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Redazione

“La vecchiaia: il nostro futuro”

22/02/21 - Redazione

Pubblichiamo un documento della Pontificia Accademia per la vita intitolato “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia” e diffuso nei giorni scorsi. Su questo tema, che ci sta particolarmente a cuore dato anche che sarà centrale nella riorganizzazione dei servizi sanitari, realizzeremo presto nuovi approfondimenti.

 

Una lezione da apprendere

È ora il tempo di “trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati, e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà”[1] . Così Papa Francesco si esprimeva nella preghiera del 27 marzo del 2020 in una piazza San Pietro vuota, dopo averci ricordato che “avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti…”[2].

La Pontificia Accademia per la Vita – d’intesa con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale – si è sentita interpellata ad intervenire con una riflessione sugli insegnamenti da trarre dalla tragedia della pandemia, sulle sue conseguenze per l’oggi e per il prossimo futuro delle nostre società. In questa prospettiva si possono leggere anche i documenti già pubblicati dall’Accademia: “Pandemia e Fraternità universale”[3] e «“Humana Communitas”[4] nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita»[5].

La pandemia ha fatto emergere una duplice consapevolezza: da una parte l’interdipendenza tra tutti e dall’altra la presenza di forti disuguaglianze. Siamo tutti in balìa della stessa tempesta, ma in un certo senso, si può anche dire che stiamo remando su barche diverse: le più fragili affondano ogni giorno. È indispensabile ripensare il modello di sviluppo dell’intero pianeta. Tutti sono interpellati: la politica, l’economia, la società, le organizzazioni religiose, per avviare un nuovo assetto sociale che metta al centro il bene comune dei popoli. Non c’è più nulla di “privato” che non metta in gioco anche la forma “pubblica” dell’intera comunità. L’amore per il “bene comune” non è una fissazione cristiana: la sua articolazione concreta, adesso, è diventata una questione di vita o di morte, per una convivenza all’altezza della dignità di ciascun membro della comunità. Tuttavia, per i credenti la fraternità solidale è una passione evangelica: apre gli orizzonti ad un’origine più profonda e ad una destinazione più alta.

In tale difficile contesto si staglia l’ultima Enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti, che, provvidenzialmente, disegna l’orizzonte in cui collocarci per delineare quella “prossimità” al mondo degli anziani, che sino ad oggi è stato spesso “scartato” dall’attenzione pubblica. Gli anziani, infatti, sono stati tra i più colpiti dalla pandemia. Il numero di morti tra le persone oltre i 65 anni è impressionante. Papa Francesco non manca di rilevarlo: “Abbiamo visto quello che è successo agli anziani in alcuni luoghi del mondo a causa del coronavirus. Non dovevano morire così. Ma in realtà qualcosa di simile era già accaduto a motivo delle ondate di calore e in altre circostanze: crudelmente scartati. Non ci rendiamo conto che isolare le persone anziane e abbandonarle a carico di altri senza un adeguato e premuroso accompagnamento della famiglia, mutila e impoverisce la famiglia stessa. Inoltre, finisce per privare i giovani del necessario contatto con le loro radici e con una saggezza che la gioventù da sola non può raggiungere”[6].

Il documento che il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha pubblicato il 7 aprile 2020, poche settimane dopo l’inizio del lockdown in alcuni paesi europei, si sofferma sulla difficile situazione degli anziani e individua nella solitudine e nell’isolamento uno dei principali motivi per cui il virus si sta abbattendo così duramente su questa generazione. Nel testo si afferma che “una particolare attenzione meritano coloro che vivono all’interno delle strutture residenziali: ascoltiamo ogni giorno notizie terribili sulle loro condizioni e sono già migliaia le persone che vi hanno perso la vita. La concentrazione nello stesso luogo di così tante persone fragili e la difficoltà di reperire i dispositivi di protezione hanno creato situazioni difficilissime da gestire nonostante l’abnegazione e, in alcuni casi, il sacrificio del personale dedito all’assistenza” [7].

Il Covid-19 e gli anziani

Durante la prima ondata della pandemia una parte considerevole dei decessi da Covid-19 si è verificato nelle istituzioni per anziani, luoghi che avrebbero dovuto proteggere la “parte più fragile della società” e dove invece la morte ha colpito sproporzionatamente di più rispetto alla casa e all’ambiente familiare. Il capo dell’Ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che nella primavera del 2020 fino alla metà dei decessi per coronavirus nella regione sono avvenuti nelle case di cura: una “tragedia inimmaginabile”, ha commentato[8]. Dai calcoli comparati dei dati si rileva che la “famiglia”, invece, a parità di condizioni, ha protetto molto di più gli anziani.

L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare. Tale approccio manifesta in maniera evidente ciò che Papa Francesco ha definito la cultura dello scarto[9]. I rischi legati all’età come solitudine, disorientamento, perdita della memoria e dell’identità e decadimento cognitivo possono, in questi contesti, manifestarsi più facilmente, laddove invece la vocazione di questi istituti dovrebbe essere l’accompagnamento familiare, sociale e spirituale della persona anziana nel pieno rispetto della sua dignità, in un cammino sovente segnato dalla sofferenza.

Già negli anni in cui era Arcivescovo di Buenos Aires, Papa Francesco sottolineava che “l’eliminazione degli anziani dalla vita della famiglia e della società rappresenta l’espressione di un processo perverso in cui non esiste più la gratuità, la generosità, quella ricchezza di sentimenti che fanno sì che la vita non sia solo un dare e avere, cioè un mercato… Eliminare gli anziani è una maledizione che spesso questa nostra società si autoinfligge” [10].

È perciò quanto mai opportuno avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi “prossima” alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole. Peraltro, quanto è accaduto durante il Covid-19 impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani.

La benedizione di una lunga vita

L’esigenza di una nuova e seria riflessione, capace di coinvolgere la società a tutti i livelli, si impone anche a seguito dei grandi cambiamenti demografici a cui tutti assistiamo.

Sotto il profilo statistico-sociologico, uomini e donne hanno in generale oggi una più lunga speranza di vita. Correlata a questo fenomeno si registra una drastica riduzione della mortalità infantile. In molti Paesi del mondo, ciò ha portato alla compresenza di ben quattro generazioni. Questo fatto incredibile, che avrebbe molto da dirci sull’importanza di imparare a dare valore alle relazioni inter-generazionali, è senz’altro il frutto del progresso medico-scientifico, di una sanità più evoluta, di cure più diffuse, di una vita sociale più solidale. Il pianeta sta cambiando volto, ma le società – nelle loro articolazioni – debbono acquisirne una maggiore consapevolezza.

Questa grande trasformazione demografica rappresenta, infatti, una sfida culturale, antropologica ed economica. I dati ci dicono che la popolazione anziana cresce più velocemente nelle aree urbane rispetto a quelle rurali e che in esse la concentrazione di anziani è maggiore. Il fenomeno segnala, tra gli altri, un fattore di rilevante impatto, ossia la differenza dei rischi di mortalità, che tendono ad essere inferiori nelle aree urbane. Contrariamente a quanto una visione stereotipata potrebbe far immaginare, a livello globale le città sono luoghi dove in media si vive di più. Gli anziani, dunque, sono numerosi, ma è indispensabile rendere le città abitabili anche per loro. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi di ultrasessantenni: dunque, una persona su cinque sarà anziana[11]. È pertanto essenziale rendere le nostre città luoghi inclusivi e accoglienti per gli anziani e, in generale, per tutte le forme di fragilità.

Come ebbe modo di rilevare Papa Francesco, “alla vecchiaia oggi corrispondono stagioni differenti della vita: per molti è l’età in cui cessa l’impegno produttivo, le forze declinano e compaiono i segni della malattia, del bisogno di aiuto e l’isolamento sociale; ma per tanti è l’inizio di un lungo periodo di benessere psico-fisico e di libertà dagli obblighi lavorativi. In entrambe le situazioni, come vivere questi anni? Che senso dare a questa fase della vita, che per molti può essere lunga?”[12]. Nella nostra società prevale spesso l’idea della vecchiaia come di un’età infelice, intesa sempre e solo come l’età dell’assistenza, del bisogno e delle spese per le cure mediche. Terenzio Afro 2000 anni fa parlava di “senectus ipsa est morbus”, della vecchiaia come malattia in sé stessa. Eppure nella Bibbia la longevità è considerata una benedizione. “Essa ci mette a confronto con la nostra fragilità, con la dipendenza reciproca, con i nostri legami familiari e comunitari, e soprattutto con la nostra figliolanza divina”. “La vecchiaia – ha ben rimarcato Papa Francesco – non è una malattia, è un privilegio! La solitudine può essere una malattia, ma con la carità, la vicinanza e il conforto spirituale possiamo guarirla”.

In ogni caso, essere anziani è un dono di Dio e un’enorme risorsa, una conquista da salvaguardare con cura, anche quando la malattia si fa invalidante ed emergono necessità di assistenza integrata e di elevata qualità. Ed è innegabile che la pandemia abbia rinforzato in noi tutti la consapevolezza che la “ricchezza degli anni” è un tesoro da valorizzare e proteggere[13].

Un nuovo modello di cura e di assistenza degli anziani più fragili

A livello culturale e di coscienza civile e cristiana, è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani.

Imparare ad “onorare” gli anziani è cruciale per il futuro delle nostre società e, in ultima istanza, per il nostro futuro. “C’è un comandamento molto bello nelle Tavole della Legge, bello perché corrispondente al vero, capace di generare una riflessione profonda sul senso della nostra vita: “onora tuo padre e tua madre”. Onore in ebraico significa “peso”, valore; onorare vuol dire riconoscere il valore di una presenza: quella di coloro che ci hanno generato alla vita e alla fede. […] La realizzazione di una vita piena e di società più giuste per le nuove generazioni dipende dal riconoscimento della presenza e della ricchezza che costituiscono per noi i nonni e gli anziani, in ogni contesto e luogo geografico del mondo. E tale riconoscimento ha il suo corollario nel rispetto, che è tale se si esprime nell’accoglienza, nell’assistenza e nella valorizzazione delle loro qualità”[14] e dei loro bisogni.

Tra questi, vi è senz’altro il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali. Chi non vorrebbe continuare a vivere a casa propria, circondato dai propri affetti e dalle persone più care anche quando diventa più fragile? La famiglia, la casa, il proprio ambiente rappresentano la scelta più naturale per chiunque.

