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non autosufficienza

Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

22/03/23 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Nella serata del 21 marzo è stato approvato alla Camera, dopo il via libera al Senato dello scorso 8 marzo, il Disegno di Legge Delega in materia di politiche in favore delle persone anziane.

Si tratta di un traguardo molto importante, fortemente voluto dalle 57 organizzazioni (tra cui Percorsi di secondo welfare) che costituiscono il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. Prima, queste realtà hanno lavorato insieme in questi ultimi due anni affinché, prima, la riforma dell’assistenza agli anziani venisse inserita nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR). Poi, si sono impegnate affinché venissero accolte dal Governo e dai Ministeri di riferimento le proposte volte a delineare una buona riforma per i milioni di italiani toccati a vario titolo dalla sfida dell’invecchiamento demografico.

Il testo ha accolto al suo interno numerose proposte “originali” del Patto e anche alcuni successivi emendamenti inviati alla Commissione Affari Sociali del Senato nel mese di febbraio. Vediamo quindi più nel dettaglio i contenuti della Legge Delega approvata, che è strutturata in 3 Capi e 9 articoli.

Principi, governance e programmazione

All’interno del Capo 1 dedicato ai principi generali e al sistema di coordinamento e programmazione interministeriale. Nello specifico l’articolo 1 fornisce le definizioni dei di Livelli essenziali delle prestazioni (LEPS), Livelli essenziali di assistenza (LEA), Ambiti territoriali sociali (ATS), Punti unici di accesso (PUA), i Piani individualizzati di assistenza integrata (PAI) e caregiver familiari rimandando per ognuno alla normativa di riferimento. L’articolo 2 definisce i principi generali (come riportati nella tabella 1) e prevede l’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (CIPE).

(…)

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

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La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

16/01/23 - Redazione

Una delle notizie che il sistema dei mass media ha più ampiamente prima selezionato e poi diffuso – nel contesto della pandemia da Covid 19 – è stato quella del presunto fallimento delle Rsa. Questi contesti residenziali di cura sono stati descritti, soprattutto nei primi mesi della pandemia, come luoghi pericolosi e incontrollabili, dove il virus ha generato una vera e propria “strage” tra gli ospiti anziani e anche tra gli operatori.

Capri espiatori e strategia dello struzzo

La narrazione delle Rsa come luoghi pericolosi ha preso la forma di decine di news televisive, radiofoniche e della carta stampata; i programmi del cosiddetto “approfondimento”, ma anche report e saggi del sistema scientifico (spesso molto polemici nei confronti delle istituzioni regionali o locali in questione). Al pari delle Rsa, quali capri espiatori paragonabili, si contano solo il “sistema ospedaliero-ospedalocentrico” e i modelli sanitari.

A loro volta i politici regionali hanno scelto come causa di tutti i mali, il livello centrale di Governo. Ne è derivato un ping-pong senza costrutto che ha fatto dimenticare altre cose altrettanto rilevanti. Il “meccanismo del capro espiatorio” funziona sempre come deresponsabilizzazione collettiva e fuga dalla realtà. Il “sacrificio” del Capro rimette in equilibrio la comunità che espelle il male esternalizzandolo: un male di cui essa stessa è responsabile.

Società senza centro e senza vertice

Nella realtà, se una cosa la pandemia la ha insegnata, è che la società attuale non può essere controllata e diretta da nessuna istituzione in particolare. Ciò significa, tra l’altro, che ogni sottosistema sociale – e le sue istituzioni e organizzazioni – sono allo stesso tempo, più autonome e più interdipendenti le une dalle altre. La compresenza di autonomia e interdipendenza sociale serve a chiarire che qualsiasi osservazione critica sulla politica, ha sempre ragione e sempre torto contemporaneamente: ha sempre ragione perché chi ha deciso poteva farlo sempre in modo diverso; ha sempre torto perché comunque qualcuno da dentro al sistema politico dovrà poi decidere senza che la decisione possa essere presa altrove.

In sintesi, le nostre società sono senza centro e vertice (anche se i politici e gli scienziati vorrebbero che non fosse così). L’unica soluzione è una governance adatta alla sfida di questa pluralità sociale crescente che sappia responsabilizzare e coordinare il numero maggiore possibile di protagonisti, orientandoli a obiettivi comuni. Il contrario del meccanismo del capro espiatorio e della strategia dello struzzo.

Fallimento delle Rsa o fallimento del sistema delle cure?

Più evidente, quasi ai limiti della banalità, l’accusa rivolta a ospedali e Rsa di essere “luoghi della morte”. Si tratta infatti di due contesti istituzionali in cui pazienti e operatori sanitari sono obbligati a rimanere per periodi di tempo giornaliero molto lungo, al chiuso e in interazione reciproca, cioè in presenza: e dove i pazienti sono in prevalenza rappresentati da persone fragili, tra cui maggioritarie nelle Rsa gli anziani non autosufficienti con malattie croniche difficilmente trattabili nelle loro case (anche perché in molti casi, le famiglie di origine, se sono presenti, hanno altri problemi da affrontare, parimenti urgenti e non sono minimamente attrezzate a rispondere ai bisogni).

Se a questa necessaria residenzialità si aggiunge anche una certa flessione di risorse a disposizione – soprattutto di operatori sociosanitari (che durante la pandemia sono stati “saccheggiati” da ospedali e da strutture pubbliche) – e un tipo di cura fortemente medicalizzato, diventa evidente come il virus, una volta entrato, abbia trovato lo spazio-tempo migliore per proliferare. Il problema però non è risolvibile attribuendo a questi luoghi residenziali una qualche qualità mostruosa, come se fossero stati gestiti internamente da delinquenti o incompetenti.

Il problema è che durante la prima fase della pandemia tutto il “sistema” ha preso decisioni che hanno avverato le peggiori profezie! Le chiusure delle Rsa, in netto ritardo con le notizie che già si avevano sulla circolazione del virus; l’ospedalizzazione dei pazienti, senza che agli operatori fossero stati forniti di dispositivi di protezione individuale (Macchioni e Prandini, 2022); lo spostamento di pazienti dagli ospedali alle Rsa; la richiesta successiva che le Rsa si chiudessero assolutamente all’interno per evitare (sic!) nuovi problemi di contagio; la ricerca spasmodica di operatori sanitari sottratti alle residenze stesse, etc. Tutto questo “circuito chiuso” di decisioni affrettate e difficili, spesso però molto orientato a scaricare problemi altrove – a smentire sul campo la retorica sempre presente d’integrazione e collaborazione istituzionale – ha fatto il resto. Che però si sia trattato di un fallimento di sistema basta pochissimo a mostrarlo.

Le analisi del caso sono arcinote e alcune tendenze erano già chiare da tempo:

  1. tendenziale accentramento delle “cure” negli ospedali
  2. punto di accesso prevalente alla cura dai pronto soccorso
  3. tendenziale perdita d’identità funzionale dei medici di base
  4. sottofinanziamento e sottovalutazione dell’assistenza domiciliare
  5. utilizzo massiccio delle “badanti” e di denaro privato per cure a medio termine
  6. differenziali territoriali ai limiti del tollerabile con conseguente mercato sanitario inter-regionale
  7. spinte alla privatizzazione degli erogatori di cure accreditati pubblicamente attirati da una spesa familiare in aumento, etc.

Questa fisionomia del “sistema” era così nota che da decenni si parlava della necessità di una riforma del “sistema”, se non già di riformare le riforme. Che si poteva fare? Infine, la controprova della non colpa generica delle Rsa si è avuta con l’inizio della campagna vaccinale. Tutti i dati hanno mostrato che la circolazione del virus è scesa in concomitanza della campagna vaccinale del gennaio 2021 sia tra gli ospiti che tra gli operatori sanitari fino quasi a sparire, mentre fuori continuava pur con meno virulenza. Le Rsa sono diventate i posti più sicuri, ma questo naturalmente non ha fatto notizia. Nonostante tutto ciò sia conoscenza comune, la cattiva reputazione creata dai media e dalle istituzioni permane abbastanza salda. Questa persistenza ne rivela la funzione di “semplificazione”, colpevolizzazione e scarico di responsabilità, tipica di un rituale sacrificale che serve a identificare una vittima capace di attirare l’attenzione per non vedere altro.

Riforma di sistema o riconoscimento delle innovazioni già in atto?

In effetti da molte parti sono arrivate proposte di riforma, alcune dell’intero sistema, altre più focalizzate su singoli aspetti dello stesso.
Tutti i “riformisti” hanno sottolineato alcuni aspetti che ci interessa enucleare. Ne sottolineiamo in particolare quattro:

  1. la critica alle Rsa come luoghi pericolosi, poco controllabili, gestiti prevalentemente senza pensare ai bisogni degli utenti e poco innovativi dal punto di vista del servizio di cura erogato
  2. le Rsa come luoghi della istituzionalizzazione di anziani che potrebbero essere rimessi “in libertà”
  3. l’Assistenza domiciliare come risposta positiva e sostitutiva alla crisi delle Rsa
  4. l’housing e co-housing come nuova modalità di ripensare i servizi residenziali.

