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non autosufficienza

Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

4/04/22 - Redazione

“Il presente e il futuro del settore della Long Term Care: cantieri aperti” è il titolo del 4° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care (OLTC) di Cergas SDA Bocconi, che riparte nel 2021 là dove si era chiuso nel 2020: la pandemia ha offerto un grande punto di ripartenza per il settore, ma il cambiamento auspicato è da costruire attraverso dei “cantieri di lavoro”. Il Rapporto indaga infatti i cantieri aperti nel settore LTC attraverso tre lenti:

  • la lettura dei dati e delle caratteristiche della popolazione di riferimento, integrando le fonti ufficiali con una analisi sulle percezioni delle famiglie in modo da dare voce ai diretti destinatari;
  • la mappatura di iniziative di innovazione nate dal basso, dai gestori;
  • le condizioni organizzative per il cambiamento, con un focus particolare sul tema del personale.

In questo modo il Rapporto indaga esperienze concrete di cambiamento ponendosi la domanda di come portare questi “cantieri” dal livello locale al settore Long Term Care a livello nazionale.

La fotografia aggiornata del settore di assistenza agli anziani in Italia

In continuità con il passato, il Rapporto propone un aggiornamento dei dati relativi alle principali componenti del settore socio-sanitario italiano: il fabbisogno, la rete di welfare pubblico, il posizionamento strategico dei gestori dei servizi.

Questa edizione beneficia di un importante aggiornamento di dati Istat sulle condizioni di salute della popolazione anziana, che permettono una più approfondita profilazione degli over65 e dei relativi bisogni lungo tre direttrici: lo stato di salute, la gestione della vita quotidiana, la non autosufficienza.

Con riferimento allo stato di salute, la rilevazione conferma la crescente complessità del quadro epidemiologico degli anziani, che si manifesta con intensità molto differenziate tra regioni del Nord e Sud Italia, certificando un contesto a due velocità.

Rispetto alla vita quotidiana, alcuni dati suonano come un campanello di allarme: 1,5 milioni di over65 dichiarano di avere gravi difficoltà nella cura della persona, 3,7 milioni nella cura della casa, 4,2 milioni nella gestione autonoma degli spostamenti. È essenziale tenere presente questi dati nella progettazione di servizi per scongiurare il rischio che il domicilio divenga una trappola.Terzo, i nuovi indicatori della diffusione di gravi limitazioni portano a una stima aggiornata della popolazione non autosufficiente pari a 3,8 milioni di persone, in forte crescita rispetto al passato perché – a differenza del passato – i nuovi dati Istat considerano anche le gravi limitazioni cognitive, includendo quindi il mondo disturbi cognitivi e demenze.

Questo fa crollare il tasso di copertura del bisogno della rete di welfare pubblico, che scende a 7,2% per servizi residenziali socio-sanitari, 0,7% per il diurno e 22% per l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che tuttavia mediamente offre 15 ore di assistenza annue per anziano in carico.Di fronte a questi numeri, la rete di welfare pubblico appare più che mai insufficiente a dare una risposta completa al bisogno sul territorio, richiedendo nuove modalità di intervento. A livello trasversale, tutti gli indicatori considerati per ciascuna dimensione di analisi precedentemente descritta fanno emergere un forte tema di equità e appropriatezza complessiva del sistema, poiché donne, soggetti con livelli di istruzione e redditi più bassi risultano stare peggio.

I gestori dei servizi si confermano fortemente ancorati al mercato dell’accreditamento pubblico, lontani dal voler adottare il rischio imprenditoriale necessario per affacciarsi all’enorme quota di bisogno presente sul territorio. Parte di questa reticenza è oggi spiegata dal forte impatto della pandemia sugli equilibri economico-finanziari dei gestori: i dati di fatturato 2020 segnano, a livello di soggetti aderenti a OLTC, un –6,2% rispetto ai livelli 2019.

I dati economici 2021 mostrano una generale ripresa, ma i provider riportano persistenti difficoltà nella gestione del personale, nell’affrontare il continuo cambiamento di regole amministrative e operative e la gestione delle richieste rendicontative e dei controlli.

Cosa pensano le famiglie italiane della non autosufficienza?

Dopo aver analizzato la rete di welfare pubblico e i gestori, anche in questa edizione è stata portata la prospettiva diretta delle famiglie, con un’indagine che per la prima volta ha raggiunto soggetti più giovani (età media 37 anni) per tracciare la percezione del rischio di non autosufficienza e il rapporto con i servizi.

