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Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

22/03/23 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Nella serata del 21 marzo è stato approvato alla Camera, dopo il via libera al Senato dello scorso 8 marzo, il Disegno di Legge Delega in materia di politiche in favore delle persone anziane.

Si tratta di un traguardo molto importante, fortemente voluto dalle 57 organizzazioni (tra cui Percorsi di secondo welfare) che costituiscono il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. Prima, queste realtà hanno lavorato insieme in questi ultimi due anni affinché, prima, la riforma dell’assistenza agli anziani venisse inserita nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR). Poi, si sono impegnate affinché venissero accolte dal Governo e dai Ministeri di riferimento le proposte volte a delineare una buona riforma per i milioni di italiani toccati a vario titolo dalla sfida dell’invecchiamento demografico.

Il testo ha accolto al suo interno numerose proposte “originali” del Patto e anche alcuni successivi emendamenti inviati alla Commissione Affari Sociali del Senato nel mese di febbraio. Vediamo quindi più nel dettaglio i contenuti della Legge Delega approvata, che è strutturata in 3 Capi e 9 articoli.

Principi, governance e programmazione

All’interno del Capo 1 dedicato ai principi generali e al sistema di coordinamento e programmazione interministeriale. Nello specifico l’articolo 1 fornisce le definizioni dei di Livelli essenziali delle prestazioni (LEPS), Livelli essenziali di assistenza (LEA), Ambiti territoriali sociali (ATS), Punti unici di accesso (PUA), i Piani individualizzati di assistenza integrata (PAI) e caregiver familiari rimandando per ognuno alla normativa di riferimento. L’articolo 2 definisce i principi generali (come riportati nella tabella 1) e prevede l’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (CIPE).

(…)

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Riforma non autosufficienza: i contenuti della Legge Delega approvata dal Parlamento

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Non autosufficienza, le proposte per cambiare la legge di Bilancio

13/12/22 - Redazione Secondo Welfare

Nel testo della Legge di Bilancio 2023 presentato dal Governo Meloni sono totalmente assenti interventi per gli anziani non autosufficienti, i loro familiari e gli operatori professionali che li assistono ogni giorno. È quanto segnala il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che parla di 10 milioni di persone dimenticate, per cui non è stata spesa neanche una riga della Manovra.

Le 52 organizzazioni che compongono la coalizione sociale del Patto – tra cui Percorsi di secondo welfare – hanno espresso sorpresa e preoccupazione per l’attuale testo della Legge di Bilancio, ma invece di limitarsi a protestare hanno optato per la presentazione di un dettagliato pacchetto di proposte da inserire subito nella manovra che è ora all’attenzione del Parlamento.

Il contesto di riferimento

Nel documento “Prime misure per gli anziani non autosufficienti. Per non sprecare il 2023” il Patto ricorda come, anche in seguito alle richieste e alla pressione fatte in tal senso, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza preveda la realizzazione della riforma dell’assistenza agli anziani. Proprio perché inserito nella cornice del PNRR, entro marzo 2023 il Parlamento dovrà approvare una Legge Delega del tema ed entro marzo 2024 il Governo dovrà predisporre i Decreti Delegati per l’attuazione della riforma.

Il testo di partenza è lo Schema di Disegno di Legge Delega approvato il 10 ottobre scorso dal Governo Draghi: numerose delle sue parti riprendono le proposte del Patto e le indicazioni suggerite per la Legge di Bilancio riguardano proprio alcuni aspetti della riforma già ben definiti e, quindi, immediatamente applicabili.

Metterli in pratica nel 2023 significherebbe pertanto evitare di sprecare il prossimo anno. Secondo il Patto, infatti, occorre cominciare a fornire subito migliori risposte ad anziani e famiglie e utilizzare il tempo che precede la riforma per iniziare ad indirizzare i territori nella sua direzione, dato che l’attuazione di una simile riforma è sempre ben più lunga e complicata di quanto si pensi.