Tutti e quattro i punti hanno evidentemente delle ragioni, ma nel loro essere estremamente generici producono effetti perversi e non intenzionali, tra i quali:
a) “fare di tutta l’erba un fascio” senza distinguere le diverse situazioni;
b) inscenare un “salto miracolistico” da una situazione descritta come del tutto negativa a un’immaginata come del tutto positiva, senza riconoscere ciò che già c’è di buono e di innovativo che va mantenuto e sviluppato;
c) dimenticare che i problemi delle Rsa derivano fortemente dal sistema istituzionale e territoriale dove sono radicate;
d) sopravvalutare alcune possibili innovazioni certamente rilevanti, generalizzandole come una panacea a tutta la realtà.

Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. In primo luogo, non è vero che il mondo delle Rsa sia tutto uguale, indifferenziato. Al contrario esistono universi paralleli sia dal punto di vista organizzativo, giuridico, territoriale quanto da quello culturale. Questa differenza è stata quasi del tutto nascosta dalle analisi critiche, ma non può essere ulteriormente taciuta. Moltissime delle innovazioni che sono presentate come capaci di innescare il cosiddetto “cambio di paradigma” sono già in atto, anticipate e ben radicate in eccellenze territoriali. Soprattutto dal punto di vista della organizzazione dei servizi e della loro innovatività moltissime buone prassi sono già esistenti.

Come abbiamo cercato di spiegare, e come è assolutamente evidente dai dati e dalle ricerche nazionali, le Rsa non sono entità isolate dal contesto istituzionale. Sono invece parti del sistema a filiera della salute che può trovare una maggiore o minore, migliore o peggiore, territorializzazione e reticolazione. Da questo punto di vista pensare di sostituire le Rsa, almeno per quel tipo specifico di anziani non autosufficienti che normalmente accolgono, con un generico quanto illusorio ritorno in famiglia non pare una strada percorribile in molti casi. Non si deve confondere la residenzialità con l’istituzionalizzazione, la permanenza in strutture speciali come diniego della familiarità o della possibilità di rimanere in contatto con la famiglia. Il vero tema è quello di connettere meglio processi simultanei di domiciliarizzazione e de-domiciliarizzazione, di residenzialità temporanea e durevole che vadano a costruire una rete territoriale di servizi plurali, adatti a diversi bisogni e capaci di connettersi in modo continuo: una filiera di servizi e di risposte di cura e di presa in carico che vada a costituire un continuum spazio-temporale. L’assistenza domiciliare e la residenzialità non sono assolutamente da mettere in alternativa, ma in sinergia.

La continuità spazio-temporale delle cure, secondo le organizzazioni della cura

A nostro parere, cogliere le opportunità di cambiamento dovute alla drammatica situazione pandemica è necessario per non permanere in una situazione sociosanitaria che ha mostrato ormai definitivamente i suoi limiti e che non è più proponibile: incredibilmente è quello che sta accadendo! Per farlo, però, bisogna cercare di essere più realistici e partire dalla situazione attuale. Il quadro del ragionamento è questo: qualsiasi riflessione sulle Rsa o su ogni altro aspetto istituzionale delle cure sociosanitarie, va trattato all’interno del “sistema” della sanità che a sua volta è solo un pezzo della generazione di salute che si svolge ben oltre i suoi confini istituzionali e organizzativi. Se occorre riformare, la riforma dovrà essere di sistema e di filiera. Nessuna proposta limitata a mere “parti” del sistema – e che non tenga conto del più vasto ambiente salutogeno – potrà mai cogliere nel segno.

Il sistema è rappresentabile come un continuum di “risposte sociosanitarie” alle domande degli utenti e delle loro famiglie, ognuna delle quali adeguata ai loro problemi peculiari, ognuna con punti di forza e di debolezza. Insieme agli attori del sistema sociosanitario sta il suo ambiente correlato di riferimento, quello dei bisogni-domande degli utenti e delle famiglie che vanno codificati dal sistema per poter essere “letti” ed “inclusi” in esso. Ma nell’ambiente del sistema sociosanitario, abbiamo anche le regole istituzionali, l’economia dei servizi, le decisioni politiche, la ricerca scientifica, etc.

La centralità è della “persona anziana” a cui tutte le parti in gioco si riferiscono per rendere la sua vita la più degna possibile, nelle sue specifiche condizioni psicofisiche e nei pressi più vicini del suo contesto quotidiano di riferimento, quale che esso sia.

Bibliografia

Macchioni E., Prandini R. (2022), Elderly Care during the Pandemic and its future Transformation, in Italian Sociological Review, 12, 6S,  247-267.

Di Elena Macchioni, Riccardo Prandini (Alma Mater Università di Bologna)

Pubblicato il 2 dicembre 2022 su “I luoghi della cura online” a questo link:

La cura dell’anziano fragile alla prova della pandemia. Il ruolo della residenzialità

 

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Non autosufficienza, le proposte per cambiare la legge di Bilancio

13/12/22 - Redazione Secondo Welfare

Nel testo della Legge di Bilancio 2023 presentato dal Governo Meloni sono totalmente assenti interventi per gli anziani non autosufficienti, i loro familiari e gli operatori professionali che li assistono ogni giorno. È quanto segnala il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che parla di 10 milioni di persone dimenticate, per cui non è stata spesa neanche una riga della Manovra.

Le 52 organizzazioni che compongono la coalizione sociale del Patto – tra cui Percorsi di secondo welfare – hanno espresso sorpresa e preoccupazione per l’attuale testo della Legge di Bilancio, ma invece di limitarsi a protestare hanno optato per la presentazione di un dettagliato pacchetto di proposte da inserire subito nella manovra che è ora all’attenzione del Parlamento.

Il contesto di riferimento

Nel documento “Prime misure per gli anziani non autosufficienti. Per non sprecare il 2023” il Patto ricorda come, anche in seguito alle richieste e alla pressione fatte in tal senso, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza preveda la realizzazione della riforma dell’assistenza agli anziani. Proprio perché inserito nella cornice del PNRR, entro marzo 2023 il Parlamento dovrà approvare una Legge Delega del tema ed entro marzo 2024 il Governo dovrà predisporre i Decreti Delegati per l’attuazione della riforma.

Il testo di partenza è lo Schema di Disegno di Legge Delega approvato il 10 ottobre scorso dal Governo Draghi: numerose delle sue parti riprendono le proposte del Patto e le indicazioni suggerite per la Legge di Bilancio riguardano proprio alcuni aspetti della riforma già ben definiti e, quindi, immediatamente applicabili.

Metterli in pratica nel 2023 significherebbe pertanto evitare di sprecare il prossimo anno. Secondo il Patto, infatti, occorre cominciare a fornire subito migliori risposte ad anziani e famiglie e utilizzare il tempo che precede la riforma per iniziare ad indirizzare i territori nella sua direzione, dato che l’attuazione di una simile riforma è sempre ben più lunga e complicata di quanto si pensi.

La proposte del Patto per la Legge di Bilancio

Nello specifico, tenuto conto dei limiti imposti dalla crisi energetica e dall’inflazione, il Patto ha elaborato delle proposte facendo in modo di minimizzare l’impatto per le casse dello Stato. Lo si evince dalla limitata cifra di spesa aggiuntiva prevista, di circa 300 milioni di euro, e dall’utilizzo dei fondi del PNRR con una riconversione delle risorse. La scelta è stata quella di proporre un’azione compatibile con la situazione attuale della finanza pubblica e di iniziare ad avviare la progettualità traducendo in pratica alcuni benefici della riforma già chiaramente delineati. Le misure su cui investire sono tre, una per ognuno dei principali ambiti del settore.

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Non autosufficienza: le proposte del Patto per cambiare la Legge di Bilancio

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Fragilità: conoscerla per contrastarla

28/11/22 - Luciano Pallini

Si ringrazia la dr.ssa Lucia Galluzzo dell’Istituto Superiore di Sanità per i preziosi suggerimenti. Resta inteso che la responsabilità dell’articolo è tutta e soltanto del suo Autore.

 

“Oggi i tempi sono maturi per rivedere tutto il sistema della assistenza alla popolazione anziana. Con un corpo di provvedimenti che interessino i non autosufficienti, i soggetti fragili ed anche e soprattutto coloro che fragili ancora non lo sono ai quali deve essere assicurata la possibilità di mantenere la propria autonomia il più a lungo possibile”.

Così Nicola Cariglia, il compianto presidente della Fondazione Turati, apriva a Firenze il 2 luglio 2021 il convegno “Oltre la RSA. Verso una long term care inclusiva”[1]: e tuttavia, stante la drammatica urgenza delle tematiche della disabilità e non autosufficienza, la condizione della fragilità restava in secondo piano, da non pochi considerata sinonimo di disabilità, invecchiamento e multimorbilità.