Le risposte dei 508 cittadini coinvolti mostrano importanti elementi di discontinuità rispetto al passato: il 54% dei rispondenti si dichiara infatti pronto a adottare comportamenti di prevenzione e ad organizzarsi in anticipo rispetto al rischio di non autosufficienza.

Tuttavia, identificano come punti di riferimento per attrezzarsi in tal senso solo il mondo sanità e il passaparola, e non i gestori del socio-sanitario. I gestori devono quindi chiedersi come rendersi riconoscibili all’enorme platea di soggetti, anziani e non solo, che potrebbero avere bisogni legati alla non autosufficienza e costruirsi uno spazio di mercato per il futuro ed evitare di rivestire un ruolo marginale.

In attesa di arrivare ai servizi, si conferma la centralità del ricorso alla badante nel nostro sistema: nel 2020 queste erano 1.094.000. Questo dato, abbinato alle performance del sistema di welfare, rende urgente pensare a come integrare badanti nel sistema dei servizi, anche perché gli investimenti sul fronte domiciliare previsti dal PNRR andranno ad impattare indirettamente anche sulle badanti, le vere protagoniste della gestione domiciliare.

Quali innovazioni stanno promuovendo i gestori dei servizi per anziani?

Il Rapporto raccoglie 24 casi di successo e innovazione. Questi rappresentano quattro diversi cantieri aperti che stanno attraversando il settore socio-sanitario e danno segnali interessanti e incoraggianti rispetto ai cambiamenti in corso. I cantieri individuati presentano innovazioni volte a:

  • Rafforzare le organizzazioni (8 casi): i gestori stanno lavorando sul tema della formazione, della cultura aziendale, dei sistemi informativi per supportare i processi interni. Tutti segnali di investimento sulla managerializzazione in risposta alla crisi Covid-19.
  • Portare più tecnologia nella cura (6 casi): app, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di intelligenza artificiale a servizio della qualità della cura.
  • Lavorare sulla presa in carico di Demenze e Alzheimer (4 casi): nuove modalità per rispondere alle esigenze delle famiglie e migliorare il coordinamento tra professionisti.
  • Sviluppare nuovi modelli di servizio (6 casi), in particolare per scardinare il modello di RSA tradizionale e superarne i limiti.

Rispetto all’implementazione di queste soluzioni i gestori indicano come primo fattore critico di successo (64% dei rispondenti) la presenza di competente interne seguito dalla possibilità di avere a disposizione dati e sistemi di monitoraggio (56% delle risposte). Personale e sistemi informativi si confermano quindi un nodo critico per il settore.

Cosa sta accadendo sul fronte personale assistenziale?

Il 100% dei gestori che partecipano all’Osservatorio Long Term Care riportano di vivere una situazione critica nella gestione del personale. In termini di professionalità coinvolte, tutti segnalano difficoltà rispetto agli infermieri, il 90% rispetto al personale medico e il 10% con riferimento a operatori socio sanitari (OSS) e altre figure.

Questa difficoltà ha come prima causa la carenza di personale a livello italiano (94% dei rispondenti). I rispondenti alla survey dichiarano infatti che nei loro servizi mancano all’appello il 26% degli infermieri, il 18% dei medici, il 13% degli OSS. Allo shortage di personale si aggiunge la scarsa motivazione del personale già arruolato (indicata dal 56% dei rispondenti) e il burn out (38%).

A questo si aggiunge la forte competizione tra settore sanitario e socio-sanitario nell’attrarre le nuove leve, che contribuisce a esacerbare il quadro attuale.

La situazione, aggravata dal Covid-19, è tale da mettere in allerta il settore.

Quali priorità per il futuro?

I risultati delle attività di ricerca offrono alcuni spunti circa le traiettorie di lavoro per il futuro del settore socio-sanitario.

In un periodo di grandi cambiamenti e investimenti, PNRR su tutti, il settore anziani non dovrebbe essere dimenticato e dovrebbe esso stesso essere riconosciuto come priorità di investimenti. A livello di sistema, gli investimenti pubblici dovrebbero essere orientati per creare maggiore unitarietà e coordinamento, definendo un soggetto che possa fare da regia per i diversi interventi, e per creare un sistema informativo unitario e sempre aggiornato a supporto delle decisioni. Rispetto allo sviluppo dei servizi è necessario uscire da una visione retorica dell’assistenza domiciliare, che non può essere considerata a priori la soluzione ottimale per tutti, e promuovere una maggiore integrazione con il mondo del badantato.

Per affrontare la crisi di personale servono investimenti di sistema (sul sistema universitario e sulla formazione), aziendali (migliore gestione delle risorse umane) e una rivisitazione dei servizi per modificare i mix professionali richiesti. I gestori devono fare rete tra loro per rinforzare la loro visibilità, avere maggior capacità di diffondere le innovazioni in modo strutturale, e affrontare la tematica personale con una logica di comparto e non concorrenziale.