La proposte del Patto per la Legge di Bilancio

Nello specifico, tenuto conto dei limiti imposti dalla crisi energetica e dall’inflazione, il Patto ha elaborato delle proposte facendo in modo di minimizzare l’impatto per le casse dello Stato. Lo si evince dalla limitata cifra di spesa aggiuntiva prevista, di circa 300 milioni di euro, e dall’utilizzo dei fondi del PNRR con una riconversione delle risorse. La scelta è stata quella di proporre un’azione compatibile con la situazione attuale della finanza pubblica e di iniziare ad avviare la progettualità traducendo in pratica alcuni benefici della riforma già chiaramente delineati. Le misure su cui investire sono tre, una per ognuno dei principali ambiti del settore.

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L’articolo originale, a cura della redazione di Percorsi di Secondo Welfare, è pubblicato a questa pagina:

Non autosufficienza: le proposte del Patto per cambiare la Legge di Bilancio

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Non autosufficienza, approvato il Ddl delega

11/10/22 - Redazione

Di Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso – Il 10 ottobre, il Governo Draghi – in occasione del suo ultimo Consiglio dei Ministri – ha approvato il testo del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale del settore della non autosufficienza. Una approvazione che dovrebbe così avviare l’iter della riforma, che prevede nell’autunno la seconda fase del procedimento legislativo: la discussione del Disegno di Legge Delega in Parlamento, che avrà tempo sino a primavera 2023 per portarlo a termine. Sono infatti questi i termini fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per realizzare “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”. Un traguardo atteso da trent’anni che, nel frattempo, è stato raggiunto in tutti i Paesi europei simili al nostro.

Non senza qualche intoppo, sembrano dunque essere stato recepito l’appello del Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza di non sprecare l’occasione. Ora che l’iter può dirsi dunque avviato, starà al Parlamento recepire le indicazioni contenute nel Manifesto del Patto, che indica le ragioni per cui è importante fare presto e le condizioni da rispettare affinché si possa realizzare una “buona riforma“. Un obiettivo non più rimandabile alla luce di una popolazione che vive più a lungo e che deve affrontare la sfida della progressiva perdita dell’autonomia fisica e cognitiva attraverso un sistema di tutela adeguato.

Di seguito – seppur brevemente – analizziamo l’importanza politica del Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri e i contenuti principali della possibile riforma che ora passa nelle mani del prossimo Governo e del nuovo Parlamento.

La non autosufficienza come priorità politica

La non autosufficienza, d’ora in avanti, si troverà al centro dell’agenda politica. La questione sociale dell’assistenza continuativa agli anziani non autosufficienti riguarda circa 10 milioni di individui: persone anziane e non autosufficienti, i loro familiari e chi le assiste professionalmente. La legislatura che si è appena conclusa ha finalmente – dopo trent’anni di immobilismo – restituito attenzione al tema, innescando un percorso di cambiamento. I requisiti imposti dal PNRR hanno spinto in questa direzione poiché il Piano prevede esplicitamente una riforma che introduca anche in Italia “un sistema organico di assistenza agli anziani non autosufficienti”.

La brusca conclusione della legislatura ha rischiato di vanificare gli sforzi intrapresi nel 2021 e 2022. Ora con l’approvazione del DDL il processo è ripartito ma resta la sfida: non solo approvare la riforma ma raggiungere, come detto, una “buona riforma”. È insomma giunto il momento che la riforma – di cui studiosi e operatori discutono da molti anni prendendo ad esempio esperienze e soluzioni adottate da numerosi altri Paesi europei – porti un cambiamento paradigmatico, profondo, del settore della Long Term Care.

Anche se il PNRR obbliga a fare la riforma, non è infatti detto che si giunga a esito positivo. Starà al Governo che si insedierà a breve prendere la bozza di proposta, presentata oggi sotto forma di Disegno di Legge Delega, e compiere i passi decisivi per arrivare a una buona riforma, che contenga le risposte necessarie per migliorare la condizione di vita delle persone in condizioni di non autosufficienza. L’ambizione deve essere quella di arrivare ad una riforma strutturale, che non si accontenti di piccoli passi “incrementali”.