Si aggiunga che, mentre disabilità e non autosufficienza per gli interventi di assistenza e cura che richiede al sistema sanitario nazionale ed agli enti territoriali, sono ben documentate nella domanda di prestazioni e nella capacità e modalità di risposta, sia dalle statistiche ufficiali sia per opera di ricercatori e studiosi a servizio di organizzazioni della società civile (per tutte si ricorda il Network per la Non Autosufficienza (NNA) con i suoi sette rapporti dal 2009 al 2020), assai scarsa è la ricerca e la documentazione statistica afferente la condizione di fragilità, a partire da una confusione terminologica.

 

  1. Lo stato dell’arte a livello internazionale: la Joint Action ADVANTAGE

Sul tema è stata realizzata la Joint Action europea ADVANTAGE per la prevenzione della fragilità che ha individuato, nell’ampia rassegna della situazione nei diversi paesi partecipanti, diverse aree problematiche:

  • La mancanza di consenso internazionale su come definire e misurare la fragilità, che rende difficile programmare ed intervenire per la prevenzione, la gestione clinica e le attività di ricerca.
  • La necessità di distinguere fra fragilità e multimorbidità, due sindromiche si sovrappongono e sono talvolta usati in modo intercambiabile per descrivere vulnerabili adulti più anziani.
  • L’assenza di una definizione comune comporta che vi sia  un’ampia variazione nei risultati del studi sulla prevalenza della fragilità, su come la fragilità comune è in contesti diversi (comunità, cure primarie, ospedali, case di cura) e se esista una differente frequenza tra  da paese a paese, così come sono insufficienti le informazioni su quanti nuovi casi sono prevedibili  in futuro, su quanti  individui diventeranno fragili o usciranno  da questa condizione, su quali siano  i fattori che determinano la transizione  a stadi diversi di fragilità.
  • L’assenza di una definizione condivisa ha prodotto una molteplicità di strumenti per lo screening e la diagnosi della fragilità contribuisce, complicando ulteriormente il confronto tra attività di prevenzione e gestione: serve identificare e selezionare gli strumenti più appropriati attraverso l’applicazione di criteri ben definiti. Resta anche da chiarire fattibilità e potenziali benefici dello screening e del monitoraggio sistematici a livello di popolazione.
  • Poiché la fragilità può essere potenzialmente prevenuta e curata, in particolare con interventi precoci, vanno approfondite le conoscenze su quattro aree specifiche di intervento ad oggi efficaci o promettenti nella prevenzione e nella gestione clinica di fragilità: alimentazione, attività fisica ed esercizio fisico, farmaci e informazioni e tecnologie della comunicazione (TIC).
  • Gli attuali modelli sanitari e di assistenza sociale non sono in sintonia con le sfide che an comporta una crescente presenza di fragilità tra le persone: l’assistenza integrata è ormai ritenuta il modo più efficace per migliorare i risultati per le persone con malattie croniche e bisogni complessi di assistenza e supporto, e da questa potrebbero trarre vantaggi  anche le persone fragili, anche se ad oggi  vi sono  pochi dati  dagli studi di costo-efficacia a sostenere questa ipotesi.
  • In ultimo, c’è bisogno di competenze, attualmente assenti nei curricula dei corsi di laurea e post-laurea dei professionisti della salute e dell’assistenza, per rendere possibile il ridisegno dei sistemi sanitari e di assistenza sociale per affrontare la fragilità.

 

  1. Strumenti e risultati

Molti strumenti sono stati proposti e vengono utilizzati per identificare (screening e diagnosi) individui fragili nella pratica clinica e per la rilevazione della frequenza della fragilità a livello di sanità pubblica.

Tra tutti gli strumenti disponibili, ADVANTAGE JA propone quelli che soddisfano  determinate caratteristiche.

Per lo screening vengono suggeriti nove strumenti: Clinical Frailty Scale; Edmonton Frailty Scale; Fatigue, Resistance, Illness, Loss of Weight Index (FRAIL Index); Gait Speed; Inter-Frail; Prisma-7; Sherbrooke Postal Questionaire; Short Physical Performance Battery (SPPB)  Study of Osteoporotic Fractures Index (SOF).

Per la diagnosi sono consigliati: 1. Frailty Index of accumulative deficits, 2. Frailty  Phenotype 3.  Frailty Trait Scale, descritti nella tabella sottostante.

La prevalenza in epidemiologia misura la proporzione di “eventi” presenti in una popolazione in un determinato momento (analisi statica), nello specifico di soggetti fragili sul totale della popolazione oggetto di analisi.

La prevalenza della fragilità riportata in più studi su campioni di comunità varia dal 2% al 60%, a seconda di fattori quali l’età della popolazione studiata, e lo strumento di valutazione della fragilità o la classificazione utilizzata: gli studi analizzati alla scala europea all’interno di ADVANTAGE hanno mostrato una prevalenza stimata del 12%.

Nei nove studi italiani riportati la prevalenza oscilla tra 6,5% ed il 23,0% per gli studi su comunità, dato che sale al 38,0% nello studio condotto in setting ospedaliero geriatrico.

Assai meno definiti ed omogenei – anche a causa di diverse definizioni, setting e popolazioni –  appaiono i dati relativi all’incidenza (definita come la proporzione di “nuovi eventi” che si verificano in una popolazione in un dato lasso di tempo), alla progressione temporale e in generale ai fattori protettivi e di rischio a essa associati, con evidenze poco omogenee.

Soprattutto viene segnalata la insufficienza di studi longitudinali, sudi che effettua ripetute osservazioni dello stesso gruppo di persone in un lungo periodo di tempo, anche per  decenni

 

  1. La fragilità nella “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2017-2021” del Ministero della Salute

La relazione offre una compiuta definizione della fragilità come” condizione a se stante, età-correlata e multifattoriale, caratterizzata da un’aumentata vulnerabilità agli eventi avversi di origine endogena ed esogena, che espone l’individuo a una sorta di accelerazione del naturale processo di depauperamento della capacità funzionale (intesa come interazione tra ambiente di vita e risorse fisiche e mentali individuali), aumentando il rischio di esiti di salute negativi. In questo processo la disabilità rappresenta uno degli outcome principali. Essendo una condizione dinamica, potenzialmente reversibile, la fragilità offre ampie opportunità di intervento”.

La Relazione richiama poi i risultati della unica indagine longitudinale sull’invecchiamento (ILSA), che ha seguito nel tempo la storia naturale di una coorte e le modificazioni delle condizioni di salute di un vasto campione di anziani italiani, di età 65-84 anni, selezionati con metodo random dalle liste anagrafiche di 8 centri coinvolti. La coorte è stata approfonditamente esaminata periodicamente nel corso di indagini iniziate nel 1992, ripetute nel 1995 e nel 2000 e analizzate in seguito attraverso un follow-up di mortalità della durata di 10 anni, e tuttora in corso.

Su un campione di 2.457 persone di questa coorte di anziani ,  è stata realizzata l’analisi longitudinale della frequenza della fragilità e dell’associazione con i nuovi casi di disabilità [mancanza di autonomia valutata nella scala ADL (Activities of Daily Living) o IADL (Instrumental Activities of Daily Living)] è la fragilità è stata definita sulla base dei cinque criteri del fenotipo fisico di Fried (debolezza/ridotta forza muscolare, ridotta velocità dell’andatura, scarsa attività fisica, perdita di peso involontaria, affaticamento/spossatezza),  assegnando un punto per ogni condizione presente: 0 = non fragile, 1-2 = pre-fragile, ≥ 3 = fragile).

I principali risultati evidenziano che il 4% degli anziani (2,1 % uomini e 5,3% donne) risulta fragile e il 44,6% pre-fragile, con valori differenziati tra uomini (32,1%) e donne (53,3%).

La fragilità aumenta con l’avanzare dell’età, dall’ 1,1% per la fascia 65-69 a 12,8% per gli ultraottantenni, analoga progressione si ha per la condizione di pre-fragilità da37,7% in fascia 65-69 a 55,6% tra gli ultraottantenni.

La prevalenza di queste condizioni è più elevata nei soggetti in peggiori condizioni psico-fisiche e sociali.

La relazione stima che, applicando le frequenze ottenute al segmento di popolazione di età maggiore di 65 anni (censimento 2021), i fragili sarebbero almeno 500.000 e più di 6 milioni i pre-fragili (in maggioranza donne).

Prevalenza Fragilità e Prefragilità per 100 persone

 

Il tasso di incidenza quale risulta dall’indagine è di 7,3 nuovi casi di fragilità per 1.000 persone-anno, con la solita accentuazione per le donne (8,6 contro 5,6) e per le classi di età più anziane.

Il tasso è di 83,7 persone per mille-anno  per la pre-fragilità, più elevato per le donne a 106,0 contro 65,5 degli uomini: non emergono differenze sostanziali invece legate alle classi di età.

Con questi tassi, i nuovi casi attesi annualmente nella popolazione italiana supererebbero 100.000 per la fragilità e 1.200.000 per la pre-fragilità.