Certo, non sempre tutto può rimanere invariato rispetto a quando si era più giovani; a volte sono necessarie soluzioni che rendono verosimile una cura domiciliare. Ci sono situazioni in cui la propria casa non è più sufficiente o adeguata. In questi casi è necessario non farsi irretire da una “cultura dello scarto”, che può manifestarsi in pigrizie e mancanza di creatività nel cercare soluzioni efficaci quando vecchiaia significa anche assenza di autonomia. Mettere al centro dell’attenzione la persona, con i suoi bisogni e suoi diritti è espressione di progresso, di civiltà e di autentica coscienza cristiana.

La persona, dunque, deve essere il cuore di questo nuovo paradigma di assistenza e cura degli anziani più fragili. Ogni anziano è diverso dall’altro, la singolarità di ogni storia non può essere trascurata: la sua biografia, il suo ambiente di vita, le sue relazioni attuali e passate. Per individuare nuove prospettive abitative ed assistenziali è necessario partire da un’attenta considerazione della persona, della sua storia e delle sue esigenze. L’implementazione di tale principio implica un articolato intervento a diversi livelli, che realizzi un continuum assistenziale tra la propria casa e alcuni servizi esterni, senza cesure traumatiche, non adatte alla fragilità dell’invecchiamento.

In tale prospettiva, un’attenzione particolare va riservata alle abitazioni perché siano adeguate alle esigenze dell’anziano: la presenza di barriere architettoniche o l’inadeguatezza dei presidi igienici, la mancanza di riscaldamento, la penuria di spazio devono avere delle soluzioni concrete. Quando ci si ammala o si diventa deboli, qualsiasi cosa può trasformarsi in un ostacolo insormontabile. L’assistenza domiciliare deve essere integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio. In altre parole, è necessario e urgente attivare una “presa in carico” dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Tutto ciò richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale. Poiché solo così è possibile rispondere in maniera adeguata alla domanda di prossimità degli anziani, soprattutto dei più deboli ed esposti.

Vanno incrementate le figure dei care-giver, professioni già da anni presenti nelle società occidentali. Ma ci sono anche altre professionalità che vanno inquadrate all’interno di cornici normative, tali da valorizzare i talenti e sostenere le famiglie. Tutto ciò può consentire agli anziani di vivere in maniera “familiare” questa fase dell’esistenza.

Grande supporto può derivare dalle nuove tecnologie e dai progressi della telemedicina e dell’intelligenza artificiale: se ben utilizzati e distribuiti, possono creare, attorno all’abitazione dell’anziano, un sistema integrato di assistenza e cura capace di rendere possibile la permanenza nella propria casa o in quella dei propri familiari. Un’alleanza attenta e creativa tra famiglie, sistema socio-sanitario, volontariato e tutti gli attori in campo, può evitare ad una persona anziana di dover lasciare la propria abitazione. Non si tratterebbe, dunque, solo di aprire strutture con pochi posti letto, o di fornire un giardino o un animatore per il tempo libero. È necessaria, piuttosto, una personalizzazione dell’intervento sociosanitario e assistenziale. Essa potrebbe costituire una risposta concreta all’invito dell’Unione Europea a promuovere nuovi modelli di cura per gli anziani[15]. In tale orizzonte vanno promosse con creatività e intelligenza l’independent living, l’assisted living, il co-housing e tutte quelle esperienze che si ispirano al concetto-valore dell’assistenza reciproca, pur consentendo alla persona di mantenere una propria vita autonoma.

Tali esperienze, infatti, consentono di vivere in un alloggio privato, godendo dei vantaggi della vita comunitaria, in un edificio attrezzato, con un sistema di gestione del quotidiano totalmente condiviso e alcuni servizi garantiti, come l’infermiere di quartiere. Ispirandosi al tradizionale vicinato, contrastano molti dei disagi delle città moderne: la solitudine, i problemi economici, la carenza di legami affettivi, il semplice bisogno di aiuto. Sono le ragioni fondamentali del loro successo e della loro larga diffusione in tutto il mondo. Diverse sono le definizioni e le tipologie di residenza oggi possibili: intergenerazionali, che prevedono la compresenza di nuclei con fasce d’età differenti, ma predefinite; quelle che ospitano solo anziani, ma con particolari caratteristiche, o quelle per sole donne; quelle che accomunano famiglie giovani con figli e single; o che prevedono l’integrazione di operatori esterni per alcuni servizi di cura, e molte altre ancora[16]. In alcuni casi è anche emersa la necessità di offrire ospitalità ad anziani precedentemente istituzionalizzati, che desiderano iniziare “una nuova vita” lasciando quei contesti che li hanno accolti per anni.

Sono formule abitative ed assistenziali che richiedono un profondo cambiamento di mentalità e di approccio all’idea della persona anziana fragile, ma ancora capace di dare e di condividere: un’alleanza tra generazioni che può farsi forza nel tempo della debolezza.

Riqualificare la casa di riposo in un “continuum” socio-sanitario

Alla luce di queste premesse, le case di riposo dovrebbero riqualificarsi in un continuum socio-sanitario, ossia offrire alcuni loro servizi direttamente nei domicili degli anziani: ospedalizzazione a domicilio, presa in carico della singola persona con risposte assistenziali modulate sui bisogni personali a bassa o ad alta intensità, dove l’assistenza sociosanitaria integrata e la domiciliarità rimangano il perno di un nuovo e moderno paradigma. In occasione della giornata mondiale contro gli abusi sugli anziani del 2020, Papa Francesco ha sottolineato: “La pandemia del Covid-19 ha evidenziato che le nostre società non sono abbastanza organizzate per fare posto agli anziani, con giusto rispetto per la loro dignità e la loro fragilità. Dove non c’è cura per gli anziani, non c’è futuro per i giovani”[17]. I dati che l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica ogni anno in occasione della stessa giornata fanno triste eco alle parole del Papa in relazione alla presenza di abusi che, nei contesti istituzionalizzati, si verificano più di frequente[18].

Tutto questo rende ancora più evidente la necessità di supportare le famiglie che, soprattutto se costituite da pochi figli e nipoti, non possono sostenere da sole, presso un’abitazione, la responsabilità a volte logorante di prendersi cura di una malattia esigente, costosa in termini di energie e di denaro. Va reinventata una rete di solidarietà più ampia, non necessariamente ed esclusivamente fondata su vincoli di sangue, ma articolata secondo le appartenenze, le amicizie, il comune sentire, la reciproca generosità nel rispondere ai bisogni degli altri. Il declino delle relazioni sociali, infatti, colpisce in modo particolare gli anziani: con l’avanzare dell’età e l’emergere delle fragilità fisiche e cognitive, vengono spesso a mancare figure di riferimento, persone su cui fare affidamento per affrontare i problemi della propria vita. Alcune storiche, grandi inchieste, condotte ad esempio negli Stati Uniti, rivelano che tra il 1985 e il 2004 le reti amicali e di sostegno si sono ridotte drasticamente: nel 1985 le persone potevano contare su circa tre persone di fiducia, nel 2004 questo dato si riduce a uno. La perdita riguarda gli amici, più che i parenti. Questo fenomeno rappresenta un driver di grande importanza nel determinare quella esplosione di domanda sanitaria, che oggi non trova risposte sociali adeguate e che non deve essere definita impropria, dal momento che la degenerazione della propria rete di rapporti sociali è in sé un fatto capace di deteriorare le proprie condizioni di salute fisica e mentale.

Per questo è importante invertire il trend, anche con attenti piani che promuovano sia nel versante civile che in quello ecclesiale l’attenzione e la cura perché coloro che invecchiano non siano lasciati soli.

In diversi Paesi, le case di riposo sono state, negli ultimi decenni, la risposta ad una domanda crescente, proveniente da un mondo in trasformazione, sebbene molte persone anziane continuino a vivere nelle loro case e domandino di essere sostenute e appoggiate in questa scelta fondamentale. In molte città esistevano, anni fa, “luoghi” e strutture ben note all’immaginario collettivo, dove gli anziani erano destinati a trasferirsi gli ultimi anni della loro vita, per scelta o perché costretti dalle proprie condizioni personali. Col passare degli anni le case di riposo si sono moltiplicate, sia come numero che come tipologia e capacità residenziale. Anche la Chiesa Cattolica, attraverso le Diocesi e alcuni istituti religiosi, ha offerto e tuttora offre il proprio contributo nella gestione di molte case che ospitano e assistono persone anziane. La presenza di personale religioso costituisce un fattore di indubbio valore per istituzioni antiche e stimate, che per tanto tempo sono state una soluzione concreta ad una problematica sociale così complessa, come l’invecchiamento. Esistono esempi molto belli, che di fatto mostrano come sia possibile umanizzare l’assistenza alle persone anziane più fragili: esempi di carità cristiana, opere pie e istituzioni di antica data, che non lesinano energie e sforzi, anche se in mezzo a difficili e quasi ingestibili situazioni economiche.

Le famiglie, dal canto loro, ricorrono spesso alla soluzione del ricovero in strutture pubbliche e private per necessità, nella speranza di offrire ai propri cari un’assistenza di qualità. Ed è innegabile che se un tempo le famiglie numerose riuscivano ad organizzarsi nella cura dei familiari più anziani all’interno della propria casa, oggi la modificata struttura dei nuclei familiari – “più stretti”, con un ridotto numero medio di componenti, e “più lunghi”, con tre o più generazioni al loro interno – e le complesse esigenze lavorative che tengono gli adulti lontani da casa, trasformano in una sfida del tutto nuova prendersi cura dei propri anziani. In alcuni contesti sociali poveri, poi, la soluzione istituzionale può costituire una risposta concreta alla mancanza di una casa propria. E se alcuni anziani scelgono in autonomia di trasferirsi nelle case di riposo per trovare compagnia, una volta rimasti soli, altri lo fanno perché la cultura dominante li spinge a sentirsi un peso e un fastidio per i propri figli o famigliari.

Nella gran parte di queste strutture, la dignità e il rispetto per l’anziano sono sempre stati i cardini dell’opera assistenziale, facendo emergere ancor più, per contrasto, gli episodi di maltrattamento e di violazione dei diritti umani, quando sono stati portati alla luce. In tal senso, i sistemi sociosanitari e assistenziali sia pubblici che privati hanno investito ingenti risorse economiche per la cura della terza e della quarta età, integrando al proprio interno le case di risposo.