I contenuti del Disegno di Legge Delega

 La Legge Delega sulla non autosufficienza si occupa di anziani, ovvero le persone al compimento del 65esimo anno di età, indipendentemente dal fatto di essere ancora occupati. La proposta richiede al Parlamento di conferire all’Esecutivo il compito di disciplinare, tramite decreti legislativi in materia di politiche per l’invecchiamento attivo, la promozione dell’autonomia, la prevenzione delle fragilità, l’assistenza e la cura delle persone anziane (anche non autosufficienti).

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L’articolo originale, firmato da Franca Maino e Celestina Valeria De Tommaso, è pubblicato a questa pagina:

Non autosufficienza: approvato il DDL Delega. Un passo avanti importante verso la riforma

 

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I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Di Celestina Valeria De Tommaso – In Europa, le politiche di assistenza continuativa agli anziani – in inglese Long Term Care (LTC) – sono tra le meno strutturate tra gli interventi di welfare (in confronto, ad esempio, alle politiche pensionistiche o del mercato del lavoro). I confini tra le competenze e i ruoli attribuiti alla sfera sociale e sanitaria sono spesso labili e sovrapposti, sia nell’erogazione dei servizi che nel design delle misure.

Il risultato sono sistemi di LTC caratterizzati – in molti Paesi europei – da alta frammentarietà e inefficienza dei servizi, unitamente ad uno scarso investimento pubblico dedicato, specificamente, ai bisogni della non autosufficienza.

La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione i sistemi di protezione sociale in tutta Europa e, al contempo, ha evidenziato i limiti – già esistenti – dei sistemi di LTC. Ora più che mai, il tema ha raggiunto le agende di policy nazionali. Il prof. Emmanuele Pavolini ha recentemente curato un rapporto per l’European Social Policy Network dal titolo “Long-term care social protection models in the EU”, in cui illustra le sfide e gli sviluppi del settore, proponendo una nuova classificazione dei sistemi di LTC in Europa. Ve ne parliamo in questo articolo.

Il “trilemma” della Long Term Care

Secondo il Rapporto, i Paesi europei devono fronteggiare il c.d. “trilemma della Long Term Care”.

Il primo punto del trilemma è come garantire la più estesa copertura dei potenziali bisogni di LTC attraverso l’erogazione di servizi di welfare formale (ad esclusione, dunque, del mercato sommerso). Raggiungere la più ampia copertura dei bisogni è una sfida ineludibile per i sistemi di protezione sociale contemporanei. La copertura dei servizi di Long Term Care, inoltre, è spesso misurata in relazione alla percentuale degli individui che beneficiano delle prestazioni di welfare, ma non in termini di intensità di tali servizi (ad esempio, il numero di ore fornite ai beneficiari). E quest’ultimo punto è sempre più centrale in merito alla strategia dell’ageing in place (letteralmente, invecchiamento sul posto), basata sull’assistenza alle persone non autosufficienti o fragili a casa loro, piuttosto che in strutture di assistenza residenziale o ospedaliera.

Il secondo punto riguarda i caregiver familiari informali – perlopiù donne – e gli strumenti che le politiche di LTC devono mettere in campo per evitare che gli oneri di cura cadano prevalentemente sulle loro spalle. Il sostegno inadeguato ai caregiver informali favorisce, da un lato, la loro uscita precoce dal mercato del lavoro (o situazioni di part-time involontario, con conseguente riduzione dell’orario di lavoro), dall’altro il “burn out” psicologico di queste persone, con potenziali conseguenze sulla loro salute e sul loro benessere.