 

Incidenza Prefragilità e Fragilità per 1000 persone-anno

Accertare la condizione di pre-fragilità è essenziale per la prevenzione vista l’alta possibilità che si trasformi in  fragilità nel corso del tempo (incidenza di fragilità 14,1 per i pre-fragili contro  1,9 per i non fragili); la condizione di fragilità è, a sua volta, un forte e indipendente fattore di rischio per la disabilità a medio termine, soprattutto nelle ADL; il rischio di diventare disabili nel corso di 4 anni è circa triplo nei fragili e quasi doppio nei pre-fragili, rispetto ai non fragili.

Con l’approvazione nel dicembre 2021 della “Delega al Governo in materia di disabilità” si è messo al centro il progetto di vita personalizzato e partecipato, diretto a consentire alle persone con disabilità di essere protagoniste della propria vita e di realizzare un’effettiva inclusione nella società.

La Relazione sullo stato di salute fissa un programma di lavoro: “Per una risposta efficace alla fragilità, limitando e ritardando l’insorgenza della disabilità, è fondamentale elaborare una strategia articolata di prevenzione, identificazione precoce nei vari setting assistenziali, gestione integrata e multidimensionale, monitoraggio e valutazione d’impatto degli interventi. Tuttavia, tutto ciò implica un approccio innovativo, non più incentrato sul trattamento specialistico e riabilitativo. Inoltre, il raccordo tra servizi sociali, infrastrutture sanitarie e assistenziali, e il potenziamento dell’assistenza personalizzata, territoriale e a distanza sono elementi indispensabili per giungere veramente a una società più inclusiva che faciliti la vita indipendente di tutti, senza lasciare che nessuno resti indietro. In prospettiva futura, un ruolo sempre più importante sarà rappresentato dallo sviluppo e dall’incremento dell’impiego della tecnologia, nelle sue diverse forme e applicazioni”.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. State of the art report on theprevention and management offrailty
    Ángel Rodríguez-Laso, María Ángeles Caballero Mora, Inés García Sánchez, Leocadio Rodríguez Mañas, Roberto Bernabei, Branko Gabrovec, Anne Hendry, Aaron Liew, Rónán O’Caoimh, Regina Roller-Wirnsberger, Eleftheria Antoniadou, Ana María Carriazo, Lucia Galluzzo, Josep Redón, Tomasz Targowski, on behalf of all ADVANTAGE Joint Action partners – https://www.promisalute.it/upload/mattone/documentiallegati/StateoftheArtADVANTAGEJA_13660_3010.pdf
  1. Updated state of the art report on the prevention and management of frailty August 2019 – Ángel Rodríguez-Laso, María Ángeles Caballero Mora, Inés García Sánchez, Cristina Alonso Bouzón, Leocadio Rodríguez Mañas, Roberto Bernabei, Branko Gabrovec, Anne Hendry, Aaron Liew, Rónán O’Caoimh, Regina RollerWirnsberger, Eleftheria Antoniadou, Ana María Carriazo, Lucia Galluzzo, Josep Redón, Tomasz Targowski, on behalf of all ADVANTAGE Joint Action partners – https://www.advantageja.eu/images/SoAR-AdvantageJA_Fulltext.pdf
  1. Prevalence of frailty at population level in European ADVANTAGE Joint Action Member States: a systematic review and meta-analysis
    Rónán O’Caoimh1, Lucia Galluzzo2, Ángel Rodríguez-Laso3, Johan Van der Heyden4 , Anette Hylen Ranhoff5, Maria Lamprini-Koula6, Marius Ciutan7, Luz López Samaniego8, Laure Carcaillon-Bentata9, Siobhán Kennelly1*, Aaron Liew1 on behalf of Work – https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30284550/
  1. Frailty Prevalence, Incidence, and Association with Incident Disability in the Italian Longitudinal Study on Aging Lucia Galluzzoa Marianna Noaleb Stefania Maggib Alessandro Feraldic Marzia Baldereschid Antonio Di Carlod Graziano Ondera the ILSA Working Group – https://www.karger.com/Article/FullText/525581
  1. Ministero della Salute “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2017-2021” – https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3270

 

[1] Gli atti sono disponibili su richiesta presso la segreteria della Fondazione segreteria@fondazioneturati.it

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La non autosufficienza tra passato presente e futuro

25/10/22 - Giovanni Spiti

Ho avuto il piacere di essere stato invitato martedì 18 ottobre 2022 da una primaria compagnia di assicurazioni a parlare del problema inerente la non autosufficienza. Allo stesso convegno ero stato invitato tre anni fa e, quindi, ho esordito dicendo che in tale occasione nessuno si sarebbe mai immaginato che di lì a poco sarebbe successa una catastrofe di dimensioni così grandi che avrebbe stravolto la vita di tutti noi. Per chi gestisce RSA e centri sociosanitari è stata una situazione gestionale difficilissima per tantissimi motivi, che ha avuto purtroppo risvolti negativi anche sotto l’aspetto della tenuta economica delle nostre strutture.  La Fondazione Turati ha adottato in questi anni misure addirittura più restrittive rispetto a quelle imposte dalle normative e questo ha scongiurato perdite in termini di vite umane come purtroppo si sono registrate in altre realtà.

Di seguito i numeri relativi al Covid nel biennio 2020 e 2021:

 

L’eccesso di mortalità interessa più gli uomini e gli anziani.
Delle 58mila unità stimate come eccesso di mortalità nel 2021, circa 32 mila sono uomini e 26 mila donne, confermando che la pandemia colpisce letalmente soprattutto il genere maschile. In base all’età le perdite umane in eccesso si concentrano tutte dopo i 50 anni e risultano maggiori all’avanzare dell’età.
Si registra un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-94 anni (oltre 16mila decessi in più), mentre per le donne prevale nella classe 85-99 anni (circa 18mila).

Un altro importante fattore da tener presente è la situazione demografica in prospettiva a medio e lungo termine e le aspettative di vita alla nascita:

 

 

Nel 2021 la speranza di vita alla nascita è stimata in 80,1 anni per gli uomini e in 84,7 anni per le donne.

Senza distinzione di genere risulta pari a 82,4 anni. Le stime, pertanto, mostrano un recupero rispetto al 2020, quantificabile in 4 mesi di vita in più per gli uomini e in circa 3 per le donne. Rispetto al periodo pre-pandemico, tuttavia, il gap rimane sostanziale. Nel confronto con il dato del 2019, per esempio, gli uomini subiscono una perdita in termini di speranza di vita alla nascita di 11 mesi, le donne di 7.

Non si smette di invecchiare nonostante la pandemia, in relazione al permanente regime di bassa fecondità, nonché al fatto che si vive sempre più a lungo, la struttura della popolazione prosegue il suo progressivo scivolamento verso le età senili, anche in una fase storica come quella corrente, caratterizzata dalla presenza del Covid con pesanti ricadute letali per la sopravvivenza della popolazione anziana.

Il trend demografico è segnato dal calo della popolazione che dai 59 milioni del 2021 passa ai 54 milioni del 2050 per poi accelerare fino ai poco meno di 48 milioni del 2070. Gli ultrasessantacinquenni passeranno dal 23,5% al 34,1% del 2070, così come gli ultraottantacinquenni saranno più che raddoppiati, dal 3,7% al 9,3%.

Un altro dato importantissimo e da tenere ben presente in quanto contribuisce ad accelerare il percorso che può portare alla non autosufficienza di una persona è lo stato familiare. Dalla slide sottostante possiamo, purtroppo, vedere che moltissime persone over 65 vivono in solitudine, con una forte prevalenza del genere femminile.

 

Il Frailty Index (indice di fragilità) tratto da Italia Longeva PC-FI si basa su 25 problemi di salute (comprendenti malattie croniche, aspetti funzionali e nutrizionali, segni, sintomi selezionati da un algoritmo informatico validato.

Attraverso una serie di elaborazioni si giunge alla individuazione di 4 livelli di fragilità, cui corrispondono altrettanti rischi e in prospettiva adeguate risposte. L’indagine è fatta su 89 province a livello nazionale e 8 in Toscana (mancano Siena e Livorno).

Sull’intero territorio nazionale, il 6,5% della popolazione over-60 frequentante il MMG è affetto da fragilità grave, mentre il 14,1% è affetto da fragilità moderata e il 35,5% da fragilità lieve. La proporzione di individui affetti da fragilità grave è lievemente maggiore tra i maschi (6,8% contro 6,2%) e cresce all’aumentare dell’età, passando dallo 0,8% nella fascia 60-65 al 17,3% nella fascia 80+.

La percentuale di over60 affetti fragilità grave varia dal 5,3% nell’area geografica del nord, all’8,2% nell’area del sud e isole, passando per il 6,2% nell’area centro.

In Toscana sono poco più di 50.000 le persone affette da fragilità grave, con una incidenza leggermente inferiore alla media nazionale.