In sintesi, nessuno è in grado di affrontare da solo le sfide che oggi attraversano il settore LTC: la collaborazione non è quindi una scelta, quanto una questione di sopravvivenza.

Di Giovanni Fosti, Elisabetta Notarnicola, Eleonora Perobelli

Pubblicato il 22 marzo 2022 sul sito del laboratorio Percorsi di secondo welfare a questo link:

Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

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Focus disfagia: oltre 6 milioni le persone a rischio

16/12/21 - Redazione

Brescia, 15 dicembre 2021 – In Italia sono oltre 6 milioni le persone che soffrono di disfagia, un disturbo che impedisce la corretta deglutizione di acqua e cibo. Un deficit diffuso e insidioso che può portare a conseguenze gravi come malnutrizione, disidratazione o disfunzioni respiratorie, quali polmoniti, dovute al passaggio scorretto del cibo dall’esofago alle vie respiratorie.

A livello nazionale quasi la metà degli over 75 e un quarto degli over 50 è affetto dal deficit disfagico. Le proiezioni indicano che entro il 2050 gli over 65 in Europa passeranno dagli attuali 107M a 153M, questo significa che il problema della disfagia, entro i prossimi 30 anni, interesserà circa 23M di anziani.

Nel contesto odierno la disfagia assume inoltre maggiore attenzione per la sua correlazione con le conseguenze del Covid-19. Infatti un paziente che ha subito intubazione e sedazione in terapia intensiva, può presentare disfagia e conseguente malnutrizione.

Ricerca e innovazione per migliorare la vita dei pazienti disfagici.

La disfagia causa una serie di ripercussioni legate al momento del pasto che toccano diverse sfere: dalla difficoltà di deglutizione scaturisce la minor propensione del paziente ad alimentarsi, il fatto di non riuscire a deglutire solidi né liquidi porta ad una alternativa frullata o gelatinosa spesso di sapore indistinto, con valori nutrizionali alterati e sempre uguale nella consistenza che non fa altro che disincentivare ulteriormente l’alimentazione. Va da sé che si perde completamente ogni aspetto positivo legato al momento dei pasti, dalla convivialità, ai sapori, al piacere di mangiare pietanze gradite, tutti fattori che incidono in modo estremamente pericoloso non solo sulla qualità ma anche sulla quantità di cibo ingerito e pertanto di calorie, proteine e nutrienti assunti, necessari per far fronte a cure, riabilitazioni, etc. Lato operatori sanitari, quanto sopra descritto rende molto difficoltosa la somministrazione dei pasti con conseguenze non solo legate alla qualità del momento condiviso con il paziente ma anche di tempo per la sua gestione.

Oggi la risposta al problema è esclusivamente meccanica e consiste nella somministrazione di cibi frullati o omogeneizzati che portano ad un appiattimento dei sapori, ad un aumento del volume a fronte di una riduzione in percentuale del contenuto nutritivo che portano alla necessità di supplementazione farmacologica.

La tecnologia e l’innovazione arrivano però a supporto delle persone fragili per aiutarle, per quanto possibile, a riscoprire il sapore della vita.

Alimenti naturali, a texture perfettamente omogenea, con un elevato contenuto proteico e nutrizionale, lasciando sapori, profumi e colori intatti. Questo il risultato, brevettato, di anni di R&S da parte di Harg, una giovane Start Up Benefit che ha voluto puntare sulla tecnologia e l’innovazione per ridare dignità ad un momento di fondamentale importanza come i pasti per le persone malate attraverso prodotti pioneristici per il settore.

Harg, in collaborazione con il prestigioso Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova (DISSAL), ha sviluppato e messo in campo un protocollo, denominato WeanCare, di verifica dell’efficacia dei propri prodotti. Lo studio è stato finalizzato a misurare gli effetti a livello biochimico e nutrizionale su un campione di 200 pazienti dopo 6 mesi di alimentazione con menù personalizzato.

I risultati di questo studio sono stati presentati alla comunità scientifica internazionale a fine 2019:

  • Miglioramento del livello di albumina, segno di un’alimentazione corretta e assimilata in maniera adeguata.
  • Aumento della componente linfocitaria, utile e necessaria per le difese immunitarie e maggior efficacia nei vaccini.
  • Miglioramento del profilo lipidico: i trigliceridi si regolarizzano, il colesterolo rientra nei parametri corretti.
  • Diminuzione media del 70% del numero di clisteri mensili.
  • Risposta positiva alla somministrazione del pasto cibo, con una riduzione significativa dei comportamenti ostativi al pasto.