Il terzo punto è l’aumento della spesa pubblica, in un momento in cui i bilanci sono già sotto pressione e faticano ad essere ampliati. Quello della non autosufficienza, tuttavia, è un problema che non può essere evitato. Nei prossimi anni, la spesa per la LTC aumenterà a causa, ad esempio, del progressivo invecchiamento della popolazione.

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Come ripensare i modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

 

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La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

27/09/22 - Redazione

Nel 2019 la spesa per i servizi sociali dei Comuni in Italia è stata pari allo 0,42% del PIL, arrivando a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media). Grandi sono le differenze territoriali che non sembrano però seguire un pattern Nord-Sud: la spesa sociale provinciale per abitante dei Comuni singoli e associati al netto della compartecipazione degli utenti e del SSN è stata di 583 euro per la provincia di Bolzano e solo 6 per quella Vibo Valentia.

Le analisi relative al 2019 indicano un trend di spesa leggermente positivo, al netto delle compartecipazioni, pari a +0,48%, che passa così da 7,472 a 7,508 miliardi di euro (+35,9 milioni). Si tratta di un valore inferiore al tasso di inflazione. È una spesa peraltro che è sostanzialmente analoga a quella reale di 10 anni prima, nonostante i fenomeni di incremento della domanda sociale, con persistenti marcate divergenze regionali ed anche infra-regionali. Tale trend non è omogeneo sul territorio italiano, anzi, ci sono territori che retrocedono. In 42 aree provinciali si infatti è registrato un decremento della spesa sociale.

Le aree di intervento che assorbono la maggior parte della spesa sociale sono tre: Famiglia e minori, Disabili e Anziani. Nel 2018 per la prima si sono spesi circa 2,8 miliardi euro, pari al 37,9% della spesa dei Comuni; per la seconda circa 2 miliardi, pari al 26,8%; per la terza circa 1,3 miliardi, pari al 17,2%. Le spese per l’assistenza domiciliare risultano modeste: meno della metà di quella complessiva investita per l’area anziani e meno di 1/6 per l’area disabili.

Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto “I servizi sociali territoriali: una analisi per territorio provinciale”, redatto dall’Osservatorio Nazionale sui Servizi Sociali Territoriali del CNEL realizzato in collaborazione con ISTAT sul database informativo 2018 e i trend di spesa 2019. Le analisi sono state svolte dal gruppo di lavoro composto dai consiglieri CNEL Gianmaria Gazzi, Alessandro Geria (coordinatori), Giordana Pallone, Cecilia Tomassini ed Efisio Espa, dal prof. Emanuele Padovani dell’Università di Bologna coadiuvato dal dott. Matteo Bocchino di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Aziendali, e dalla dott.ssa Giulia Milan di ISTAT.

Presentando la ricerca, Geria e Gazzi hanno spiegato come siano necessario “portare a compimento con urgenza il processo di definizione normativa di tutti i livelli essenziali (LEPS) previsto nelle due ultime Leggi di Bilancio, e definirne di ulteriori per minorenni e ragazzi”. Inoltre “le evidenze relative alla rete dei servizi socio-sanitari per gli anziani e tutti gli altri soggetti fragili e non autosufficienti che emergono dal Rapporto attestano la necessità di approvare la riforma organica di sistema dell’assistenza di lungo periodo, attesa da un ventennio e ora prevista dal PNRR per la primavera 2023”.

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La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

 

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Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

4/04/22 - Redazione

“Il presente e il futuro del settore della Long Term Care: cantieri aperti” è il titolo del 4° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care (OLTC) di Cergas SDA Bocconi, che riparte nel 2021 là dove si era chiuso nel 2020: la pandemia ha offerto un grande punto di ripartenza per il settore, ma il cambiamento auspicato è da costruire attraverso dei “cantieri di lavoro”. Il Rapporto indaga infatti i cantieri aperti nel settore LTC attraverso tre lenti:

  • la lettura dei dati e delle caratteristiche della popolazione di riferimento, integrando le fonti ufficiali con una analisi sulle percezioni delle famiglie in modo da dare voce ai diretti destinatari;
  • la mappatura di iniziative di innovazione nate dal basso, dai gestori;
  • le condizioni organizzative per il cambiamento, con un focus particolare sul tema del personale.