 

Le risposte

L’assistenza domiciliare

Le cure domiciliari sono in costante crescita quantitativa ma la durata dei singoli interventi è quasi sempre breve mentre la sua intensità (le ore di assistenza settimanali) è spesso modesta. Per avere una idea della situazione occorre rammentare che attualmente sono erogate in media annua per ogni anziano assistito a domicilio solo 9 ore di lavoro dell’infermiere e altre 6 ore di altre professioni sanitarie (Ministero della Salute 2021). L’80% degli anziani assistiti a casa riceve da 1 a 3 accessi mensili. Le cure domiciliari, inoltre, non tengono conto delle esigenze complessive delle persone non autosufficienti che hanno un bisogno duraturo di aiuto anche e soprattutto nel compimento degli atti della vita quotidiana. Inoltre, in genere, non sono presenti sistemi di supporto, consulenza e informazione nelle 24 ore per quei pazienti domiciliari che possono avere delle urgenze percepite che, se risolte, potrebbero evitare ricoveri inappropriati. L’attuale modello di intervento non è in grado di intercettare una buona parte dei bisogni assistenziali domiciliari con particolare riferimento ai bisogni della non autosufficienza.

 

Assistenza presso le RSA

Gli inserimenti in RSA hanno visto un leggerissimo aumento: oltre all’impatto del Covid-19, pesa l’inadeguatezza delle risorse per quote sanitarie ed intervento sociale dei Comuni.

Anche per questa ci sono significative disparità territoriali.

In Toscana i posti letto complessivi di RSA sono 14.000, i posti letto accreditati e convenzionati sono 12.800 e la Regione Toscana garantisce la copertura per circa 9.000 posti letto, totalmente insufficiente per la copertura del fabbisogno. La tariffa delle RSA si distingue in due classi, una quota sociale ed una quota sanitaria. La quota sanitaria è appunto quella coperta dal SSR che, come detto poco fa, è del tutto insufficiente, l’altra è la quota sociale per la quale interviene il Comune di Residenza in base all’ISEE del cittadino. La quota complessiva è pari a circa 110 euro al giorno di cui il 50% di quota sanitaria ed il 50% di quota sociale.

Badanti e colf

Risulta sempre più diffuso il ricorso a colf e badanti: su circa 2,2 milioni stimate, oltre 1 milione sono irregolari.

Nel 2019 le famiglie italiane hanno speso complessivamente per colf e badanti 15,1miliardi​ di euro così suddivisi: 8 miliardi per badanti e 7,1 miliardi per colf. In questa cifra, sono compresi  i costi per i lavoratori domestici non in regola, che rappresentano quasi il 60% del totale del settore. Considerando invece il solo lavoro domestico regolare, la spesa annua si attesta sulla cifra di 7,1 miliardi: 5,7 di retribuzione netta più contributi previdenziali e Tfr.

Impossibile sostenere il costo economico con una pensione

Come ben sanno le famiglie che si avvalgono di una badante per assistere il proprio congiunto anziano o disabile, è praticamente impossibile poter pagare un lavoratore in regola con la sola pensione media dell’anziano: analizzando le entrate degli anziani con reddito prevalente da pensione, e i consumi medi degli ultra 65enni che vivono da soli, il margine di risparmio da destinare a un aiuto domestico è molto ridotto. La maggior parte dei pensionati (il 55%) può permettersi solo un’assistenza di 5 ore a settimana, ma se le ore passano a 25 la percentuale di chi può usufruirne cala drasticamente (20%) e solo pochissimi riescono a sostenere, con il solo reddito pensionistico, aiuti superiori.
Nel caso di​ assistenza a persone non autosufficienti​ la situazione precipita: in questo caso i pensionati che possono permettersi un’assistenza con personale adeguatamente preparato è del 4%. Percentuale che si alza tra il 6 e l’8% se si fa ricorso a lavoratori non formati.

Il risparmio per lo stato

Questa “compartecipazione famigliare” all’assistenza, il risparmio per lo Stato si attesta sui 10,9 miliardi di euro annui che altrimenti dovrebbero essere destinati dalle casse pubbliche alla gestione delle strutture di assistenza di anziani e non autosufficienti.

Come è ripartita tra regioni (anno 2018)

La spesa sanitaria

Vediamo a quanto ammonta la spesa per la sanità e quanto è sostenuta dal pubblico e quanto dal privato e volontariato.

Nel 2015 la spesa sanitaria complessiva era di € 150,4 mld, di cui 114,6 mld di spesa pubblica e 35,8 do spesa privata. Nel 2020 la cifra complessiva era di € 162,5 mld, di cui € 126,7 pubblica ed € 35,8 privata.

 

Nell’ambito dei servizi, l’assistenza ambulatoriale è la funzione in cui è maggiore la componente privata di finanziamento, con il 37% finanziato direttamente dalle famiglie e il 3% intermediato da regimi di finanziamento volontari. All’estremo opposto si collocano i ricoveri ospedalieri (ordinari e diurni), per i quali il finanziamento è quasi esclusivamente pubblico. Diversamente, nell’assistenza a lungo termine, sia ambulatoriale (presa in carico di particolari target di popolazione inseriti in programmi di assistenza continuativa quali, per esempio, i pazienti cronici o dei dipartimenti di salute mentale) che ospedaliera (tipicamente ricoveri in RSA), si assiste alla presenza di una quota rilevante di finanziamento privato, che passa dal 11% per l’assistenza ambulatoriale al 36% per l’assistenza ospedaliera. Rilevante è anche la componente privata per i servizi ausiliari (diagnostica per immagini e analisi di laboratorio, servizi di trasporto), che ammonta al 26%. Per i prodotti, la componente di spesa privata appare ancora più consistente: vale il 37% per i prodotti non durevoli (farmaci e altri prodotti medicali non durevoli) ed il 21% per le apparecchiature terapeutiche e gli altri prodotti durevoli (di cui il 6% tramite regimi di finanziamento volontari).

 

La spesa sanitaria privata procapite per regione (2019)

 

La non autosufficienza come priorità politica

Il 10 ottobre, il Governo Draghi – in occasione del suo ultimo Consiglio dei Ministri – ha approvato il testo del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale del settore della non autosufficienza. Una approvazione che dovrebbe così avviare l’iter della riforma, che prevede nell’autunno la seconda fase del procedimento legislativo: la discussione del Disegno di Legge Delega in Parlamento, che avrà tempo sino a primavera 2023 per portarlo a termine. Un traguardo atteso da trent’anni che, nel frattempo, è stato raggiunto in tutti i Paesi europei simili al nostro.

il Disegno di Legge Delega prevede:

  1. l’introduzione di un Punto Unico di Accesso – presso le Case di Comunità – quale luogo fisico di facile individuazione che offra informazioni sugli interventi disponibili, orientamento su come riceverli e supporto nelle pratiche amministrative (volto, dunque, a ridurre le distanze tra i servizi e i beneficiari);
  2. la Valutazione multidimensionale unificata, che assorbe le diverse valutazioni nazionali esistenti e definisce la possibilità di ricevere le prestazioni statali. Alla Valutazione è collegata la successiva valutazione multidimensionale territoriale, di competenza di Regioni e Comuni, per ottenere le prestazioni di loro responsabilità: svolta la prima, gli anziani sono indirizzati alla seconda, che parte dalle informazioni raccolte in precedenza;
  3. la valorizzazione di una “nuova domiciliarità“, capace di assicurare risposte unitarie da parte di Comuni e ASL e offrire un appropriato mix di prestazioni: medico-infermieristico-riabilitative, garantendo l’assistenza per il tempo effettivamente necessario;
  4. la considerazione, in sede di valutazione delle condizioni della persona anziana e di successiva definizione del Piano Assistenziale Integrato, delle condizioni del caregiver familiare, ove presente, con riguardo ai suoi specifici bisogni di supporto, anche psicologico. La delega prevede interventi di formazione e certificazione delle competenze acquisite nel corso dell’esperienza sviluppata e, inoltre, forme integrate di sostegno, per evitare che l’impegno assistenziale possa costituire un pregiudizio per la vita lavorativa.

La proposta mira essenzialmente a raggiungere lo scopo del cosiddetto invecchiamento attivo, per la promozione dell’autonomia delle persone anziane e il benessere degli assistenti familiari a supporto degli anziani non autosufficienti. Appaiono invece non particolarmente focalizzati i temi della residenzialità e della tutela dei caregiver familiari, lasciando intravedere margini di miglioramento della proposta.

Problemi aperti

Quella delineata è la situazione della fragilità e della non autosufficienza allo stato attuale e, per quanto riguarda l’ipotesi di riforma, in prospettiva.

È necessario individuare però i problemi che concretamente si trovano di fronte le persone e le famiglie.

Le risposte che cercherò di sintetizzare si basano sull’esperienza diretta sul campo fatta dalla Fondazione Turati, che con le sue strutture assiste tutta la vasta gamma della post-acuzie (cioè dei bisogni di cura che si manifestano a valle dei momenti acuti delle malattie che vengono trattati in ospedale) con particolare riferimento ai ricoveri a lungo termine come quelli offerti in RSA per anziani non autosufficienti, RSD per disabili gravi, reparti per soggetti affetti da Alzheimer e in stato vegetativo permanente e dalla Fondazione Raggio Verde che assiste minori e adulti affetti da disturbi dello spettro autistico.