Col passare degli anni, tuttavia, le normative hanno imposto di ridurre le dimensioni delle grandi strutture residenziali, sostituendole con moduli più piccoli e più funzionali alle necessità degli ospiti. È pur vero che l’ambiente delle case di riposo appare strutturato più come un ospedale che come un’abitazione, senza che tuttavia vi sussista l’elemento più specifico: ossia il fatto che in ospedale si entra con la speranza di uscirne, una volta che si è stati curati. Un fattore che sta facendo ormai emergere un disagio diffuso nella coscienza collettiva, sia a livello medico che culturale. Per questo è importante preservare un tessuto umano e un ambiente assistenziale e accogliente dove tutti possano accudire, servire e incontrare. Come ci ricorda Papa Francesco: “L’anziano non è un alieno, l’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno anche noi”[19].

Gli anziani e la forza della fragilità

In quest’orizzonte anche le Diocesi, le parrocchie e le comunità ecclesiali sono invitate ad una riflessione più attenta verso il mondo degli anziani. Negli ultimi decenni più volte i pontefici sono intervenuti per sollecitare senso di responsabilità e cura pastorale degli anziani.

La loro presenza è una grande risorsa. Basti pensare al ruolo determinante che hanno avuto nella conservazione e nella trasmissione della fede ai giovani nei Paesi sotto i regimi atei e autoritari. E a quanto continuano a fare tanti nonni per trasmettere la fede ai nipoti. “Nelle società secolarizzate di molti Paesi, – ha rimarcato Papa Francesco – le attuali generazioni di genitori non hanno, per lo più, quella formazione cristiana e quella fede viva, che invece i nonni possono trasmettere ai loro nipoti. Sono loro l’anello indispensabile per educare alla fede i piccoli e i giovani. Dobbiamo abituarci a includerli nei nostri orizzonti pastorali e a considerarli, in maniera non episodica, come una delle componenti vitali delle nostre comunità. Essi non sono solo persone che siamo chiamati ad assistere e proteggere per custodire la loro vita, ma possono essere attori di una pastorale evangelizzatrice, testimoni privilegiati dell’amore fedele di Dio.”[20]

Certamente, gli anziani, da parte loro, devono cercare di vivere con sapienza la vecchiaia: “Questi anni del nostro ultimo tratto di cammino, contengono un dono e una missione: una vera vocazione del Signore”[21]. Per questo “la pastorale degli anziani, come ogni pastorale, va inserita nella nuova stagione missionaria inaugurata da papa Francesco con Evangelii Gaudium. Ciò significa: annunciare la presenza di Cristo [anche] alle persone anziane. L’evangelizzazione deve mirare alla crescita spirituale di ogni età, poiché la chiamata alla santità è per tutti, anche per i nonni. Non tutte le persone anziane hanno già incontrato Cristo e anche se l’incontro c’è stato, è indispensabile aiutarli a riscoprire il significato del proprio Battesimo, in una fase speciale della vita, […]: per ritrovare lo stupore dinanzi al mistero dell’amore di Dio e all’eternità; […] per scoprire la relazione con il Dio dell’amore misericordioso; per chiedere agli anziani che fanno parte delle nostre comunità di essere attori della nuova evangelizzazione per trasmettere essi stessi il Vangelo. Essi sono chiamati ad essere missionari”[22], come ogni altra età della vita.

In tal senso “la Chiesa [può farsi] luogo dove le generazioni sono chiamate a condividere il progetto d’amore di Dio, in un rapporto di reciproco scambio dei doni dello Spirito Santo. Questa condivisione intergenerazionale ci obbliga a cambiare il nostro sguardo verso gli anziani, per imparare a guardare al futuro insieme a loro. […] Il Signore può e vuole scrivere con loro anche pagine nuove, pagine di santità, di servizio, di preghiera”.[23]

Giovani e anziani, infatti, incontrandosi, possono portare nel tessuto sociale quella nuova linfa di umanesimo che renderebbe più solidale la società. Più volte Papa Francesco ha esortato i giovani a stare accanto ai nonni. Il 26 luglio 2020, nel cuore della pandemia, rivolgendosi ai giovani disse: “Vorrei invitare i giovani a compiere un gesto di tenerezza verso gli anziani, soprattutto i più soli, nelle case e nelle residenze, quelli che da tanti mesi non vedono i loro cari. Cari giovani, ciascuno di questi anziani è vostro nonno! Non lasciateli soli! Usate la fantasia dell’amore, fate telefonate, videochiamate, inviate messaggi, ascoltateli […]. Inviate loro un abbraccio”. E nel 2012 Benedetto XVI ebbe occasione di dire: “Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il loro cammino di vita”.

La vecchiaia richiama anche il senso della destinazione ultima dell’esistenza umana. Giovanni Paolo II nel 1999 scriveva agli anziani: “Urge recuperare la giusta pro­spettiva da cui considerare la vita nel suo insieme. E la prospettiva giusta è l’eternità, della quale la vita è preparazione significativa in ogni sua fase. Anche la vecchiaia ha un suo ruolo da svolgere in questo processo di progressiva maturazio­ne dell’essere umano in cammino verso l’eterno. Se la vita è un pellegrinaggio verso il mistero di Dio, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia di questo mistero”[24]. L’uomo che invecchia non si avvicina alla fine, ma al mistero dell’eternità; per comprenderlo ha bisogno di avvicinarsi a Dio e di vivere nella relazione con Lui. Prendersi cura della spiritualità degli anziani, del loro bisogno di intimità con Cristo e di condivisione della fede è un compito di carità nella Chiesa.

Preziosa è anche la testimonianza che gli anziani possono dare con la loro fragilità. Essa può essere letta come un “magistero”, un insegnamento di vita. Lo esprime l’incontro di Gesù risorto con Pietro sulle rive del lago di Tiberiade. Rivolgendosi all’apostolo, dice: “quando eri giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà là dove tu non vorresti” (Gv. 21, 18). Pare riassunto in queste parole tutto il magistero sulla persona che nella vecchiaia si indebolisce: “stendere le mani” per farsi aiutare. Gli anziani ci ricordano la radicale debolezza di ogni essere umano, anche quando si è in salute, ci ricordano il bisogno di essere amati e sostenuti. Nella vecchiaia, sconfitta ogni autosufficienza, si diviene mendicanti di aiuto. “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10), scrive l’apostolo Paolo. Nella debolezza è Dio stesso che, per primo, tende la mano all’uomo.

La vecchiaia va compresa anche in questo orizzonte spirituale: è l’età propizia dell’abbandono a Dio. Mentre il corpo si indebolisce, la vitalità psichica, la memoria e la mente diminuiscono, appare sempre più evidente la dipendenza della persona umana da Dio. Certo, c’è chi può sentire la vecchiaia come una condanna, ma anche chi può sentirla come un’occasione per reimpostare la relazione con Dio. Caduti i puntelli uma­ni, la virtù fondamentale diviene la fede, vissuta non solo come adesione a verità rivelate, ma come certezza dell’amore di Dio che non abbandona.

La debolezza degli anziani è anche provocatoria: invita i più giovani ad accettare la dipendenza dagli altri come modo di affrontare la vita. Solo una cultura giovanilista fa sentire il termine “anziano” come dispregiativo. Una società che sa accogliere la debolezza degli anziani è capace di offrire a tutti una speranza per il futuro. Togliere il diritto alla vita di chi è fragile significa invece rubare la speranza, soprattutto ai giovani. Ecco perché scartare gli anziani – anche con il linguaggio – è un grave problema per tutti. Implica un messaggio chiaro di esclusione, che sta alla base di tanta mancata accoglienza: dalla persona concepita a quella con disabilità, dall’emigrato a colui che vive per strada. La vita non viene accolta se troppo debole e bisognosa di cura, non amata nel suo modificarsi, non accettata nel suo infragilirsi. E non è purtroppo una remota eventualità, ma qualcosa che accade con frequenza, laddove l’abbandono, come ripete il Papa, diviene una forma di eutanasia nascosta[25] e propone un messaggio che mette a rischio l’intera società. È un atteggiamento pericoloso, che manifesta chiaramente che l’opposto della debolezza non è la forza, ma la hybris, come la chiamavano i greci: la presunzione che non conosce limiti. Molto diffusa nelle nostre società, genera colossi dai piedi argilla. Presunzione, superbia, tracotanza, disprezzo dei deboli caratterizzano coloro che credono di essere forti. Un atteggiamento stigmatizzato nelle Scritture: la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,25). E, ciò che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti (1Cor 1,27). Il cristianesimo non solo non respinge né nasconde la debolezza dell’uomo, dal concepimento sino al momento della morte, ma le conferisce onore, senso e persino forza. Certo, non si può dire con superficialità che invecchiando si diventa automaticamente migliori: difetti e ruvidezze già presenti nell’età adulta possono accentuarsi e l’incontro con la propria vecchiaia e le sue debolezze può rappresentare un tempo di disagio interiore, di chiusura verso gli altri o di rifiuto della fragilità.

Ma i cristiani – loro, in particolare – debbono interrogarsi con l’intelligenza dell’amore per individuare prospettive e strade nuove con le quali rispondere alla sfida non solo dell’invecchiamento, quanto piuttosto della debolezza nella vecchiaia. Poiché è innegabile che la malattia e la perdita di autonomia che possono sopraggiungere creino dei problemi e una legittima domanda di aiuto.