In questo modo il Rapporto indaga esperienze concrete di cambiamento ponendosi la domanda di come portare questi “cantieri” dal livello locale al settore Long Term Care a livello nazionale.

La fotografia aggiornata del settore di assistenza agli anziani in Italia

In continuità con il passato, il Rapporto propone un aggiornamento dei dati relativi alle principali componenti del settore socio-sanitario italiano: il fabbisogno, la rete di welfare pubblico, il posizionamento strategico dei gestori dei servizi.

Questa edizione beneficia di un importante aggiornamento di dati Istat sulle condizioni di salute della popolazione anziana, che permettono una più approfondita profilazione degli over65 e dei relativi bisogni lungo tre direttrici: lo stato di salute, la gestione della vita quotidiana, la non autosufficienza.

Con riferimento allo stato di salute, la rilevazione conferma la crescente complessità del quadro epidemiologico degli anziani, che si manifesta con intensità molto differenziate tra regioni del Nord e Sud Italia, certificando un contesto a due velocità.

Rispetto alla vita quotidiana, alcuni dati suonano come un campanello di allarme: 1,5 milioni di over65 dichiarano di avere gravi difficoltà nella cura della persona, 3,7 milioni nella cura della casa, 4,2 milioni nella gestione autonoma degli spostamenti. È essenziale tenere presente questi dati nella progettazione di servizi per scongiurare il rischio che il domicilio divenga una trappola.Terzo, i nuovi indicatori della diffusione di gravi limitazioni portano a una stima aggiornata della popolazione non autosufficiente pari a 3,8 milioni di persone, in forte crescita rispetto al passato perché – a differenza del passato – i nuovi dati Istat considerano anche le gravi limitazioni cognitive, includendo quindi il mondo disturbi cognitivi e demenze.

Questo fa crollare il tasso di copertura del bisogno della rete di welfare pubblico, che scende a 7,2% per servizi residenziali socio-sanitari, 0,7% per il diurno e 22% per l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che tuttavia mediamente offre 15 ore di assistenza annue per anziano in carico.Di fronte a questi numeri, la rete di welfare pubblico appare più che mai insufficiente a dare una risposta completa al bisogno sul territorio, richiedendo nuove modalità di intervento. A livello trasversale, tutti gli indicatori considerati per ciascuna dimensione di analisi precedentemente descritta fanno emergere un forte tema di equità e appropriatezza complessiva del sistema, poiché donne, soggetti con livelli di istruzione e redditi più bassi risultano stare peggio.

I gestori dei servizi si confermano fortemente ancorati al mercato dell’accreditamento pubblico, lontani dal voler adottare il rischio imprenditoriale necessario per affacciarsi all’enorme quota di bisogno presente sul territorio. Parte di questa reticenza è oggi spiegata dal forte impatto della pandemia sugli equilibri economico-finanziari dei gestori: i dati di fatturato 2020 segnano, a livello di soggetti aderenti a OLTC, un –6,2% rispetto ai livelli 2019.

I dati economici 2021 mostrano una generale ripresa, ma i provider riportano persistenti difficoltà nella gestione del personale, nell’affrontare il continuo cambiamento di regole amministrative e operative e la gestione delle richieste rendicontative e dei controlli.

Cosa pensano le famiglie italiane della non autosufficienza?

Dopo aver analizzato la rete di welfare pubblico e i gestori, anche in questa edizione è stata portata la prospettiva diretta delle famiglie, con un’indagine che per la prima volta ha raggiunto soggetti più giovani (età media 37 anni) per tracciare la percezione del rischio di non autosufficienza e il rapporto con i servizi.