Le difficoltà sono ovviamente molteplici ma le principali rispondono essenzialmente a due questioni:

  1. L’adeguatezza della risposta al bisogno, cioè avere la soluzione migliore e più appropriata a fronte del problema che ha quella data persona;
  2. Il costo della risposta;

Ad oggi il settore della Long Term Care (assistenza a lungo termine) ha le seguenti caratteristiche:

  1. è prevalentemente privato
  2. l’offerta di servizi è largamente inferiore alla domanda potenziale
  3. ha costi molto elevati
  4. presenta un’alta percentuale di improvvisazione e di scarsa professionalità

A questa situazione si sta cercando di dare una risposta con il Disegno di legge Delega per la riforma del settore della Non Autosufficienza ma l’impresa è titanica sia per lo stato della finanza pubblica italiana sia per l’eccessiva burocratizzazione di tutto il settore pubblico sia per la difficoltà di trovare delle risposte valide a fronte dell’enorme varietà di casistiche del settore.

È auspicabile che le cose migliorino ma il progresso sarà minimo rispetto a quello che sarebbe necessario anche perché la risposta principale della riforma sarà il potenziamento dell’assistenza domiciliare che è certamente una cosa giusta e da perseguire ma che può essere una risposta valida solo per una parte dei problemi concreti che si porta dietro il forte invecchiamento della popolazione.

Anche domani sarà la famiglia a doversi fare carico, in misura maggiore o minore, dei problemi della persona fragile, disabile o non autosufficiente. Così diventa estremamente importante intervenire sulla seconda delle difficoltà evidenziate, vale a dire il costo di una risposta adeguata al bisogno di quella data persona.

Anche in caso di intervento pubblico che attualmente è molto basso (si pensi solo che in Toscana a fronte di 14mila posti nelle RSA, il pubblico riconosce, esclusivamente per mancanza di soldi, solo 9000 quote sanitarie che di regola coprono circa la metà dei costi di un ricovero in RSA che oggi oscilla intorno ai 3000 euro al mese) le cifre da pagare di tasca propria sono comunque notevoli. Ma poi c’è da considerare il disagio sociale, la difficoltà di tenere in case che spesso sono piccole e scomode persone con problemi gravi, oppure al contrario si pensi alla necessità di una famiglia con soggetto disabile fisico o intellettivo di sapere cosa riserverà il futuro al loro congiunto (il Dopo di Noi), di trovargli una collocazione che non necessariamente deve essere una struttura ma anche una casa dotata di una certa assistenza etc. Sul problema del Dopo di Noi si stanno muovendo molte realtà del volontariato (anche la Fondazione Raggio Verde sta muovendosi in maniera più strutturata) ma nel settore le difficoltà e i costi sono ancora maggiori.

Proposta

Risulta opportuno intervenire nel settore attraverso ad esempio polizze assicurative appositamente studiate per garantire la copertura di una parte dei costi per una soluzione di Long Term Care (badante, servizi integrativi a quelli offerti dal pubblico, quota-parte di retta in una struttura) oppure per garantire in tutto o in parte il Dopo di Noi. Sotto quest’ultimo aspetto, che negli anni a venire prenderà sempre più spazio e assorbirà sempre più risorse potrebbe anche essere creato un trust che è un istituto giuridico con cui i beni del patrimonio di un soggetto vengono separati per perseguire specifici interessi a favore di determinati beneficiari oppure per raggiungere uno scopo determinato. I beni separati vengono gestiti da una persona (trustee) o da una società professionale (trust company) magari in collaborazione con Enti del Terzo Settore, come ad esempio Fondazione Turati o Fondazione Raggio Verde, che già operano nel settore.

 

 

 

non autosufficienza
Un momento del convegno presso l’agenzia Generali di Pistoia

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Non autosufficienza, approvato il Ddl delega

11/10/22 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Il 10 ottobre, il Governo Draghi – in occasione del suo ultimo Consiglio dei Ministri – ha approvato il testo del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale del settore della non autosufficienza. Una approvazione che dovrebbe così avviare l’iter della riforma, che prevede nell’autunno la seconda fase del procedimento legislativo: la discussione del Disegno di Legge Delega in Parlamento, che avrà tempo sino a primavera 2023 per portarlo a termine. Sono infatti questi i termini fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per realizzare “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”. Un traguardo atteso da trent’anni che, nel frattempo, è stato raggiunto in tutti i Paesi europei simili al nostro.

Non senza qualche intoppo, sembrano dunque essere stato recepito l’appello del Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza di non sprecare l’occasione. Ora che l’iter può dirsi dunque avviato, starà al Parlamento recepire le indicazioni contenute nel Manifesto del Patto, che indica le ragioni per cui è importante fare presto e le condizioni da rispettare affinché si possa realizzare una “buona riforma“. Un obiettivo non più rimandabile alla luce di una popolazione che vive più a lungo e che deve affrontare la sfida della progressiva perdita dell’autonomia fisica e cognitiva attraverso un sistema di tutela adeguato.

Di seguito – seppur brevemente – analizziamo l’importanza politica del Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri e i contenuti principali della possibile riforma che ora passa nelle mani del prossimo Governo e del nuovo Parlamento.

La non autosufficienza come priorità politica

La non autosufficienza, d’ora in avanti, si troverà al centro dell’agenda politica. La questione sociale dell’assistenza continuativa agli anziani non autosufficienti riguarda circa 10 milioni di individui: persone anziane e non autosufficienti, i loro familiari e chi le assiste professionalmente. La legislatura che si è appena conclusa ha finalmente – dopo trent’anni di immobilismo – restituito attenzione al tema, innescando un percorso di cambiamento. I requisiti imposti dal PNRR hanno spinto in questa direzione poiché il Piano prevede esplicitamente una riforma che introduca anche in Italia “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”.

La brusca conclusione della legislatura ha rischiato di vanificare gli sforzi intrapresi nel 2021 e 2022. Ora con l’approvazione del DDL il processo è ripartito ma resta la sfida: non solo approvare la riforma ma raggiungere, come detto, una “buona riforma”. È insomma giunto il momento che la riforma – di cui studiosi e operatori discutono da molti anni prendendo ad esempio esperienze e soluzioni adottate da numerosi altri Paesi europei – porti un cambiamento paradigmatico, profondo, del settore della Long Term Care.

Anche se il PNRR obbliga a fare la riforma, non è infatti detto che si giunga a esito positivo. Starà al Governo che si insedierà a breve prendere la bozza di proposta, presentata oggi sotto forma di Disegno di Legge Delega, e compiere i passi decisivi per arrivare a una buona riforma, che contenga le risposte necessarie per migliorare la condizione di vita delle persone in condizioni di non autosufficienza. L’ambizione deve essere quella di arrivare ad una riforma strutturale, che non si accontenti di piccoli passi “incrementali”.

I contenuti del Disegno di Legge Delega

 La Legge Delega sulla non autosufficienza si occupa di anziani, ovvero le persone al compimento del 65esimo anno di età, indipendentemente dal fatto di essere ancora occupati. La proposta richiede al Parlamento di conferire all’Esecutivo il compito di disciplinare, tramite decreti legislativi in materia di politiche per l’invecchiamento attivo, la promozione dell’autonomia, la prevenzione delle fragilità, l’assistenza e la cura delle persone anziane (anche non autosufficienti).

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L’articolo originale, firmato da Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso, è pubblicato a questa pagina:

Non autosufficienza: approvato il DDL Delega. Un passo avanti importante verso la riforma

 

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La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

27/09/22 - Redazione

Nel 2019 la spesa per i servizi sociali dei Comuni in Italia è stata pari allo 0,42% del PIL, arrivando a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media). Grandi sono le differenze territoriali che non sembrano però seguire un pattern Nord-Sud: la spesa sociale provinciale per abitante dei Comuni singoli e associati al netto della compartecipazione degli utenti e del SSN è stata di 583 euro per la provincia di Bolzano e solo 6 per quella Vibo Valentia.

Le analisi relative al 2019 indicano un trend di spesa leggermente positivo, al netto delle compartecipazioni, pari a +0,48%, che passa così da 7,472 a 7,508 miliardi di euro (+35,9 milioni). Si tratta di un valore inferiore al tasso di inflazione. È una spesa peraltro che è sostanzialmente analoga a quella reale di 10 anni prima, nonostante i fenomeni di incremento della domanda sociale, con persistenti marcate divergenze regionali ed anche infra-regionali. Tale trend non è omogeneo sul territorio italiano, anzi, ci sono territori che retrocedono. In 42 aree provinciali si infatti è registrato un decremento della spesa sociale.

Le aree di intervento che assorbono la maggior parte della spesa sociale sono tre: Famiglia e minori, Disabili e Anziani. Nel 2018 per la prima si sono spesi circa 2,8 miliardi euro, pari al 37,9% della spesa dei Comuni; per la seconda circa 2 miliardi, pari al 26,8%; per la terza circa 1,3 miliardi, pari al 17,2%. Le spese per l’assistenza domiciliare risultano modeste: meno della metà di quella complessiva investita per l’area anziani e meno di 1/6 per l’area disabili.

Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto “I servizi sociali territoriali: una analisi per territorio provinciale”, redatto dall’Osservatorio Nazionale sui Servizi Sociali Territoriali del CNEL realizzato in collaborazione con ISTAT sul database informativo 2018 e i trend di spesa 2019. Le analisi sono state svolte dal gruppo di lavoro composto dai consiglieri CNEL Gianmaria Gazzi, Alessandro Geria (coordinatori), Giordana Pallone, Cecilia Tomassini ed Efisio Espa, dal prof. Emanuele Padovani dell’Università di Bologna coadiuvato dal dott. Matteo Bocchino di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Aziendali, e dalla dott.ssa Giulia Milan di ISTAT.

Presentando la ricerca, Geria e Gazzi hanno spiegato come siano necessario “portare a compimento con urgenza il processo di definizione normativa di tutti i livelli essenziali (LEPS) previsto nelle due ultime Leggi di Bilancio, e definirne di ulteriori per minorenni e ragazzi”. Inoltre “le evidenze relative alla rete dei servizi socio-sanitari per gli anziani e tutti gli altri soggetti fragili e non autosufficienti che emergono dal Rapporto attestano la necessità di approvare la riforma organica di sistema dell’assistenza di lungo periodo, attesa da un ventennio e ora prevista dal PNRR per la primavera 2023”.

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L’articolo originale è stato pubblicato su Percorsi di Secondo welfare a questa pagina:

La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

 

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Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

4/04/22 - Redazione

“Il presente e il futuro del settore della Long Term Care: cantieri aperti” è il titolo del 4° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care (OLTC) di Cergas SDA Bocconi, che riparte nel 2021 là dove si era chiuso nel 2020: la pandemia ha offerto un grande punto di ripartenza per il settore, ma il cambiamento auspicato è da costruire attraverso dei “cantieri di lavoro”. Il Rapporto indaga infatti i cantieri aperti nel settore LTC attraverso tre lenti:

  • la lettura dei dati e delle caratteristiche della popolazione di riferimento, integrando le fonti ufficiali con una analisi sulle percezioni delle famiglie in modo da dare voce ai diretti destinatari;
  • la mappatura di iniziative di innovazione nate dal basso, dai gestori;
  • le condizioni organizzative per il cambiamento, con un focus particolare sul tema del personale.

In questo modo il Rapporto indaga esperienze concrete di cambiamento ponendosi la domanda di come portare questi “cantieri” dal livello locale al settore Long Term Care a livello nazionale.

La fotografia aggiornata del settore di assistenza agli anziani in Italia

In continuità con il passato, il Rapporto propone un aggiornamento dei dati relativi alle principali componenti del settore socio-sanitario italiano: il fabbisogno, la rete di welfare pubblico, il posizionamento strategico dei gestori dei servizi.

Questa edizione beneficia di un importante aggiornamento di dati Istat sulle condizioni di salute della popolazione anziana, che permettono una più approfondita profilazione degli over65 e dei relativi bisogni lungo tre direttrici: lo stato di salute, la gestione della vita quotidiana, la non autosufficienza.

Con riferimento allo stato di salute, la rilevazione conferma la crescente complessità del quadro epidemiologico degli anziani, che si manifesta con intensità molto differenziate tra regioni del Nord e Sud Italia, certificando un contesto a due velocità.

Rispetto alla vita quotidiana, alcuni dati suonano come un campanello di allarme: 1,5 milioni di over65 dichiarano di avere gravi difficoltà nella cura della persona, 3,7 milioni nella cura della casa, 4,2 milioni nella gestione autonoma degli spostamenti. È essenziale tenere presente questi dati nella progettazione di servizi per scongiurare il rischio che il domicilio divenga una trappola.Terzo, i nuovi indicatori della diffusione di gravi limitazioni portano a una stima aggiornata della popolazione non autosufficiente pari a 3,8 milioni di persone, in forte crescita rispetto al passato perché – a differenza del passato – i nuovi dati Istat considerano anche le gravi limitazioni cognitive, includendo quindi il mondo disturbi cognitivi e demenze.

Questo fa crollare il tasso di copertura del bisogno della rete di welfare pubblico, che scende a 7,2% per servizi residenziali socio-sanitari, 0,7% per il diurno e 22% per l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che tuttavia mediamente offre 15 ore di assistenza annue per anziano in carico.Di fronte a questi numeri, la rete di welfare pubblico appare più che mai insufficiente a dare una risposta completa al bisogno sul territorio, richiedendo nuove modalità di intervento. A livello trasversale, tutti gli indicatori considerati per ciascuna dimensione di analisi precedentemente descritta fanno emergere un forte tema di equità e appropriatezza complessiva del sistema, poiché donne, soggetti con livelli di istruzione e redditi più bassi risultano stare peggio.

I gestori dei servizi si confermano fortemente ancorati al mercato dell’accreditamento pubblico, lontani dal voler adottare il rischio imprenditoriale necessario per affacciarsi all’enorme quota di bisogno presente sul territorio. Parte di questa reticenza è oggi spiegata dal forte impatto della pandemia sugli equilibri economico-finanziari dei gestori: i dati di fatturato 2020 segnano, a livello di soggetti aderenti a OLTC, un –6,2% rispetto ai livelli 2019.

I dati economici 2021 mostrano una generale ripresa, ma i provider riportano persistenti difficoltà nella gestione del personale, nell’affrontare il continuo cambiamento di regole amministrative e operative e la gestione delle richieste rendicontative e dei controlli.

Cosa pensano le famiglie italiane della non autosufficienza?

Dopo aver analizzato la rete di welfare pubblico e i gestori, anche in questa edizione è stata portata la prospettiva diretta delle famiglie, con un’indagine che per la prima volta ha raggiunto soggetti più giovani (età media 37 anni) per tracciare la percezione del rischio di non autosufficienza e il rapporto con i servizi.

Le risposte dei 508 cittadini coinvolti mostrano importanti elementi di discontinuità rispetto al passato: il 54% dei rispondenti si dichiara infatti pronto a adottare comportamenti di prevenzione e ad organizzarsi in anticipo rispetto al rischio di non autosufficienza.

Tuttavia, identificano come punti di riferimento per attrezzarsi in tal senso solo il mondo sanità e il passaparola, e non i gestori del socio-sanitario. I gestori devono quindi chiedersi come rendersi riconoscibili all’enorme platea di soggetti, anziani e non solo, che potrebbero avere bisogni legati alla non autosufficienza e costruirsi uno spazio di mercato per il futuro ed evitare di rivestire un ruolo marginale.

In attesa di arrivare ai servizi, si conferma la centralità del ricorso alla badante nel nostro sistema: nel 2020 queste erano 1.094.000. Questo dato, abbinato alle performance del sistema di welfare, rende urgente pensare a come integrare badanti nel sistema dei servizi, anche perché gli investimenti sul fronte domiciliare previsti dal PNRR andranno ad impattare indirettamente anche sulle badanti, le vere protagoniste della gestione domiciliare.

Quali innovazioni stanno promuovendo i gestori dei servizi per anziani?

Il Rapporto raccoglie 24 casi di successo e innovazione. Questi rappresentano quattro diversi cantieri aperti che stanno attraversando il settore socio-sanitario e danno segnali interessanti e incoraggianti rispetto ai cambiamenti in corso. I cantieri individuati presentano innovazioni volte a:

  • Rafforzare le organizzazioni (8 casi): i gestori stanno lavorando sul tema della formazione, della cultura aziendale, dei sistemi informativi per supportare i processi interni. Tutti segnali di investimento sulla managerializzazione in risposta alla crisi Covid-19.
  • Portare più tecnologia nella cura (6 casi): app, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di intelligenza artificiale a servizio della qualità della cura.
  • Lavorare sulla presa in carico di Demenze e Alzheimer (4 casi): nuove modalità per rispondere alle esigenze delle famiglie e migliorare il coordinamento tra professionisti.
  • Sviluppare nuovi modelli di servizio (6 casi), in particolare per scardinare il modello di RSA tradizionale e superarne i limiti.

Rispetto all’implementazione di queste soluzioni i gestori indicano come primo fattore critico di successo (64% dei rispondenti) la presenza di competente interne seguito dalla possibilità di avere a disposizione dati e sistemi di monitoraggio (56% delle risposte). Personale e sistemi informativi si confermano quindi un nodo critico per il settore.

Cosa sta accadendo sul fronte personale assistenziale?

Il 100% dei gestori che partecipano all’Osservatorio Long Term Care riportano di vivere una situazione critica nella gestione del personale. In termini di professionalità coinvolte, tutti segnalano difficoltà rispetto agli infermieri, il 90% rispetto al personale medico e il 10% con riferimento a operatori socio sanitari (OSS) e altre figure.