Un racconto evangelico, in particolare, mette in luce il valore e le sorprendenti potenzialità dell’età anziana. Si tratta dell’episodio della Presentazione al Tempio del Signore, ricorrenza che nella tradizione cristiana orientale è chiamata “Festa dell’Incontro”. In quell’occasione sono infatti due persone avanti con l’età, Simeone e Anna, a incontrare il Bambino Gesù: dei fragili anziani lo rivelano al mondo come luce delle genti e parlano di lui a quanti erano in attesa del compimento delle promesse divine (cfr Lc 2,32.38). Simeone prende Gesù tra le braccia: il Bambino e l’anziano, quasi a simboleggiare l’inizio e il termine dell’esistenza terrena, si sostengono reciprocamente: infatti, come proclamano alcuni Inni liturgici, «il vecchio portava il Bambino, ma il Bambino sorreggeva l’anziano». La speranza scaturisce così dall’incontro tra due persone fragili, un Bambino e un anziano, a ricordarci, in questi nostri tempi che esaltano la cultura della prestazione e della forza, che il Signore ama rivelare la grandezza nella piccolezza e la fortezza nella tenerezza. L’episodio, come più volte sottolineato dal Santo Padre, segna anche l’incontro tra i giovani, rappresentati da Maria e Giuseppe che portano il Bambino al Tempio, e gli anziani Simeone e Anna, che li accolgono e li istruiscono. Nell’incontro, tuttavia, i ruoli si invertono: il testo biblico evidenzia, attraverso ricorrenti ripetizioni, come i giovani ricerchino l’adesione fedele alla tradizione, attenendosi a quanto prescriveva «la Legge del Signore» (cfr vv. 22-24.27), mentre gli anziani rivelano la novità dello Spirito (cfr vv. 25-27), profetizzando l’avvenire.

Ciò avviene nell’alveo fecondo dell’incontro aperto e accogliente tra giovani e anziani, che permette la realizzazione di una promessa antica: «Questo episodio compie la profezia di Gioele: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gl 3,1). In quell’incontro i giovani vedono la loro missione e gli anziani realizzano i loro sogni»[26]. Il futuro – sembra dirci questa profezia – apre possibilità sorprendenti solamente se si coltiva insieme. È solo grazie agli anziani che i giovani possono ritrovare le proprie radici ed è solo grazie ai giovani che gli anziani recuperano la capacità di sognare. Papa Francesco ne ha ribadito più volte la necessità, sia per la Chiesa che per la società, proponendo di incoraggiare con audacia i nonni a sognare: non solo per riaccendere in loro la speranza, ma anche per dare alle giovani generazioni la linfa vitale, che scaturisce dai sogni degli anziani, veicoli insostituibili di memoria per indirizzare sapientemente l’avvenire. Ecco perché privare gli anziani del loro “ruolo profetico”, accantonandoli per ragioni meramente produttive, provoca un incalcolabile impoverimento, un’imperdonabile perdita di saggezza e di umanità. Scartando gli anziani, si recidono le radici che permettono alla società di crescere verso l’alto e di non appiattirsi sui momentanei bisogni del presente.

Il paradigma che si intende proporre non è astratta utopia o ingenua pretesa, può invece innervare e nutrire anche nuove e più sagge politiche di salute pubblica e originali proposte di un sistema assistenziale più adeguato alla vecchiaia. Più efficaci, oltre che più umane. Lo richiede un’etica del bene comune e il principio del rispetto della dignità di ogni singolo individuo, senza distinzione alcuna, neppure quella dell’età. L’intera società civile, la Chiesa e le diverse tradizioni religiose, il mondo della cultura, della scuola, del volontariato, dello spettacolo, dell’economia e delle comunicazioni sociali debbono sentire la responsabilità di suggerire e sostenere – all’interno di questa rivoluzione copernicana – nuove e incisive misure perché sia reso possibile agli anziani di essere accompagnati e assistiti in contesti familiari, nella loro casa e comunque in ambienti domiciliari che assomiglino più alla casa che all’ospedale. Si tratta di una svolta culturale da mettere in atto. La Pontificia Accademia per la Vita sarà attenta a indicare questa strada come la via più autentica per testimoniare la verità profonda dell’essere umano: immagine e somiglianza di Dio, mendicante e maestro d’amore.

 

+ Vincenzo Paglia

Presidente

Mons. Renzo Pegoraro

Cancelliere

Città del Vaticano, 2 febbraio 2021

______________________

[1] Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia, 27 marzo 2020.

[2] Francesco, Ivi.

[3] Nota del 30 marzo 2020.

[4] Nota del 22 luglio 2020. Humana Communitas è il titolo della Lettera che Papa Francesco ha inviato alla Pontificia Accademia per la Vita il 6 gennaio 2019, in occasione del XXV anniversario della sua istituzione.

[5] Sul punto, si veda anche il documento del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita del 7 aprile 2020, Nella solitudine il coronavirus uccide di più, in http://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/en/news/2020/nella-solitudine-il-coronavirus-uccide-di-piu.html

[6] Francesco, Lettera enciclica Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale, 2020, 19.

[7] Dicastero per i laici, la famiglia e la Vita, Nella solitudine il coronavirus uccide di più, 7 aprile 2020, in hhtp://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/it/news/2020/nella-solitudine-il-coronavirus-uccide-di-piu.html

[8] 23 aprile 2020 Associated Press

[9] Francesco, Udienza generale, 5 giugno 2013.

[10] J.M. Bergoglio, Solo l’amore ci può salvare, LEV, Città del Vaticano 2013, p. 83.

[11] World Health Organization (2011), Global Health and Aging, in http://www.who.int/ageing/publications/global_health.pdf.

[12] Francesco, Discorso ai partecipanti al I Congresso internazionale di pastorale degli anziani sul tema “La ricchezza degli anni”, 31 gennaio 2020.

[13] COMECE-FAFCE, The elderly and the future of Europe. Intergenerational solidarity and cares in times of demographic change, December 3, 2020.

[14] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Conclusioni al I Congresso internazionale di pastorale degli anziani “La ricchezza degli anni”, 30 gennaio 2020, in Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita “La ricchezza degli anni”, LEV, 2020, http://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/it/eventi/2020/la-ricchezza-degli-anni/conclusioni.html

[15] Il 2012 è stato un anno dedicato dalle istituzioni internazionali alla vecchiaia: l’Unione Europea lo aveva proclamato “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni”, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dedicato la Giornata Mondiale della Salute 2012 al tema “Invecchiamento e salute: la buona salute aggiunge vita agli anni”.

[16] Per una panoramica, cfr. C. Durret, Senior Cohousing, A Community approach to Independent Living – The Handbook, 2019, Gabriola Island BC, Canada.

[17] Francesco, Tweet del 15 giugno 2020.

[18] https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/elder-abuse.

[19] Francesco, Udienza Generale, 4 marzo 2015.

[20] Francesco, Discorso ai partecipanti al I congresso internazionale di pastorale degli anziani “La ricchezza degli anni”, 31 gennaio 2020.

[21] Francesco, Udienza Generale,11 marzo 2015.

[22] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Conclusioni al I Congresso internazionale di pastorale degli anziani “La ricchezza degli anni”, 30 gennaio 2020, in http://www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/it/eventi/2020/la-ricchezza-degli-anni/conclusioni.html

[23] Francesco, Discorso ai partecipanti al I congresso internazionale di pastorale degli anziani “La ricchezza degli anni”, 31 gennaio 2020.

[24] Giovanni Paolo II, Lettera agli Anziani, 1999.

[25] Cfr. Francesco, Incontro con gli anziani, Piazza San Pietro, 28 settembre 2014.

[26] Francesco, Omelia, 2 febbraio 2018.

[00173-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0085-XX.02]

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Alzheimer, uno studio sul ruolo dei biomarcatori

13/08/20 - Redazione

La demenza di Alzheimer, la più frequente della demenze neurodegenerative, è una malattia che affligge la popolazione in proporzione crescente con l’età, ed è caratterizzata da importanti disturbi cognitivi che comportano disabilità personali e sociali gravose. Per questa malattia non vi sono trattamenti efficaci nel bloccare la progressione e nel ristabilire le condizioni cognitive. È definita dal WHO come il più grave disturbo senza un trattamento disponibile. Colpisce prevalentemente il genere femminile in un rapporto di 3:1 rispetto agli uomini.

Recentemente si è puntata l’attenzione sugli strumenti diagnostici di questa grave patologia: una diagnosi precoce ed affidabile è infatti il primo passo per sviluppare dei trattamenti terapeutici. Gli strumenti diagnostici possono essere clinici (analisi dei disturbi cognitivi) e biologici, quali analisi sul liquido cerebrospinale (CSF) oppure immagini cerebrali strutturali (risonanza magnetica) o molecolari (PET): i risultati di questi metodi biologici vengono nel complesso definiti «biomarcatori». È in corso una accesa discussione scientifica sulla validità reciproca di questi due «filoni» diagnostici con biomarcatori, quello basato su analisi del CSF e quello basato sulle immagini, con espressione di punti di vista non sempre convergenti da parte degli scienziati del settore. L’argomento è seguito con grande attenzione perché da scelte non corrette nella interpretazione dei biomarcatori potrebbe dipendere un rallentamento nello sviluppo di trattamenti efficaci con costi sanitari e sociali immensi.

In questo delicato panorama si inserisce il recente articolo pubblicato sul Journal of Alzheimer Disease (JAD) dalla dottoressa Gemma Lombardi dal titolo «Challenges in Alzheimer’s Disease Diagnostic Work-Up: Amyloid Biomarker Incongruences», J Alzheimers Dis, 2020 Jul 20,  doi: 10.3233/JAD-200119 (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32716357/). Il lavoro è stato realizzato nel corso di un periodo di ricerca dell’autrice sostenuto economicamente dalla Fondazione Turati che ha anche sostenuto parte dei costi diretti della ricerca. La Fondazione Turati infatti aveva, tramite il suo Comitato scientifico, deciso di sostenere la ricerca italiana sull’Alzheimer. Il lavoro pubblicato è concretamente un obiettivo raggiunto da ascrivere come un successo dell’impegno della Fondazione Turati nel perseguire il benessere delle persone.

In estrema sintesi i risultati della ricerca che, autorizzata dal Comitato etico, ha incluso 39 pazienti, suggeriscono che probabilmente con l’avanzare dell’età i biomarcatori espressi dal CSF siano più affidabili di quelli forniti dalle immagini cerebrali. Questo suggerimento si discosta dalle più comuni ed autorevoli posizioni scientifiche che tendono ad equiparare il valore dei due diversi tipi di biomarcatori.

Il valore scientifico di questo risultato dipenderà, come deve, da come la comunità scientifica lo accoglierà, citandolo o meno nel prossimo futuro. Quello che per adesso la pubblicazione dell’articolo su JAD già dimostra è che la ricerca della dottoressa Lombardi è stata condotta in maniera eticamente e scientificamente corretta e che quindi il contributo portato può a buon diritto entrare nel patrimonio scientifico.