Le risposte dei 508 cittadini coinvolti mostrano importanti elementi di discontinuità rispetto al passato: il 54% dei rispondenti si dichiara infatti pronto a adottare comportamenti di prevenzione e ad organizzarsi in anticipo rispetto al rischio di non autosufficienza.

Tuttavia, identificano come punti di riferimento per attrezzarsi in tal senso solo il mondo sanità e il passaparola, e non i gestori del socio-sanitario. I gestori devono quindi chiedersi come rendersi riconoscibili all’enorme platea di soggetti, anziani e non solo, che potrebbero avere bisogni legati alla non autosufficienza e costruirsi uno spazio di mercato per il futuro ed evitare di rivestire un ruolo marginale.

In attesa di arrivare ai servizi, si conferma la centralità del ricorso alla badante nel nostro sistema: nel 2020 queste erano 1.094.000. Questo dato, abbinato alle performance del sistema di welfare, rende urgente pensare a come integrare badanti nel sistema dei servizi, anche perché gli investimenti sul fronte domiciliare previsti dal PNRR andranno ad impattare indirettamente anche sulle badanti, le vere protagoniste della gestione domiciliare.

Quali innovazioni stanno promuovendo i gestori dei servizi per anziani?

Il Rapporto raccoglie 24 casi di successo e innovazione. Questi rappresentano quattro diversi cantieri aperti che stanno attraversando il settore socio-sanitario e danno segnali interessanti e incoraggianti rispetto ai cambiamenti in corso. I cantieri individuati presentano innovazioni volte a:

  • Rafforzare le organizzazioni (8 casi): i gestori stanno lavorando sul tema della formazione, della cultura aziendale, dei sistemi informativi per supportare i processi interni. Tutti segnali di investimento sulla managerializzazione in risposta alla crisi Covid-19.
  • Portare più tecnologia nella cura (6 casi): app, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di intelligenza artificiale a servizio della qualità della cura.
  • Lavorare sulla presa in carico di Demenze e Alzheimer (4 casi): nuove modalità per rispondere alle esigenze delle famiglie e migliorare il coordinamento tra professionisti.
  • Sviluppare nuovi modelli di servizio (6 casi), in particolare per scardinare il modello di RSA tradizionale e superarne i limiti.

Rispetto all’implementazione di queste soluzioni i gestori indicano come primo fattore critico di successo (64% dei rispondenti) la presenza di competente interne seguito dalla possibilità di avere a disposizione dati e sistemi di monitoraggio (56% delle risposte). Personale e sistemi informativi si confermano quindi un nodo critico per il settore.

Cosa sta accadendo sul fronte personale assistenziale?

Il 100% dei gestori che partecipano all’Osservatorio Long Term Care riportano di vivere una situazione critica nella gestione del personale. In termini di professionalità coinvolte, tutti segnalano difficoltà rispetto agli infermieri, il 90% rispetto al personale medico e il 10% con riferimento a operatori socio sanitari (OSS) e altre figure.

Questa difficoltà ha come prima causa la carenza di personale a livello italiano (94% dei rispondenti). I rispondenti alla survey dichiarano infatti che nei loro servizi mancano all’appello il 26% degli infermieri, il 18% dei medici, il 13% degli OSS. Allo shortage di personale si aggiunge la scarsa motivazione del personale già arruolato (indicata dal 56% dei rispondenti) e il burn out (38%).

A questo si aggiunge la forte competizione tra settore sanitario e socio-sanitario nell’attrarre le nuove leve, che contribuisce a esacerbare il quadro attuale.

La situazione, aggravata dal Covid-19, è tale da mettere in allerta il settore.

Quali priorità per il futuro?

I risultati delle attività di ricerca offrono alcuni spunti circa le traiettorie di lavoro per il futuro del settore socio-sanitario.

