1,3 miliardi, pari al 17,2%. Le spese per l’assistenza domiciliare risultano modeste: meno della metà di quella complessiva investita per l’area anziani e meno di 1/6 per l’area disabili.

Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto “I servizi sociali territoriali: una analisi per territorio provinciale”, redatto dall’Osservatorio Nazionale sui Servizi Sociali Territoriali del CNEL realizzato in collaborazione con ISTAT sul database informativo 2018 e i trend di spesa 2019. Le analisi sono state svolte dal gruppo di lavoro composto dai consiglieri CNEL Gianmaria Gazzi, Alessandro Geria (coordinatori), Giordana Pallone, Cecilia Tomassini ed Efisio Espa, dal prof. Emanuele Padovani dell’Università di Bologna coadiuvato dal dott. Matteo Bocchino di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Aziendali, e dalla dott.ssa Giulia Milan di ISTAT.

Presentando la ricerca, Geria e Gazzi hanno spiegato come siano necessario “portare a compimento con urgenza il processo di definizione normativa di tutti i livelli essenziali (LEPS) previsto nelle due ultime Leggi di Bilancio, e definirne di ulteriori per minorenni e ragazzi”. Inoltre “le evidenze relative alla rete dei servizi socio-sanitari per gli anziani e tutti gli altri soggetti fragili e non autosufficienti che emergono dal Rapporto attestano la necessità di approvare la riforma organica di sistema dell’assistenza di lungo periodo, attesa da un ventennio e ora prevista dal PNRR per la primavera 2023”.

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La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

 

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Caro bollette, “Finalmente un primo ascolto”

26/09/22 - Redazione

«Dopo le tante voci che, insieme a quella del nostro presidente nazionale, il dottor Domenico Giani, si sono levate dal Terzo settore in questi mesi per chiedere aiuto, il Governo e il Parlamento ci hanno finalmente dato un primo ascolto». È la reazione del presidente della Federazione regionale delle Misericordie della Toscana, Alberto Corsinovi, all’approvazione del ‘DL Aiuti Ter’ che guarda anche al mondo del Terzo settore, comprese le Rsa, che fino ad adesso era stato escluso.

«Finalmente la politica pensa anche a chi si prende cura dei più fragili. Continuare ad escludere queste realtà dai ristori contro i rincari delle bollette sarebbe stato gravemente ingiusto e avrebbe fatto ricadere l’emergenza energetica proprio sulla fascia più debole e indifesa della popolazione. Le tante Misericordie e realtà non profit  che svolgono attività di cura e assistenza verso le persone fragili sono da mesi in difficoltà ed abbiamo a più riprese dato voce alle loro richieste nei confronti della politica e delle istituzioni. Ne avevamo parlato anche il 30 giugno scorso, nella sede del Consiglio regionale della Toscana, nel corso dell’iniziativa organizzata insieme alla Fondazione Turati Onlus sul futuro degli ETS. Continuare ad ignorare il grido di aiuto di queste realtà le avrebbe messe nella condizione di non poter continuare a operare. Oggi si è proceduto ad un primo ascolto, ci auguriamo che adesso non ci si dimentichi più di loro. Vigileremo perché ciò non avvenga».

(Comunicato stampa)

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Approfondimenti specialistici

long term care

I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

11/04/20 - Barbara Atzori

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

pet therapy

In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

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Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

memoria

La memoria: fascino e cruccio

6/02/18 - Prof. Marco Ricca

Anche per la perdita di memoria, che Eschilo definì la “madre di ogni saggezza”, la diagnosi precoce svolge un ruolo fondamentale. Per correre ai ripari, specie in caso di significative amnesie, esistono terapie ad hoc e speciali mnemotecniche.

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