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Un Piano Nazionale per il Terzo Settore

17/06/20 - Redazione

Con una lettera aperta al Presidente del Consiglio, esponenti della società civile, operatori, ricercatori e cittadini hanno chiesto che l’Italia si doti di un piano d’azione per il Terzo Settore e l’economia sociale. La lista dei firmatari dell’iniziativa, promossa da Carlo Borzaga e Gianluca Salvatori di Euricse e Marco Musella di Iris Network, è in continuo aggiornamento. Per informazioni e adesione scrivere a: euricse@euricse.eu

I cento giorni della pandemia hanno inferto al corpo della società italiana una ferita che per rimarginarsi richiederà tempo, molte risorse e nuove energie. Preso singolarmente, nessuno di questi tre elementi è risolutivo. Il tempo, di per sé, può essere sprecato senza una visione lungimirante accompagnata dagli strumenti per realizzarla. Le risorse, anche se copiose, senza idee per utilizzarle strategicamente finiscono disperse in rivoli. E anche le energie rischiano di essere frustrate se mancano gli strumenti e il tempo per trasformarle in forza di cambiamento.

A fronte di questo scenario, ci rivolgiamo al Presidente del Consiglio dei Ministri in quanto crediamo che tra le energie indispensabili nella fase del rilancio post Covid-19 quelle del Terzo settore e dell’economia sociale debbano svolgere un ruolo fondamentale, non sostitutivo ma integrativo di quello delle imprese private e delle amministrazioni pubbliche, e in una prospettiva non di breve termine.

Non parliamo, solo, di riconoscere il contributo del Terzo settore nella gestione dell’emergenza, attraverso i volontari della protezione civile, le associazioni che hanno curato la distribuzione di viveri e generi di prima necessità, le cooperative sociali che hanno garantito i servizi nei luoghi più esposti al contagio, e molto altro ancora. O del contributo, più in generale, che le organizzazioni dell’economia sociale garantiscono all’economia italiana nel suo complesso, operando trasversalmente in tutti i settori e dando lavoro a più di un milione e mezzo di persone.

Parliamo del futuro che ci aspetta, delle nuove attività da sviluppare, dei posti di lavoro che andranno a sostituire quelli persi e che potranno essere creati nel settore della cura e dell’assistenza, nel rafforzamento del sistema sanitario soprattutto nella sua componente territoriale, nei servizi educativi e culturali, nella manutenzione del territorio e nella rivitalizzazione di centri minori e delle aree marginali, nella produzione in forma collettiva di energia da fonti alternative, nello sviluppo di un turismo locale sostenibile, e in molti altri ambiti che oggi neppure immaginiamo. Posti di lavoro declinati in gran parte al femminile e aperti anche a cittadini in condizioni di fragilità, creati da organizzazioni che da almeno due decenni – e in particolare dopo la crisi del 2008 – costituiscono, in termini sia di crescita del valore aggiunto e propensione all’investimento che di creazione di posti di lavoro, uno dei comparti più dinamici del nostro Paese. Parliamo della necessità di uno sviluppo economico che non neghi i valori sociali, ma anzi da questi tragga forza. Valori che sono costitutivi delle organizzazioni del Terzo settore e dell’economia sociale e di cui esse sono tra i principali promotori.

Perché dopo la crisi sanitaria e quella economica, dovremo impegnarci per evitare una crisi sociale dalle conseguenze devastanti.

In questi mesi il Governo non ha trascurato il Terzo settore e le organizzazioni dell’economia sociale. Nei provvedimenti per la ripresa economica si è tenuto conto di questi attori importanti della vita nazionale. Proprio per questo – come operatori, studiosi, cittadini – chiediamo un ulteriore passo, più ambizioso. Serve uscire dalla logica dei singoli interventi e tracciare anche per queste organizzazioni una linea di azione complessiva, ancorata a riferimenti chiari sui soggetti da coinvolgere e su tutti i possibili ambiti di attività e dotata di risorse adeguate a progettare uno sviluppo di lunga durata.

Abbiamo un’occasione, anzi due. In Europa sta prendendo forma un grande programma per dare forza al cosiddetto “pilastro sociale” dell’Unione, finora trascurato. Nei prossimi mesi la Commissione europea, dopo una consultazione ampia, darà luce a un Action plan per l’Economia Sociale, determinante per la programmazione comunitaria 2021-2027. In quella cornice verranno definiti obiettivi, strumenti e risorse per rafforzare il contributo allo sviluppo economico e sociale europeo del non profit, delle imprese sociali, dell’associazionismo, della filantropia e di tutte le organizzazioni che affondano le loro radici nell’esperienza collettiva. L’Italia deve fare altrettanto: si doti di un Action Plan nazionale per tracciare la strategia con cui rendere il Terzo settore e l’economia sociale parte integrante del percorso di rilancio del Paese.  Definisca le linee verso cui indirizzare risorse ed energie per sfruttare tutto il potenziale che le organizzazioni non profit e dell’economia sociale possono mettere a disposizione dell’interesse generale. Lo costruisca con una consultazione ampia tra tutti coloro che possono portare un contributo come ha deciso di fare la Commissione europea. Una consultazione che potrebbe opportunamente prendere avvio anche da una ricomposizione dei numerosi contributi e spunti emersi in questi mesi sul tema.

La seconda opportunità viene dal programma straordinario Next Generation EU e da tutti gli strumenti che la Commissione europea sta mettendo in campo per affrontare la crisi scatenata da Covid-19. L’indicazione che viene dall’Europa è che queste ingenti risorse servono non solo a far ripartire l’economia ma anche a irrobustire la coesione sociale. Ci sono specifiche azioni, come REACT-EU, pensate proprio a questo scopo. Quindi, al Presidente del Consiglio chiediamo che il Piano di azione per il Terzo settore e l’economia sociale venga finanziato con una quota non marginale delle risorse straordinarie e ordinarie che nei prossimi mesi verranno destinate all’Italia.

Serve un allineamento tra tempo, risorse ed energie. Serve un’azione di largo respiro e con uno sguardo lungo. Nessuna delle questioni che oggi siamo chiamati ad affrontare ha probabilità di essere risolta senza questa prospettiva e senza il contributo del Terzo settore e dell’economia sociale. È essenziale però che questo contributo non resti sotto il suo potenziale o vada disperso in mille frammenti. Perciò servono un Piano di azione nazionale e gli strumenti per realizzarlo.

 

 

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La quotidianità in Rsa durante il lockdown, tra attività speciali e videochiamate

16/04/20 - Redazione

Dal Centro socio-sanitario della Fondazione Turati di Gavinana, sulla Montagna pistoiese, il racconto di queste settimane di lockdown nelle parole dello staff della Rsa “I fiori” e di quello della Rsa “Gli alberi“. L’emergenza ha costituito una prova complessa per tutto il personale, che però affronta il proprio lavoro con la stessa passione e motivazione di sempre: dal menù speciale ideato per il periodo pasquale ai laboratori creativi improvvisati sulla base delle esigenze del momento, e dai progetti che proseguono a distanza alla novità dell’uso della tecnologia da parte degli ospiti anziani, ecco una descrizione delle attività, degli interventi attuati e della quotidianità vissuta all’interno delle due strutture.

Quali sono per voi gli scogli principali da superare in questa fase d’emergenza?

«Il nostro lavoro si scontra in questo momento di particolare tensione con le paure di ognuno di noi, che cerchiamo però di elaborare, anche con il supporto della psicologa di struttura e con i nostri strumenti personali, al fine di garantire ai nostri residenti la stessa rassicurazione e positività di sempre. Anche la passione che mettiamo ogni giorno nel nostro lavoro resta invariata. In questa circostanza è importante prendersi cura di noi stessi, per poi essere in grado di prenderci cura degli altri.

A livello più pratico, invece, è cambiato il modo di lavorare in gruppo: ora è molto importante far mantenere la distanza sociale tra i nostri residenti e disinfettare spesso le mani col disinfettante apposito. Dunque, non vengono creati più grandi gruppi formali, bensì piccoli gruppi di persone distanziate tra di loro, perché prima la sicurezza viene prima di tutto. Anche al di fuori dei momenti di attività, nelle sale da pranzo e soggiorno manteniamo la distanza necessaria».

C’è più collaborazione nello staff, dato il momento?

«La collaborazione è necessaria sempre per lavorare bene e adesso ancora di più. Nei momenti in cui gli animatori e gli educatori sono impegnati in attività singole o in videochiamate, capita spesso che lo staff operativo svolga attività ludico–ricreative per far compagnia e intrattenere i nostri anziani: ad esempio con il gioco della ragnatela dei pensieri belli, i film, la musica, le chiacchierate. Allo stesso tempo, animatori ed educatori supportano lo staff operativo nei momenti in cui è importante farlo. Ma, a prescindere dal momento, diciamo che la collaborazione c’è sempre stata, anche se si può sempre migliorare!»

Durante l’anno siete costantemente impegnati in attività che stimolano la creatività e la socializzazione negli ospiti, spesso con il contributo di numerose associazioni e realtà del territorio. Come vi siete riorganizzati in questo periodo nel quale non potete avvalervi di supporti esterni? Lavorate su tematiche particolari?

«Pur avvalendoci di professionisti esterni, il team animativo ed educativo ha sempre portato avanti una propria progettualità interna, costellata da laboratori di lettura e scrittura, laboratori creativi e poi ancora da terapia occupazionale, ludoterapia, dal laboratorio CuciniAmo e così via. In questo particolare momento, le nostre attività continuano e soprattutto ne partono di nuove, nate magari per caso e dai bisogni individuali degli ospiti, che arrivano all’improvviso! Ieri ad esempio ha avuto luogo un laboratorio di cucito improvvisato con un residente che doveva tappare urgentemente un buchino nei pantaloni. Lo stesso ospite si è reso utile nel cambio dell’ora legale agli orologi, sentendo poi di aver dato una mano in un momento in cui tutti siamo molto indaffarati».

E per la Pasqua?

«Ci siamo preparati  ad accogliere le festività pasquali con dei laboratori creativi a tema e un menù festivo (da Pasqua al primo maggio) interamente scelto da noi, il quale tiene conto di vari interventi della nostra logopedista, volti a far vivere una bella esperienza di sapore anche alle persone disfagiche. Anche la nostra dietista ci segue, anche se lontana, per essere sempre presente con i suoi consigli quando facciamo uno strappo alle regole. I pranzi di Pasqua e Pasquetta sono stati molto apprezzati dai nostri residenti, che si sono sentiti coccolati e considerati nei loro bisogni».