In un periodo di grandi cambiamenti e investimenti, PNRR su tutti, il settore anziani non dovrebbe essere dimenticato e dovrebbe esso stesso essere riconosciuto come priorità di investimenti. A livello di sistema, gli investimenti pubblici dovrebbero essere orientati per creare maggiore unitarietà e coordinamento, definendo un soggetto che possa fare da regia per i diversi interventi, e per creare un sistema informativo unitario e sempre aggiornato a supporto delle decisioni. Rispetto allo sviluppo dei servizi è necessario uscire da una visione retorica dell’assistenza domiciliare, che non può essere considerata a priori la soluzione ottimale per tutti, e promuovere una maggiore integrazione con il mondo del badantato.

Per affrontare la crisi di personale servono investimenti di sistema (sul sistema universitario e sulla formazione), aziendali (migliore gestione delle risorse umane) e una rivisitazione dei servizi per modificare i mix professionali richiesti. I gestori devono fare rete tra loro per rinforzare la loro visibilità, avere maggior capacità di diffondere le innovazioni in modo strutturale, e affrontare la tematica personale con una logica di comparto e non concorrenziale.

In sintesi, nessuno è in grado di affrontare da solo le sfide che oggi attraversano il settore LTC: la collaborazione non è quindi una scelta, quanto una questione di sopravvivenza.

Di Giovanni Fosti, Elisabetta Notarnicola, Eleonora Perobelli

Pubblicato il 22 marzo 2022 sul sito del laboratorio Percorsi di secondo welfare a questo link:

Cantieri aperti: presente e futuro del settore Long Term Care in Italia

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“Una riforma per proteggere gli anziani”

1/09/21 - Redazione

“Una riforma per proteggere gli anziani”

di Roberto Bernabei, Francesco Landi e Graziano Onder (da Repubblica Salute, anno 3 n. 8, 26 agosto 2021)

“In Italia ci sono oltre 3.400 Rsa (o strutture residenziali per assistenza socio sanitaria alle persone non autosufficienti, come sarebbe più corretto chiamarle, che ospitano ogni anno circa 290 mila anziani. L’assistenza in queste strutture rientra tra le prestazioni essenziali che sono garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nonostante ciò, il settore Rsa in Italia è meno sviluppato rispetto a quanto non lo sia in altri Paesi europei: basti pensare che nel nostro la disponibilità di posti letto è pari a circa il 2% della popolazione ultrasessantacinquenne, contro il 5% in Francia o in Germania.

L’epidemia di Covid-19 ha messo a nudo la fragilità di queste strutture. I rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno mostrato come nella prima fase epidemica le Rsa fossero spesso prive di dispositivi di protezione individuale, avessero personale insufficiente e scarsamente formato, non fossero adeguatamente collegate con gli ospedali. A causa dell’epidemia Covid-19, nel marzo-aprile 2020 il numero di decessi nelle Rsa è più che raddoppiato rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Una tragedia ben nota ed evidenziata dai media.

Queste criticità, osservate peraltro anche in altri paesi europei e nord americani, hanno portato a un progressivo allontanamento degli anziani da queste strutture (fino al 25% dei posti letto nelle strutture non sono occupati) con un conseguente importante danno economico al settore, in gran parte privato in cui lavorano circa 200 mila persone.

Se le scelte future in tema di politiche sanitarie devono essere guidate dalle lezioni imparate dall’epidemia Covid-19, appare prioritario riformare il settore delle Rsa, che più degli altri ha rilevato criticità negli ultimi mesi (…)”. Per proseguire la lettura dell’articolo “Una riforma per proteggere gli anziani”, da Repubblica Salute del 26 agosto 2021, cliccare qui.

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A Firenze si è tenuto il convegno “Oltre la Rsa”

5/07/21 - Redazione

Una riflessione a 360 gradi su come è necessario riorganizzare l’intero sistema dell’assistenza alle persone anziane e non autosufficienti, anche sulla base dell’esperienza indotta dalla pandemia. È stato questo il motivo conduttore di “Oltre la Rsa. Verso una long term care inclusiva”, giornata di studio e di confronto fra esperti, istituzioni e gestori di Rsa e centri diurni organizzata a Firenze, all’auditorium di Sant’Apollonia, dalla Fondazione Filippo Turati Onlus, dalla Scuola superiore di Scienze dell’educazione “Don Bosco” di Firenze affiliata all’Università Pontificia Salesiana e dall’Arat, Associazione delle residenze per anziani della Toscana, con il contributo di Assiteca, primario broker assicurativo, della Fondazione CR Firenze e di Sara Assicurazioni.