Questa difficoltà ha come prima causa la carenza di personale a livello italiano (94% dei rispondenti). I rispondenti alla survey dichiarano infatti che nei loro servizi mancano all’appello il 26% degli infermieri, il 18% dei medici, il 13% degli OSS. Allo shortage di personale si aggiunge la scarsa motivazione del personale già arruolato (indicata dal 56% dei rispondenti) e il burn out (38%).

A questo si aggiunge la forte competizione tra settore sanitario e socio-sanitario nell’attrarre le nuove leve, che contribuisce a esacerbare il quadro attuale.

La situazione, aggravata dal Covid-19, è tale da mettere in allerta il settore.

Quali priorità per il futuro?

I risultati delle attività di ricerca offrono alcuni spunti circa le traiettorie di lavoro per il futuro del settore socio-sanitario.

In un periodo di grandi cambiamenti e investimenti, PNRR su tutti, il settore anziani non dovrebbe essere dimenticato e dovrebbe esso stesso essere riconosciuto come priorità di investimenti. A livello di sistema, gli investimenti pubblici dovrebbero essere orientati per creare maggiore unitarietà e coordinamento, definendo un soggetto che possa fare da regia per i diversi interventi, e per creare un sistema informativo unitario e sempre aggiornato a supporto delle decisioni. Rispetto allo sviluppo dei servizi è necessario uscire da una visione retorica dell’assistenza domiciliare, che non può essere considerata a priori la soluzione ottimale per tutti, e promuovere una maggiore integrazione con il mondo del badantato.

Per affrontare la crisi di personale servono investimenti di sistema (sul sistema universitario e sulla formazione), aziendali (migliore gestione delle risorse umane) e una rivisitazione dei servizi per modificare i mix professionali richiesti. I gestori devono fare rete tra loro per rinforzare la loro visibilità, avere maggior capacità di diffondere le innovazioni in modo strutturale, e affrontare la tematica personale con una logica di comparto e non concorrenziale.

In sintesi, nessuno è in grado di affrontare da solo le sfide che oggi attraversano il settore LTC: la collaborazione non è quindi una scelta, quanto una questione di sopravvivenza.

Di Giovanni Fosti, Elisabetta Notarnicola, Eleonora Perobelli

Pubblicato il 22 marzo 2022 sul sito del laboratorio Percorsi di secondo welfare a questo link:

Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

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Focus disfagia: oltre 6 milioni le persone a rischio

16/12/21 - Redazione

Brescia, 15 dicembre 2021 – In Italia sono oltre 6 milioni le persone che soffrono di disfagia, un disturbo che impedisce la corretta deglutizione di acqua e cibo. Un deficit diffuso e insidioso che può portare a conseguenze gravi come malnutrizione, disidratazione o disfunzioni respiratorie, quali polmoniti, dovute al passaggio scorretto del cibo dall’esofago alle vie respiratorie.

A livello nazionale quasi la metà degli over 75 e un quarto degli over 50 è affetto dal deficit disfagico. Le proiezioni indicano che entro il 2050 gli over 65 in Europa passeranno dagli attuali 107M a 153M, questo significa che il problema della disfagia, entro i prossimi 30 anni, interesserà circa 23M di anziani.

Nel contesto odierno la disfagia assume inoltre maggiore attenzione per la sua correlazione con le conseguenze del Covid-19. Infatti un paziente che ha subito intubazione e sedazione in terapia intensiva, può presentare disfagia e conseguente malnutrizione.

Ricerca e innovazione per migliorare la vita dei pazienti disfagici.

La disfagia causa una serie di ripercussioni legate al momento del pasto che toccano diverse sfere: dalla difficoltà di deglutizione scaturisce la minor propensione del paziente ad alimentarsi, il fatto di non riuscire a deglutire solidi né liquidi porta ad una alternativa frullata o gelatinosa spesso di sapore indistinto, con valori nutrizionali alterati e sempre uguale nella consistenza che non fa altro che disincentivare ulteriormente l’alimentazione. Va da sé che si perde completamente ogni aspetto positivo legato al momento dei pasti, dalla convivialità, ai sapori, al piacere di mangiare pietanze gradite, tutti fattori che incidono in modo estremamente pericoloso non solo sulla qualità ma anche sulla quantità di cibo ingerito e pertanto di calorie, proteine e nutrienti assunti, necessari per far fronte a cure, riabilitazioni, etc. Lato operatori sanitari, quanto sopra descritto rende molto difficoltosa la somministrazione dei pasti con conseguenze non solo legate alla qualità del momento condiviso con il paziente ma anche di tempo per la sua gestione.

Oggi la risposta al problema è esclusivamente meccanica e consiste nella somministrazione di cibi frullati o omogeneizzati che portano ad un appiattimento dei sapori, ad un aumento del volume a fronte di una riduzione in percentuale del contenuto nutritivo che portano alla necessità di supplementazione farmacologica.

La tecnologia e l’innovazione arrivano però a supporto delle persone fragili per aiutarle, per quanto possibile, a riscoprire il sapore della vita.

Alimenti naturali, a texture perfettamente omogenea, con un elevato contenuto proteico e nutrizionale, lasciando sapori, profumi e colori intatti. Questo il risultato, brevettato, di anni di R&S da parte di Harg, una giovane Start Up Benefit che ha voluto puntare sulla tecnologia e l’innovazione per ridare dignità ad un momento di fondamentale importanza come i pasti per le persone malate attraverso prodotti pioneristici per il settore.

Harg, in collaborazione con il prestigioso Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova (DISSAL), ha sviluppato e messo in campo un protocollo, denominato WeanCare, di verifica dell’efficacia dei propri prodotti. Lo studio è stato finalizzato a misurare gli effetti a livello biochimico e nutrizionale su un campione di 200 pazienti dopo 6 mesi di alimentazione con menù personalizzato.

I risultati di questo studio sono stati presentati alla comunità scientifica internazionale a fine 2019:

  • Miglioramento del livello di albumina, segno di un’alimentazione corretta e assimilata in maniera adeguata.
  • Aumento della componente linfocitaria, utile e necessaria per le difese immunitarie e maggior efficacia nei vaccini.
  • Miglioramento del profilo lipidico: i trigliceridi si regolarizzano, il colesterolo rientra nei parametri corretti.
  • Diminuzione media del 70% del numero di clisteri mensili.
  • Risposta positiva alla somministrazione del pasto cibo, con una riduzione significativa dei comportamenti ostativi al pasto.

I dati emersi e sopracitati dal protocollo WeanCare sono stati presentati durante un ciclo di conferenze intitolato «La disfagia nelle persone fragili. Soluzioni nutrizionali e tecnologie innovative».

Queste conferenze, supportate da partner istituzionali quali Banca Etica, Confindustria e così via, hanno l’obiettivo di far conoscere il più possibile una soluzione efficace e verificata al problema della disfagia.

L’ultima conferenza, trasmessa anche in streaming (visitabile al seguente link: https://bit.ly/LaDisfagiaNellePersoneFragili), ha visto la partecipazione di oltre 150 persone facenti parte del mondo ospedaliero e delle case di cura come geriatri, nutrizionisti, logopedisti e foniatri.

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“Una riforma per proteggere gli anziani”

1/09/21 - Redazione

“Una riforma per proteggere gli anziani”

di Roberto Bernabei, Francesco Landi e Graziano Onder (da Repubblica Salute, anno 3 n. 8, 26 agosto 2021)

“In Italia ci sono oltre 3.400 Rsa (o strutture residenziali per assistenza socio sanitaria alle persone non autosufficienti, come sarebbe più corretto chiamarle, che ospitano ogni anno circa 290 mila anziani. L’assistenza in queste strutture rientra tra le prestazioni essenziali che sono garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nonostante ciò, il settore Rsa in Italia è meno sviluppato rispetto a quanto non lo sia in altri Paesi europei: basti pensare che nel nostro la disponibilità di posti letto è pari a circa il 2% della popolazione ultrasessantacinquenne, contro il 5% in Francia o in Germania.

L’epidemia di Covid-19 ha messo a nudo la fragilità di queste strutture. I rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno mostrato come nella prima fase epidemica le Rsa fossero spesso prive di dispositivi di protezione individuale, avessero personale insufficiente e scarsamente formato, non fossero adeguatamente collegate con gli ospedali. A causa dell’epidemia Covid-19, nel marzo-aprile 2020 il numero di decessi nelle Rsa è più che raddoppiato rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Una tragedia ben nota ed evidenziata dai media.

Queste criticità, osservate peraltro anche in altri paesi europei e nord americani, hanno portato a un progressivo allontanamento degli anziani da queste strutture (fino al 25% dei posti letto nelle strutture non sono occupati) con un conseguente importante danno economico al settore, in gran parte privato in cui lavorano circa 200 mila persone.

Se le scelte future in tema di politiche sanitarie devono essere guidate dalle lezioni imparate dall’epidemia Covid-19, appare prioritario riformare il settore delle Rsa, che più degli altri ha rilevato criticità negli ultimi mesi (…)”. Per proseguire la lettura dell’articolo “Una riforma per proteggere gli anziani”, da Repubblica Salute del 26 agosto 2021, cliccare qui.

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