Dalla condizione di distanza fisica sono nate attività specifiche?

«Innanzitutto continua, a distanza, il progetto intergenerazionale “Un ponte sospeso tra ieri, oggi e domani”: i bambini del Summer Camp di Cutigliano ci hanno inviato dei bellissimi disegni per farci sentire il loro sostegno colorato in questo momento particolare.

Cruciale in questo momento il ruolo dei “Circoli” (gruppi di socializzazione, nda) dei residenti, gestiti dalla psicologa di struttura, Barbara Atzori, in collaborazione con il team animativo ed educativo. Rappresentano un valido momento, data anche la lontananza fisica dai parenti, per condividere le criticità affettive e relazionali amplificate dalla distanza, nonché per sentirsi compresi, accolti e in comunione tra di noi grazie alla condivisione.

Le parole curano sempre, ma in un momento così, in cui è vietato un abbraccio, le parole giuste possono davvero dare un conforto inestimabile».

A proposito della lontananza dai familiari, come aiutate gli ospiti a sentire lo stesso i propri affetti vicini?

«In questo momento, oltre alle attività già citate, lo staff animativo ed educativo si impegna ampiamente nella facilitazione delle relazioni tra i residenti e i loro parenti e amici.  Tentiamo di colmare la distanza fisica tra le persone con le videochiamate. Queste sono inserite in un progetto chiamato “Connessioni”, a sua volta parte di un programma (“Nessuno escluso”) comprendente un laboratorio di computer già previsto nel calendario dell’anno in corso.  Il progetto è pensato anche per chi è lontano dalla tecnologia e non possiede uno smartphone: è infatti possibile inviare ai propri parenti delle lettere via posta, che saranno poi lette, nel caso in cui la persona non sia più in grado di farlo, da noi operatori. Una bella lettera dai familiari è arrivata nei giorni scorsi a una delle nostre maestre più anziane che, dato anche il mestiere da lei svolto per lungo tempo, preferisce ricevere uno scritto anziché una videochiamata».

Mai come oggi la tecnologia è preziosa e, dunque, utilizzata: per gli ospiti più anziani e i loro familiari deve trattarsi di un cambiamento significativo.

«Lo smartphone di residenza si rivela uno strumento di rassicurazione sia per i residenti che per i parenti e amici, che ad esempio hanno la possibilità di inviare foto e disegni di incoraggiamento da parte dei nipotini. Il materiale così ottenuto risulta poi utile per personalizzare ulteriormente le camere e gli spazi comuni.

È davvero stupefacente vedere come molti anziani si adattino e riescano ad entrare in contatto con questa nuova tecnologia, a loro finora sconosciuta.

Noi operatori ci sentiamo commossi e divertiti nel poter assistere a certe scene: come quelle di una una bisnonna che canta una canzoncina alla piccola nipotina, di una figlia che presenta il fidanzato al padre, di un nipote che mostra alla nonna la sua nuova casa e chiede se ha steso bene i panni. Molto toccante giorni fa l’episodio in cui la nonna centenaria, ormai afona, ha aperto la videochiamata alla nipote, che festeggiava il compleanno, tenendo in mano un cartello con su scritto “Tanti auguri!”

Lo strumento delle videochiamate ci permette, inoltre, di tenerci in contatto visivo con le volontarie “Non perdiamo il filo”, con le tante figure che allietano i pomeriggi dei nostri anziani e con la parrocchia di Gavinana. Che, attraverso Don Cipriano, ha inviato allo staff operativo una preghiera per sentirsi vicini, seppur lontani.

Essendo sospese in questo momento le funzioni religiose all’interno della struttura, ci impegniamo tutti per garantire alle persone religiose momenti di preghiera e di lettura e per far seguire loro la messa del Santo Padre.

Cerchiamo infine di non lasciare la televisione troppo a lungo sintonizzata su programmi in cui si parla morbosamente dell’attualità che stiamo vivendo, dando la precedenza ai film scelti dagli ospiti (tra questi, “Marcellino pane e vino” e “Venezia, la luna e tu”)».

Come vi approcciate al futuro?

«Vi salutiamo fiduciosi credendo nelle parole di Dostoevskij:

“Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile, diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani“».

Guarda la fotogallery sul sito della Fondazione Turati

 

 

 

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Un osservatorio permanente contro la violenza sugli operatori sanitari

11/05/18 - Redazione

Sono passati oltre 10 anni da quando il ministero della Sanità ha emanato la raccomandazione n° 8 del 2007 in cui, facendo riferimento agli atti di indirizzo del Niosh (National Institute for Occupational Safety and Health) e alle stime del Bureau of Labor Statistics statunitense, vengono dettate le linee guida sulla prevenzione degli atti di aggressione ai danni degli operatori sanitari. L’obbiettivo della raccomandazione era quello di prevenire gli atti di violenza, cercando di ridurre le condizioni di rischio e nello stesso tempo far acquisire competenze al fine di valutare ed evitare situazioni di pericolo.

La stessa raccomandazione prevedeva diverse azioni da mettere in campo:

  • l’elaborazione di un programma di prevenzione
  • un’analisi delle situazioni lavorative
  • una definizione ed implementazione di misure di prevenzione e controllo
  • la formazione del personale mediante una implementazione della raccomandazione e livello aziendale; il monitoraggio degli eventi sentinella.

Purtroppo i dati (fonte Fnomceo, Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri) non sono confortanti: sono 4.000 all’anno i casi di violenza sul luogo di lavoro di cui 1.200 riguardanti i lavoratori della sanità. Di questi, il 70% è contro le donne, con una media di più di tre episodi al giorno: come sottolineato dal presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, bisogna poi aggiungere tutti gli episodi minori che forse non creano danni materiali ai soggetti, ma che provocano comunque traumi psicologici.

Per tutti questi motivi, il 13 marzo scorso si è insediato alla presenza del ex ministro Beatrice Lorenzin l’Osservatorio permanente contro la violenza sugli operatori sanitari, allo scopo di monitorare il fenomeno e stimarlo nella sua ampiezza, trovando così delle soluzioni appropriate. L’Osservatorio è presieduto dal ministro della Salute e ne fanno parte il comandante dei Carabinieri del Nas, il coordinatore degli assessori alla sanità regionali, il presidente della Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, il presidente della Federazione degli infermieri, il presidente della Federazione nazionale ordini dei veterinari, il presidente della Federazione dei farmacisti, il direttore generale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali e i direttori generali della Prevenzione, della Programmazione e delle Professioni sanitarie del ministero.

«L’Osservatorio insediatosi oggi – ha commentato il ministro Lorenzin – si pone importanti obiettivi: attivare un monitoraggio su tutti i livelli di sicurezza degli operatori sanitari, proporre misure concrete che li mettano in sicurezza negli ambiti di rischio – innalzando al contempo il loro livello di formazione rispetto alla gestione del rischio – e intervenire sugli aspetti organizzativi delle singole Asl e delle singole Regioni, perché spesso siamo di fronte a tematiche legate a problemi non solo sociologici ma anche organizzativi. Un’azione coordinata e corale, che mira a ridare prestigio e dignità alle professioni sanitarie, proteggendo e valorizzando il loro quotidiano indispensabile lavoro, al servizio, non va dimenticato, dei pazienti e di tutti i cittadini».

 

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10 priorità per rilanciare il Ssn

22/03/18 - Redazione

La Commissione ritiene sia necessario un forte impegno delle politiche per la salute sugli aspetti riassunti nelle seguenti conclusioni.