I dati emersi e sopracitati dal protocollo WeanCare sono stati presentati durante un ciclo di conferenze intitolato «La disfagia nelle persone fragili. Soluzioni nutrizionali e tecnologie innovative».

Queste conferenze, supportate da partner istituzionali quali Banca Etica, Confindustria e così via, hanno l’obiettivo di far conoscere il più possibile una soluzione efficace e verificata al problema della disfagia.

L’ultima conferenza, trasmessa anche in streaming (visitabile al seguente link: https://bit.ly/LaDisfagiaNellePersoneFragili), ha visto la partecipazione di oltre 150 persone facenti parte del mondo ospedaliero e delle case di cura come geriatri, nutrizionisti, logopedisti e foniatri.

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“Una riforma per proteggere gli anziani”

1/09/21 - Redazione

“Una riforma per proteggere gli anziani”

di Roberto Bernabei, Francesco Landi e Graziano Onder (da Repubblica Salute, anno 3 n. 8, 26 agosto 2021)

“In Italia ci sono oltre 3.400 Rsa (o strutture residenziali per assistenza socio sanitaria alle persone non autosufficienti, come sarebbe più corretto chiamarle, che ospitano ogni anno circa 290 mila anziani. L’assistenza in queste strutture rientra tra le prestazioni essenziali che sono garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nonostante ciò, il settore Rsa in Italia è meno sviluppato rispetto a quanto non lo sia in altri Paesi europei: basti pensare che nel nostro la disponibilità di posti letto è pari a circa il 2% della popolazione ultrasessantacinquenne, contro il 5% in Francia o in Germania.

L’epidemia di Covid-19 ha messo a nudo la fragilità di queste strutture. I rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno mostrato come nella prima fase epidemica le Rsa fossero spesso prive di dispositivi di protezione individuale, avessero personale insufficiente e scarsamente formato, non fossero adeguatamente collegate con gli ospedali. A causa dell’epidemia Covid-19, nel marzo-aprile 2020 il numero di decessi nelle Rsa è più che raddoppiato rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Una tragedia ben nota ed evidenziata dai media.

Queste criticità, osservate peraltro anche in altri paesi europei e nord americani, hanno portato a un progressivo allontanamento degli anziani da queste strutture (fino al 25% dei posti letto nelle strutture non sono occupati) con un conseguente importante danno economico al settore, in gran parte privato in cui lavorano circa 200 mila persone.

Se le scelte future in tema di politiche sanitarie devono essere guidate dalle lezioni imparate dall’epidemia Covid-19, appare prioritario riformare il settore delle Rsa, che più degli altri ha rilevato criticità negli ultimi mesi (…)”. Per proseguire la lettura dell’articolo “Una riforma per proteggere gli anziani”, da Repubblica Salute del 26 agosto 2021, cliccare qui.

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Chiara Saraceno: «Rsa, l’assistenza domiciliare non è un’alternativa»

4/06/21 - Giulia Gonfiantini

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha riacceso l’attenzione anche sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, che è attesa da anni, ma in questa fase sembra esserci da più parti la tendenza a non tenere conto delle reali necessità di chi è ospitato all’interno delle residenze socio-assistenziali. «Va benissimo pensare anche di sviluppare il settore delle abitazioni protette, così come l’assistenza domiciliare, per consentire al massimo e il più a lungo possibile alle persone fragili e parzialmente non autosufficienti di vivere a casa propria o comunque in un ambiente domestico, ma occorre anche pensare a strutture per chi ha bisogno di assistenza – sanitaria e di sostegno nella vita quotidiana – continuativa e intensiva», dice la sociologa Chiara Saraceno a proposito della volontà di ripensare il sistema delle Rsa. «Certamente il modello delle grandi strutture con centinaia di ospiti va superato, e in questo senso si dovrebbe parlare, più che di riconversione, di ristrutturazione – precisa – delle residenze troppo grandi per consentire davvero un ambiente amichevole e stimolante ai loro ospiti e ai loro familiari quando vanno a trovarli, con il personale necessario in termini numerici e di professionalità richieste. Ci sono esempi di piccole strutture, ben organizzate e a misura degli ospiti che andrebbero utilmente studiate, anche perché in molti casi si sono rivelate inoltre modelli di efficiente protezione rispetto al rischio di contagio da Covid-19». Per Saraceno, questo particolare settore è soltanto uno degli aspetti da considerare per una riforma complessiva per la non autosufficienza nel nostro Paese, dove peraltro la misura più largamente diffusa è l’indennità di accompagnamento.