  1.  il finanziamento del Ssn: le restrizioni imposte alla sanità pubblica, in particolare nelle regioni sotto Piano di Rientro, hanno contribuito, dal 2010 ad oggi, a contenere in modo significativo la spesa sanitaria, ma stanno producendo effetti preoccupanti sul funzionamento dei servizi e sull’assistenza erogata ai cittadini. La Commissione ritiene che, nei prossimi anni, il sistema non sia in grado di sopportare ulteriori restrizioni finanziarie, pena un ulteriore peggioramento della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un deterioramento delle condizioni di lavoro degli operatori. Eventuali margini di miglioramento, sempre possibili, possono essere perseguiti solo attraverso una attenta selezione degli interventi di riqualificazione dell’assistenza, soprattutto in termini di appropriatezza clinica e organizzativa, evitando azioni finalizzate al mero contenimento della spesa, nella consapevolezza che i risparmi conseguibili devono essere destinati allo sviluppo di quei servizi ad oggi ancora fortemente carenti, in particolare nell’assistenza territoriale anche in relazione all’aumento delle patologie cronico-degenerative;
  2. la sostenibilità della spesa privata: la sostenibilità della spesa sanitaria pubblica non può essere approfondita senza affrontare in modo esplicito il suo aspetto speculare, la sostenibilità della spesa privata per la salute, di dimensioni rilevanti, in particolare in alcune settori di assistenza e per molte famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica. Particolare attenzione deve essere riservata alla spesa per le varie forme di protezione integrativa, analizzandone i costi e i benefici (per il singolo cittadino, per la collettività e per le finanze pubbliche), il ruolo nella tutela della salute nonché l’adeguatezza della relativa disciplina a tutela del consumatore di prestazioni sanitarie; è inoltre irrinunciabile un riordino complessivo degli aspetti regolatori e legislativi della sanità integrativa finalizzandola a un concreto sostegno al servizio sanitario;
  3. un piano straordinario di investimenti: la carenza di risorse per gli investimenti costituisce un elemento di grande debolezza per il Ssn: il degrado di molte strutture sanitarie, il mancato rispetto delle norme di sicurezza e l’obsolescenza di alcune dotazioni tecnologiche mettono a rischio la qualità dei servizi oltre che la credibilità delle istituzioni. Un Piano straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie, accuratamente disegnato in modo da evitare i passati insuccessi di alcune regioni, potrebbe costituire un volano per l’occupazione e la crescita, oltre che una occasione per ammodernare il patrimonio del Ssn, soprattutto nelle regioni più fragili. Un aggiornamento dello stato di obsolescenza delle strutture sanitarie pubbliche e della sicurezza delle stesse (per gli operatori e per i pazienti) appare fondamentale in vista di una nuova programmazione degli interventi. La Commissione propone inoltre l’inserimento delle infrastrutture sanitarie fra gli investimenti finanziabili attraverso i finanziamenti europei, a partire dai fondi strategici del piano Juncker;
  4. la ridefizione e il monitoraggio dei Lea: Il complesso sistema di governance del Ssn,che non ha eguali in tutta la Pubblica Amministrazione e che ha anticipato le azioni di revisione della spesa oggi avviate in molti altri settori, ha consentito di ridurre i disavanzi e contrastare i maggiori fattori di inefficienza, ma non ha prodotto altrettanti risultati sul fronte della completezza dell’offerta, dell’accessibilità delle cure e dell’equità del sistema.bLa Commissione ritiene che debba essere garantita l’attuazione in tutto il territorio nazionale dei nuovi Lea, e che l’aggiornamento debba essere assicurato con regolarità e in funzione dei reali bisogni di salute dei pazienti (dati i mutamenti socio-demografici ed epidemiologici di questi ultimi decenni) e secondo i principi della medicina basata sulle evidenze scientifiche, secondo le logiche di Health Technology Assessment. Ritiene inoltre che sia necessaria una robusta revisione degli strumenti di verifica del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in tutte le regioni e in particolare in quelle in Piano di Rientro, innovando nei metodi e nei contenuti, anche in relazione alle nuove evidenze oggi disponibili;
  5. una governance per l’uniformità: nella tutela della salute le diseguaglianze fra regioni e all’interno di una stessa regione sono sempre più inaccettabili, soprattutto in un periodo di grave crisi economica; esse sono inoltre almeno in parte evitabili attraverso l’adozione di specifici programmi di intervento a livello locale, regionale e nazionale. L’obiettivo di una diffusa sanità di buon livello, in cui le eccellenze non si contrappongo alle manchevolezze ma spiccano su una generale buona qualità a disposizione di tutta la popolazione, deve essere considerato una delle priorità per i prossimi anni. La Commissione ritiene opportuno uno specifico sforzo volto a promuovere un sistema organico di strumenti di governance per l’uniformità degli standard dell’offerta sanitaria all’interno del Paese nei diversi aspetti dell’accesso, della completezza e della qualità dell’offerta, degli oneri a carico dei cittadini, degli esiti in termini di salute. A questo riguardo una buona governance del sistema sanitario e sociale, capace di raccogliere le sfide imposte dai tempi, deve necessariamente estendere il proprio ambito di intervento anche alle gravi criticità determinate dalle condizioni di povertà e dalle emergenze ambientali che incidono sulla salute e sui bisogni di assistenza della popolazione;
  6. le risorse umane: i molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno indebolendo il servizio sanitario in tutte le regioni, demotivando e destrutturando la principale risorsa su cui può contare un sistema di servizi alla persona. Un altro aspetto rilevante riguarda il rischio di carenza di professionalità mediche, rischio che per quanto riguarda le professioni infermieristiche è da tempo una certezza,  con conseguenti gravi rischi anche per l’offerta sanitaria: le piramidi per età dei medici del Ssn mettono in evidenza che l’età media è intorno ai 54 anni, mentre l’età media dell’infermiere dipendente è intorno ai 48 anni. Preoccupa l’uso intensivo della forza lavoro, con turni sempre più massacranti, largo impiego di precariato, penalizzazioni economiche e di carriera, fenomeni rilevati anche dall’Europa e dalla Corte di Giustizia europea.La Commissione ritiene urgente la definizione di un piano di programmazione per le risorse umane, che preveda una accurata revisione dei vincoli vigenti introducendo elementi di flessibilità, favorendo l’inserimento di nuove leve di operatori, rimodulando il turn-over, ipotizzando forme di staffetta intergenerazionale, superando il blocco dei contratti (anche solo nella parte normativa);
  7. la formazione: la Commissione ritiene opportuno aprire una fase di verifica e revisione dei percorsi formativi, per l’accesso alle diverse professioni e per l’aggiornamento degli operatori della sanità, guardando ai contenuti, ai soggetti e ai luoghi della formazione, con l’obiettivo di utilizzare al meglio le risorse disponibili (sempre più limitate) e di innalzare la qualità della formazione, in un’ottica di programmazione di medio-lungo periodo del fabbisogno di personale per il sistema di tutela della salute della popolazione. A tal fine è necessaria una maggiore compenetrazione, come ha sentenziato la Corte Costituzionale, tra la missione dell’Università (incentrata prioritariamente, ma non esclusivamente, su formazione e ricerca) e quella del sistema sanitario nazionale (prioritariamente rivolta alla cura e all’assistenza, ma sempre più attenta anche alla ricerca e alla formazione);
  8. dare attuazione alla legge sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. La legge 24/ 2017 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” costituisce un provvedimento di grande rilevanza per la tutela da un lato del paziente nel diritto ad una informazione completa e chiara e al risarcimento del danno in tempi brevi, e dall’altro di tutti i professionisti che operano nel settore e che si impegnano nella realizzazione dell’atto clinico (di per sé rischioso). Migliorare la gestione del rischio clinico, garantire sicurezza ai pazienti e agli operatori, contrastare la medicina difensiva (cioè la tendenza dei medici a prescrivere più esami, visite e farmaci del necessario per scongiurare eventuali procedimenti giudiziari e richieste di risarcimento da parte dei pazienti), assicurare tempi certi e modalità semplificate per dirimere eventuali controversie, promuovere forme di protezione contro il rischio di contenzioso che siano in grado di ridurre i costi per il sistema sanitario e per il professionista sono le sfide che la legge 24/2017 consente di affrontare su una base chiara e di sistema;
  9.  l’informatizzazione e la digitalizzazione della sanità: l’informatizzazione dei sistemi sanitari e le nuove tecnologie digitali contribuiscono ad aumentare l’efficienza e l’efficacia del sistema e favoriscono la personalizzazione delle cure. Soluzioni tecnologiche nell’ambito dell’eprescription, ebooking, mobilità, FSE e cloud possono consentire inoltre una maggiore accessibilità e un migliore monitoraggio dei pazienti (anche a distanza) nonché una maggiore integrazione tra gli operatori che possono valutare con maggiore appropriatezza gli interventi di cura lungo tutto il percorso di cura del paziente. In questa logica assume rilevanza anche il dossier farmaceutico che, essendo parte integrante dell’Fse, può consentire il governo della spesa agevolando l’attuazione della pharmaceutical care. Il Patto sulla sanità digitale in fase di elaborazione e previsto nel Patto per la salute 2014-2016, può essere certamente un documento importante di indirizzo strategico per i sistemi sanitari regionali ma occorre mantenere una regia a livello centrale che possa garantire una progettazione unitaria su standard condivisi, una valutazione attraverso indicatori di processo e di risultato nonché il monitoraggio e il supporto all’implementazione; su tali temi la Commissione ritiene che si debba procedere con maggiore tempestività, evitando le debolezze e le inconcludenze che hanno contraddistinto molti degli interventi passati;
  10. legalità e trasparenza: nonostante la crescente attenzione, il sistema sanitario deve ancora dotarsi, sul piano culturale ed etico – oltre che tecnico-amministrativo, di un insieme organico di strumenti volti a promuovere l’integrità del settore, per sua natura particolarmente esposto al rischio di contaminazioni da fenomeni di abuso di potere, frodi, corruzione. Formazione culturale e informazione devono divenire prassi diffuse a tutti i livelli, compreso quello politico-decisionale. Non si tratta solo di combattere la corruzione: si tratta di lavorare per l’integrità in tutte le sue forme, dal mancato rispetto dei diritti dei cittadini (la prima forma di illegalità) alla sicurezza dei luoghi di cura, dai conflitti di interesse ai contratti di fornitura, dal caos amministrativo al rispetto dei contratti di lavoro. La valutazione delle performance delle aziende sanitarie non può prescindere dal monitoraggio di elementi propri della trasparenza e della legalità. Particolare attenzione dovrà essere dedicata, e non solo nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro, alle connessioni fra disavanzi di bilancio, disordine amministrativo, qualità degli apparati tecnici, corruzione politica e condizionamenti della criminalità organizzata; a tal fine si ritiene debbano essere individuati specifici strumenti per il “rientro nella legalità” con riferimento alle aziende sanitarie interessate da commissariamento o gravi fenomeni di corruzione.

(Dall’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del SSN – Senato della Repubblica – documento pubblicato il 10/01/2018)

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Sanità, gli anziani non costano

22/03/18 - Redazione

Gli studi internazionali sulla dinamica della spesa sanitaria giungono tutti a una importante conclusione: l’invecchiamento della popolazione è un fattore di crescita della spesa sanitaria in grado di giocare un ruolo relativamente modesto nel medio lungo periodo, certamente inferiore a quello giocato dal fattore tecnologico (progresso scientifico e tecnologico in campo medico), dal cosiddetto effetto Baumol (l’inevitabile aumento dei costi di produzione, data l’alta intensità di lavoro, fattore produttivo difficilmente sostituibile), dallo sviluppo economico (che aumenta l’attenzione delle persone al benessere e al contempo genera nuovi bisogni di salute) e da un complesso insieme di fattori esogeni (istituzionali, politici, culturali, ecc.) di difficile identificazione.

I ripetuti allarmi sul fattore demografico sono quindi in gran parte infondati. La stessa Ragioneria Generale dello Stato ha recentemente rivisto le proprie proiezioni al ribasso incorporando il fattore “invecchiamento sano” (che modifica il profilo dei consumi nella terza età) e riconoscendo il ruolo dell’effetto “concentrazione della spesa negli ultimi mesi di vita” (o effetto “death related costs“, che sposta in avanti – in prossimità della morte – il momento in cui un individuo necessita di un’assistenza molto costosa, ma non necessariamente ne aumenta l’intensità e la durata). Tali elementi sono in grado di limitare significativamente l’impatto dell’invecchiamento sulla spesa sanitaria rispetto a quanto stimato dalla semplice estrapolazione meccanica degli attuali comportamenti di consumo per età e sesso. Si veda fra tutti l’ultimo studio Oecd, il quale mostra che dal 1995 al 2009, la spesa pubblica è cresciuta in termini reali del 4,3% all’anno, di cui solo 0,5 punti sono attribuibili al fattore demografico.