La riforma per la non autosufficienza prevista dal Pnrr parla di riconversione e de-istituzionalizzazione delle Rsa, ciò cosa comporterebbe?

«Bisogna intendersi. Innanzitutto le Rsa coprono solo una frazione del bisogno nel campo della non autosufficienza. Quindi una politica seria per la non autosufficienza non può avere nelle Rsa e nella loro eventuale riforma il proprio punto focale non solo perché il modello attuale di Rsa non è sempre adeguato, ma perché le politiche per la non autosufficienza devono essere a più ampio raggio e partire da una riconsiderazione e riforma dello strumento più diffuso, in Italia, in questo campo: l’assegno di accompagnamento. Chiarito questo, non è chiarissimo che cosa si intenda per riconversione e de-istituzionalizzazione delle Rsa. Se, come sembra, si intende trasformarle tutte in residenze protette dove le persone possano vivere con il massimo di autonomia possibile, temo che, per ovviare a problemi e disfunzioni che ci sono, si ignorino i problemi e i bisogni di chi è attualmente ospitato nelle Rsa: persone con problemi sanitari e di non autosufficienza gravissimi, che hanno bisogno di assistenza continua anche nelle cose minime».

Quale rapporto tra le residenze e l’assistenza domiciliare?

«Come ho detto sopra, l’assistenza domiciliare tramite personale preparato non è un’alternativa ai bisogni attualmente soddisfatti dalle Rsa. Piuttosto è una alternativa all’assistenza domiciliare attualmente fornita in modo quasi esclusivo da familiari (per lo più donne) e da badanti. Può essere considerata anche un’alternativa all’assegno di accompagnamento, fornendo appunto servizi invece che denaro sul cui uso appropriato per il benessere della persona non autosufficiente non esiste alcun controllo. A questo proposito osservo che mentre si parla molto di ciò che non funziona nelle Rsa non ci si preoccupa di come funziona effettivamente in Italia la domiciliarità, che riguarda la grande   maggioranza degli anziani fragili. Anche durante la pandemia non c’è stata alcuna attenzione per la situazione in cui si sono trovati molti anziani fragili, le loro famiglie e, per chi le aveva, le loro badanti, con le difficoltà create dal distanziamento e dal rischio di contagio».

Che ruolo ritiene possa avere il sistema delle Rsa all’interno della medicina del territorio?

«Come ho già detto, dovrebbe essere un pezzo, ridotto ma importante, di un sistema articolato e modulare, che va dall’assistenza domiciliare leggera a quella più intensiva (di cui possono far parte anche le badanti, se adeguatamente formate e certificate), ai centri diurni; può passare, se necessario (abitazioni inadeguate) dalle abitazioni protette fino alle Rsa come strutture piccole ma altamente specializzate. In questo sistema l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata – l’unica di cui si parla nel Pnrr – ha un posto importante ma, nonostante il suo nome, non copre, per il suo carattere di temporaneità e di focalizzazione esclusiva sui problemi sanitari, l’assistenza domiciliare necessaria a sostenere le persone molto fragili nei bisogni e attività della vita quotidiana».

Come riconsiderare l’assegno di accompagnamento?

«L’assegno di accompagnamento dovrebbe essere trasformato, se non direttamente in servizi, in un voucher per acquistare servizi accreditati, come avviene in Francia, o almeno adottare il modello tedesco per cui si può scegliere tra l’assegno (di importo variabile in base al grado di non autosufficienza, non come in Italia in somma fissa) e i servizi (anche in questo caso di entità variabile a seconda del grado e tipo di non autosufficienza). È vero che, essendosi consolidata l’abitudine a ricevere denaro che si può utilizzare senza controlli ci sarebbero resistenze ad una riforma di questo genere, come segnalano alcune ricerche. Ma occorre porre chiaramente la questione della appropriatezza delle cure e del sovraccarico che troppo spesso ricade sulle famiglie».

Dopo lo scoppio della pandemia, le Rsa si sono trovate in un certo senso «sotto accusa».

«Sono emersi problemi imputabili alla gestione pubblica di questi luoghi: carenza di personale, specie sanitario, a fronte di una concentrazione di ospiti con forti bisogni di tipo sanitario e perciò molto vulnerabili, strutture a volte troppo grandi, controlli non sempre efficienti, varietà di criteri per l’accreditamento da una regione all’altra. Tutto questo, insieme alle scarse conoscenze iniziali sulle caratteristiche della pandemia, ha portato in diversi casi alla sottovalutazione del rischio che correvano gli ospiti, e anche il personale, che non è stato considerato, come si sarebbe dovuto, alla stessa stregua del personale sanitario ospedaliero dal punto di vista delle protezioni e della prevenzione. L’elevata mortalità che ha caratterizzato alcune di queste strutture (ma non tutte), in parte dovuta a queste carenze, ma in parte anche all’elevata concentrazione di grandi anziani molto fragili, le ha fatto identificare come la causa, se non unica, principale dell’elevata mortalità per Covid-19 nel nostro paese, anche se mi sembra di aver visto dei dati che mostrano che la maggior parte degli anziani deceduti non era ospite di una Rsa».

E più recentemente?

«La successiva chiusura prolungata alle visite dei familiari, la lentezza con cui sono state messe a punto condizioni con cui consentirle in sicurezza, ha ulteriormente aggravato l’immagine delle Rsa come carceri in cui gli ospiti non hanno alcun diritto. Ma la situazione effettiva è più variegata, sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private. Piuttosto è sconcertante che, come dimostra l’assegnazione all’arma dei carabinieri di fare un censimento delle strutture e delle loro modalità organizzative, solo ora il ministero della salute si sia accorto di non avere dati e non sappia che per averli dovrebbe rivolgersi alle regioni».

 

 

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Appello al Governo

23/04/21 - Redazione Secondo Welfare

Una semplificazione dei percorsi per accedere agli interventi pubblici in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti; un’ampia riforma dei servizi domiciliari; un investimento straordinario per migliorare le strutture residenziali del nostro Paese. Il tutto grazie ad uno stanziamento di 7,5 miliardi di euro per il periodo 2022-2026. È quanto prevede la proposta elaborata dal Network Non Autosufficienza (NNA) che i primi promotori – Alzheimer Uniti, Aima, Caritas, Cittadinanzattiva, Confederazione Parkinson Italia, Federazione Alzheimer Italia, Forum Disuguaglianze Diversità, Forum Nazionale Terzo Settore, La Bottega del Possibile – e le numerose organizzazioni e sigle che hanno deciso di sostenerla – tra cui Percorsi di secondo welfare – chiedono al Governo di inserire come progetto nel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

L’appello a Draghi, Orlando e Speranza

I dati su età e profili di fragilità delle persone decedute a causa del Covid-19 indicano che i più colpiti dall’emergenza sanitari sono gli anziani non autosufficienti. E le grandi difficoltà incontrate dal sistema socio-sanitario pubblico nell’affrontare la pandemia confermano le criticità di fondo che – da tempo – lo affliggono. Per questa ragione le organizzazioni promotrici della proposta di NNA hanno scritto una lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi, al Ministro delle Politiche Sociali Andrea Orlando e al Ministro della Salute Roberto Speranza sottolineando che “sarebbe paradossale che un Piano nato per rispondere a una tragedia come il Covid dimenticasse proprio coloro che ne hanno pagato il prezzo maggiore“. E in questo senso “l’ampia e significativa platea di soggetti della società che, in varia misura, sostengono tale proposta, testimonia un comune sentire circa l’urgenza di intraprendere un percorso di riforma per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel nostro Paese”. Per questo, “la proposta del Network Non Autosufficienza è dunque un’occasione da non perdere“.

I contenuti della proposta

La proposta di NNA, che Secondo Welfare ha analizzata nel dettaglio qui, in sintesi prevede:

  1. la semplificazione dei percorsi per accedere agli interventi pubblici, affinché si ricomponga l’attuale caotica molteplicità di enti, sedi e procedure differenti;
  2. un’ampia riforma dei servizi domiciliari, perché rispondano alle varie problematicità legate alla non autosufficienza e diventino un effettivo punto di riferimento per le famiglie e, in particolare, per i caregiver;
  3. un investimento straordinario per migliorare quelle strutture residenziali che necessitano di essere ammodernate e riqualificate, come hanno dimostrato le vicende della pandemia.

Dato che si delinea un’azione riformatrice di sistema, gli interventi menzionati sono accompagnati da un pacchetto di azioni trasversali quali il rafforzamento della collaborazione tra Stato, Regioni e Comuni, l’introduzione di un sistema nazionale di monitoraggio, sinora assente, e un piano straordinario di formazione.

Per realizzare la proposta NNA stima uno stanziamento necessario di circa 7,5 miliardi per il periodo 2022-2026, 5 dei quali dedicati ai servizi domiciliari, e la cui titolarità dovrebbe essere condivisa tra il Ministero della Salute e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali. “Non si può infatti procedere ad una riforma” spiega ancora la lettera “senza operare finalmente una stretta interconnessione tra sociale e sanitario, per puntare a risposte integrate, cioè fondate su uno sguardo complessivo sulle condizioni degli anziani. Ma se non sono i Ministeri nazionali i primi a farlo, chiederlo agli enti locali è impossibile”.