Pur riconoscendo la necessità di una attenta valutazione degli effetti dell’invecchiamento della popolazione sulla composizione della domanda di assistenza e ribadendo il legame fra livello della spesa pro capite e età dell’individuo, appare quindi chiaro che l’aumento della popolazione anziana non ha molto a che fare con la sostenibilità economica del servizio sanitario. Si tratta di uno di quei luoghi comuni da cui i lavori della Commissione hanno cercato di prendere le distanze, e non solo per rispetto delle evidenze scientifiche.

In primo luogo perché è opportuno restituire valore e dignità al processo di invecchiamento della popolazione. Le persone anziane sono una risorsa, ricca di competenze ed esperienze. Garantiscono alle famiglie e alle comunità il senso di continuità tra presente e futuro, alimentando le radici che identificano e danno senso alla vita delle collettività. Sono risorsa per le nuove generazioni, sia per i bambini, sia per i loro genitori che possono contare su un costante aiuto e sostegno, in particolare in questi anni di crisi.

La società moderna tende invece a considerare gli anziani un peso, un problema per la spesa previdenziale e per la spesa sanitaria, un intralcio all’efficienza dei sistemi produttivi (per la loro minore produttività), un onere a carico delle generazioni attive (per il lavoro di cura che spesso richiedono).

Il sistema di welfare deve promuovere il superamento di tale visione negativa, sostenendo e testimoniando la cultura del prendersi cura, del dare risposte ai bisogni primari, del rispetto dovuto alle persone a maggior ragione quando queste non dispongono più di alcune capacità considerate normali. Ogni operatore della sanità e del sociale, a partire da chi ha maggiori responsabilità decisionali, deve farsi carico di testimoniare quotidianamente, con comportamenti e atti, che il principio del rispetto della dignità della persona, alla base del nostro welfare, non è solo una bella enunciazione di principio ma è profondamente radicato nella cultura e nella formazione dei professionisti.

(Dall’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del SSN – Senato della Repubblica – documento pubblicato il 10/01/2018)

 

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Asili vuoti, RSA piene

6/02/18 - Redazione

Numeri impressionanti, quelli che, sulla demografia italiana, vengono dall’Istat.  Alla fine del 2016 in Italia risiedevano 60 milioni e mezzo di persone. Saranno 58 milioni e mezzo nel 2045 e 53,7 milioni nel 2065. Gli over 65 erano il 22% della popolazione nel 2016, saranno il 34% nel 2050. L’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,7 anni ad oltre 50, nel 2065. Le nascite, che stanno drasticamente riducendosi dal 2008, proseguiranno il loro trend negativo, anche se verso la fine del periodo considerato è previsto un leggero rialzo della fecondità per donna, dagli attuali 1,34 figli a 1,59. Le future nascite comunque non compenseranno i futuri decessi e il saldo naturale della popolazione troverà solo un parziale sollievo dalle migrazioni che porteranno poco più di 2,5 milioni di residenti aggiuntivi.

Facile immaginare quali saranno le conseguenze di questa bomba ad orologeria. Meno nascite oggi significa meno adulti in età lavorativa domani e di conseguenza meno tasse e contributi per finanziare sanità e pensioni. E questo mentre si allunga l’aspettativa di vita e aumenta di conseguenza la percentuale di persone che necessita di cure e assistenza a lungo termine.

Un quadro che dovrebbe portare la politica ad attuare da subito alcune misure:

  • favorire la natalità incrementando il sostegno economico alle famiglie con figli e favorendo il lavoro femminile (perché contrariamente a quello che si crede dove è più alta la percentuale di donne che lavorano è più alto anche il tasso di fecondità);
  • governare l’immigrazione agevolando la formazione e l’inserimento dei migranti. Si tratta insomma di favorire l’inserimento lavorativo di quanti si vogliono davvero integrare accettando le regole di convivenza della nostra società;
  • utilizzare, ai fini dell’interesse generale, la grande risorsa costituita da quella parte di popolazione anziana ancora in grado di dare un contributo positivo alla società.

In pratica quasi l’esatto contrario della maggioranza delle proposte politiche che sentiamo sbandierare in questa nostra vigilia elettorale.

Giancarlo Magni

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C’è ancora il diritto alla salute?

6/02/18 - Redazione

Sono sempre di più gli italiani insoddisfatti del Servizio sanitario nazionale. Il dato emerge dal 15° rapporto annuale “Ospedali&Salute 2017” promosso dall’Aiop, l’associazione italiana di ospedalità privata. Il malcontento è espresso dal 32,2% delle persone intervistate, una percentuale in crescita di 11 punti rispetto al 2015 quando i critici si erano fermati al 21,3%. Nel mirino soprattutto gli ospedali pubblici, in un solo anno gli scontenti sono passati passati dal 22,7% al 30,2 con punte del 50,6% nelle regioni meridionali. Da notare infatti che le percentuali riportate costituiscono la media nazionale e quindi c’è da tenere presente (parleremo nei prossimi numeri delle differenze fra regione e regione) che il dato del sud pesa molto sulle valutazioni finali. Il giudizio negativo deriva soprattutto da due fattori. Il peggioramento del trattamento dei pazienti, e la lunghezza dell’attesa per avere il trattamento richiesto, giudizio questo espresso dal 54,1% dei pazienti intervistati (il dato del 2014 era del 24,2%). L’insoddisfazione per il servizio e l’attesa per la sua erogazione spingono una percentuale non secondaria della popolazione  a ricorrere alle strutture accreditate o private (39,3% nel 2017 rispetto al 35,5% del 2009), a rivolgersi ad ospedali fuori regione (30%) o a recarsi addirittura all’estero (18,5% nel 2017 rispetto al 14,1 del 2013).

Tutti comportamenti che hanno la conseguenza diretta di far lievitare la spesa sanitaria privata delle famiglie che oggi è arrivata a 40 miliardi l’anno con un incremento che negli ultimi 10 anni è stato del 22,4% a fronte di aumento della spesa pubblica del 14,2. Le ragioni che spingono i singoli ad investire in salute, nonostante sulla carta il Servizio sanitario sia universale e solidale, sono fondamentalmente quattro:

  • le liste d’attesa troppo lunghe;
  • il desiderio di scegliersi uno specialista di fiducia;
  • la sfiducia in alcuni ospedali e nei relativi servizi;
  • la necessità di avere medicinali che o non sono prescrivibili o necessitano di particolari lungaggini burocratiche.

Non tutti ovviamente possono accedere al mercato privato della sanità. Infatti il 26,8% degli intervistati è stato costretto nel 2017 a rimandare o rinunciare alle cure, con l’aggravante che il 20% di questi aveva rinunciato a curarsi anche nel 2016. Di fatto un depotenziamento dell’universalità e gratuità del Servizio sanitario pubblico che, a questo punto, senza una riforma vera e profonda fa saltare quel diritto alla salute che, nel nostro Paese, sembrava ormai definitivamente acquisito.

Giancarlo Magni

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“Sei vecchio” e Avati si dimette

6/02/18 - Redazione

Sono bastate 48 ore. Amareggiato dalle critiche ricevute dopo la nomina,  avuta dal ministro dei Beni Culturali, Franceschini, a componente della Commissione di esperti prevista dalla legge sul cinema per la concessione di contributi al settore, Pupi Avati ha rassegnato le sue dimissioni irrevocabili.

A scatenare la polemica il Fatto Quotidiano che titolava il pezzo sulla costituzione della nuova Commissione in modo sprezzante: “Per finanziare giovani registi, Franceschini nomina una Commissione con in media 70 anni d’età“. Il regista poi veniva descritto così: «79 anni compiuti, ultracattolico, una vita dietro la macchina da presa con svariati “capolavori” in carriera ma anche con un certo appannamento nei risultati, almeno nell’ultimo decennio».

A parte l’evidente vena polemica dettata dalla diversa posizione politica, Avati è vicino al centrodestra mentre il Fatto Quotidiano è espressione della sinistra, c’è nell’articolo e nel titolo una connotazione fortemente negativa verso le persone più in avanti con gli anni, come se l’età avanzata, anche in soggetti in salute, fosse di per sé una condizione negativa, di impedimento a svolgere una mansione, anche di tipo intellettuale.

È un pregiudizio largamente diffuso. Nasce dall’equiparazione lavoro-forza fisica, tipica di una concezione “produttivistica” della società che vede l’essere umano esclusivamente nella funzione di produttore. Un’idea che almeno sulla carta dovrebbe essere lontana mille miglia da chi si richiama ad una concezione di sinistra. Ma nella confusione ideologica oggi imperante tutto è possibile.  Non interessa comunque in questa sede confutare questo tipo di contraddizioni quanto contestare il principio che equipara la vecchiaia all’incapacità. Come se Clint Eastwood, tanto per fare un esempio restando in campo cinematografico, non fosse lì a dimostrarci, con i suoi 87 anni, quanto quel pregiudizio sia fallace.

Nel rassegnare le sue dimissioni Pupi Avati ha scritto “la barbarie nella quale stiamo precipitando fa sì che vantare un’esperienza sia assolutamente disdicevole… Mi spiace, non ho mai amato le risse e soprattutto non mi piace confrontarmi con questa nuova genia di giornalisti che non riesco ad apprezzare“. Anche se, aggiungiamo noi, hanno 40 anni di meno.

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Approfondimenti specialistici

pet therapy

In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

Validation Therapy

Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

memoria

La memoria: fascino e cruccio

6/02/18 - Prof. Marco Ricca

Anche per la perdita di memoria, che Eschilo definì la “madre di ogni saggezza”, la diagnosi precoce svolge un ruolo fondamentale. Per correre ai ripari, specie in caso di significative amnesie, esistono terapie ad hoc e speciali mnemotecniche.

degenerazione maculare legata all'età

La degenerazione maculare legata all’età o Dmle

31/01/18 - Prof. Alberto De Napoli

Questa patologia, provocata solitamente da una combinazione di fattori genetici e ambientali, rappresenta la principale causa di perdita della vista dopo i 50 anni. Per i soggetti a rischio, dunque, è indispensabile sottoporsi a controlli periodici.

osteoporosi

Osteoporosi, chi si ferma è perduto

29/01/18 - Dr.ssa Iolanda Maria Rutigliano

Guida alle strategie più efficaci per prevenire e combattere l’osteoporosi, malattia silente che colpisce donne e uomini dai 50 in su. Tra i fattori determinanti l’esercizio fisico e l’alimentazione.

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