L’importanza del momento

Quella proposta da NNA è nei fatti una riforma storica ma che potrebbe diventare tale solo se l’Esecutivo avrà il coraggio di inserirla nel PNRR. A pochi giorni dalla presentazione del documento a Bruxelles, infatti, è cruciale che il Governo tenga fede alla volontà espressa nelle scorse settimane di impegnarsi su questo fronte, accogliendo quindi le richieste che gli sono state fatte.

Come ricordava la direttrice di Secondo Welfare Franca Maino su Corriere Buone Notizie, “il futuro del nostro Paese non può prescindere da un progetto dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti facendo leva sulle possibilità di riforma e sugli investimenti una tantum offerti dal PNRR, incanalando idee e proposte verso le istituzioni responsabili della sua stesura definitiva. Non possiamo perdere questa opportunità“.

Una opportunità che, come ricordava anche Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, permetterebbe di sostenere gli anziani ma anche di investire su donne e infanzia. Esiste infatti un “nesso fra politiche a sostegno della non autosufficienza e generazioni future che sta nell’alleggerimento dei carichi familiari per le donne e nell’espansione dell’occupazione, auspicabilmente anche sui tassi di natalità“. È davvero un’occasione che non possiamo lasciarci scappare e che auspichiamo sia colta dal Governo.

 

Leggi su Percorsi di Secondo Welfare.

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Nel PNRR non può mancare un piano di riforma per la non autosufficienza

24/02/21 - Franca Maino, Federico Razetti

Come noto, la fascia di popolazione più colpita dalla pandemia di Covid-19 è stata ed è quella anziana. Ciò ha messo in evidenza, in modo particolarmente doloroso, tutta l’inadeguatezza del modello di assistenza agli anziani il Italia. Tuttavia, l’attuale bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – necessario all’Italia per riuscire a intercettare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea proprio per rispondere alla sfide poste dalla crisi pandemica – non prevede interventi di riforma strutturali in questo ambito di policy. Può sembrare un paradosso, ma è solo l’ennesima e più clamorosa dimostrazione dell’estrema difficoltà incontrata dal tema “assistenza agli anziani” a entrare nell’agenda decisionale italiana. Da più di vent’anni gli esperti avanzano proposte di riforma di un campo del welfare relativamente recente, che ha assunto le forme di un settore di intervento disorganico, sviluppatosi per stratificazioni successive, senza una visione coerente. E da più di vent’anni si assiste alla mancata adozione di una riforma complessiva e, tuttalpiù, all’introduzione di piccoli interventi, del tutto insufficienti ad affrontare i nodi di fondo della questione.

Un’occasione da non perdere

Quella attuale, come detto, è però solo una bozza del PNRR che, se opportunamente rivista, potrebbe rappresentare un’occasione preziosa per avviare il “percorso di riforma del settore atteso dalla fine degli anni ’90, che la pericolosa combinazione tra le criticità esistenti e l’invecchiamento della popolazione suggerisce di non rimandare oltre”. È a partire da queste considerazioni che il Network Non Autosufficienza (NNA) ha redatto un articolato documento (disponibile qui) nel quale si indicano alcune direttrici utili a cogliere l’opportunità riformatrice aperta dal PNRR anche per “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia”.

Il documento – inteso dal NNA quale “proposta aperta” a idee di miglioramento, correzioni e ipotesi di sviluppo – parte da tre considerazioni: la convinzione che un Piano che ambisce a disegnare il futuro del nostro Paese non possa prescindere da un progetto dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti; la necessità di cogliere le opportunità offerte dal PNRR, concentrandosi sui miglioramenti ottenibili attraverso le due leve a disposizione del Piano, cioè le riforme e gli investimenti una tantum; il desiderio che, nelle prossime settimane, si apra un ampio confronto pubblico, nel corso del quale chi ha una risposta alla domanda “quale progetto potrebbe essere utile agli anziani non autosufficienti, e i loro familiari, nel PNRR?” la metta a disposizione delle istituzioni responsabili della sua stesura definitiva.

La proposta: 3 problemi da affrontare, 5 linee di intervento, 4 livelli di azione

Uno dei punti di forza del documento redatto dal Network (qui l’articolo di lancio) è il fatto di partire da un’analisi dello stato di fatto (le criticità attuali) e dall’identificazione di alcune priorità di intervento (le possibili risposte) ampiamente condivise nel mondo della non autosufficienza, nella ricerca così come nella pratica.

Come schematizzato nella figura 1, la proposta di riforma enuclea 3 problemi principali dell’attuale modello di assistenza alle persone anziane non più autosufficienti su cui appare urgente intervenire: la frammentazione delle risposte; una missione delle politiche pubbliche ancora incerta e, come tale, incapace di fare proprio in modo sistematico il paradigma del care e dell’approccio multidimensionale; lo storico sottofinanziamento dei servizi.

Per rispondere a questi problemi, il documento del NNA – consapevole che il piano di intervento europeo mette a disposizione risorse per riforme e investimenti una tantum e che quindi convenga partire dall’analisi di che cosa convenga realisticamente fare e non da quanto spendere – propone 5 linee di intervento dedicate, rispettivamente: alla costruzione di un “sistema di governance della conoscenza” (così da “raccogliere, elaborare e diffondere un insieme di conoscenze – coerente e metodologicamente rigoroso – in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti, che risulti uno strumento utile all’azione dei diversi soggetti coinvolti”); alla riforma del sistema di governance istituzionale (per dare vita a “un sistema multilivello di governance che ricomponga l’insieme di servizi e interventi rivolti alle persone non autosufficienti – afferenti a diverse filiere istituzionali – in un complesso unitario e coordinato di attività e processi”); alla promozione dell’accesso agli interventi (con l’obiettivo di “unificare i passaggi che anziani e famiglie debbono compiere per accedere alla rete degli interventi pubblici, con riferimento al primo contatto e alla valutazione iniziale della condizione di non autosufficienza”); alla riforma dei servizi domiciliari (con un investimento straordinario nei servizi domiciliari in Italia per accompagnarne la riforma complessiva, seguendo il paradigma del care multidimensionale); infine, alla riqualificazione delle strutture residenziali per assicurarne l’ammodernamento e rafforzarne la dotazione infrastrutturale, così da migliorare la qualità di vita degli anziani residenti e l’efficacia dell’intervento assistenziale. Ciascuna linea di intervento è corredata nella proposta avanzata dal NNA dall’identificazione degli attori da coinvolgere (quali proponenti o attuatori), degli obiettivi da perseguire, delle azioni da realizzare, con relativo cronoprogramma e una prima stima dei costi.

Come si può vedere dalla figura, delle 5 linee di intervento 4 mirano a ridurre la frammentazione delle risposte e l’incertezza dell’attuale missione delle politiche per la non autosufficienza, contribuendo in tal modo ad assicurare alle misure di Long Term Care (LTC) la coesione che oggi manca; il problema del ridotto finanziamento dei servizi, non meno importante e urgente, è affrontato da un minor numero di linee di azione (2) a causa dei vincoli posti dal PNRR.

Nel complesso, la strategia riformatrice proposta consentirebbe inoltre di agire su 4 diversi livelli di azione relativi alla diffusione del sapere (su cui interviene la linea di azione 1), all’assetto istituzionale (linea di azione 2), all’accesso al sistema locale (linea di azione 3), all’offerta di interventi (linee di azione 4 e 5).

 

Figura 1. La proposta del NNA: una sintesi (clicca sull’immagine per ingrandirla)

Una Call to Action e al confronto pubblico

La proposta del Network Non Autosufficienza – coerente con la richiesta della Commissione Europea di rafforzare il PNRR sul fronte delle riforme, mentre la versione attuale è ritenuta troppo focalizzata sui soli investimenti una tantum – vuole essere il primo passo per arrivare alla riforma del sistema di LTC ed è per questo aperta a raccogliere idee di miglioramento e proposte di modifica. L’auspicio dei proponenti è che nelle prossime settimane si avvii un vasto confronto pubblico (in linea con quanto proposto anche dal Forum Disuguaglianze Diversità) che valorizzi al meglio il patrimonio di esperienze e competenze esistente in questo ambito e provi a fare leva sul PNRR e le sue risorse per costruire anche in Italia un sistema di assistenza agli anziani non autosufficienti articolato e coerente con i bisogni di una popolazione che invecchia sempre più rapidamente.

Percorsi di secondo welfare – da tempo impegnata a occuparsi di invecchiamento e assistenza agli anziani (si veda in particolare la sezione dedicata al progetto InnovaCAre) – intende contribuire sia sul piano ideativo e progettuale alla definizione della proposta sia sotto il profilo comunicativo alla sua disseminazione e a dare conto del dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi fino all’approvazione del PNRR.

 

Qui è possibile scaricare la proposta completa di NNA

 

A questo link l’articolo pubblicato sul sito Percorsi di secondo welfare.

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