Le relazioni iniziali di tre esperti, il professor Vincenzo Maria Saraceni (presidente del Comitato scientifico della Turati e docente universitario), la professoressa Franca Maino dell’Università statale di Milano e il professor Luca Gori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, hanno evidenziato come il sistema della cura delle persone anziane in Italia sia fortemente squilibrato. Siamo in Europa uno degli ultimi Paesi per quanto riguarda l’assistenza domiciliare e anche per quanto attiene ai posti residenziali in strutture per le persone più fragili e i malati cronici. Da qui la necessità, non più procrastinabile, di rivedere l’intero sistema organizzandolo secondo un continuum assistenziale che parta dalla presa in carico, a casa, della persona anziana bisognosa di assistenza, dal potenziamento dei centri diurni e degli alloggi protetti fino al ricovero in Rsa quando le condizioni sociali e/o sanitarie lo rendano indispensabile.

«Serve – ha detto aprendo i lavori il presidente della Turati, Nicola Cariglia – un’assistenza continuativa sul territorio, in grado di generare scambi virtuosi tra residenzialità e domiciliarità. Perchédomiciliarità e Rsa non sono modelli alternativi ma devono coesistere ed essere entrambi oggetto di investimenti e innovazione».

Su questo filo conduttore si è sviluppato l’intero convegno che ha visto anche gli interventi del presidente della Regione Eugenio Giani, dell’assessore al Welfare del Comune di Firenze Sara Funaro e dell’assessore regionale al Sociale Serena Spinelli che hanno riconosciuto la necessità, fortemente sostenuta dalle associazioni di gestori delle Rsa, di governare il Sistema sanitario regionale e nazionale secondo una visione d’insieme che riconosca e valorizzi il ruolo dei vari attori, pubblici privati,e faccia crescere il sistema complessivo dell’assistenza allargando il campo delle risposte.

Momenti centrali della giornata, la tavola rotonda sull’organizzazione, la qualità e la sicurezza dei servizi sociosanitari nel post pandemia con la partecipazione delle associazioni di settore e dunque i presidenti nazionali di Anaste (Associazione nazionale strutture terza età), Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) e Ansdipp (Associazione dei manager del sociale e del socio-sanitario), e gli interventi del professor Leonardo Palombi e di monsignor Vincenzo Paglia, rispettivamente segretario e presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria della popolazione anziana.

Massimo Mattei, Franco Massi, Sebastiano Capurso e Padre Virginio Bebber, in rappresentanza delle principali associazioni di gestori di Rsa, hanno difeso a spada tratta il lavoro fatto, soprattutto durante la pandemia, e hanno tenuto ad evidenziare come le residenze siano state lasciate sole a contrastare l’azione del virus sulla parte più fragile della popolazione. Un’azione resa ancora più difficile dalle massicce assunzioni di personale infermieristico e Oss fatta dalle Asl. Nonostante questo, e contrariamente a quanto detto in alcune circostanze, le Rsa hanno contribuito a “difendere” gli anziani fragili. «È il virus – ha detto Paolo Moneti, vicepresidente nazionale di Anaste – che ha causato la morte di tante persone, non il luogo, e questo è tanto vero che i morti a casa e negli ospedali sono stati molto maggiori».

Dal canto loro sia Palombi che Paglia hanno sottolineato come il progressivo invecchiamento della popolazione e il corrispondente calo delle nascite stiano cambiando la struttura di fondo della società italiana e come questo imponga la necessità di riformulare dalle fondamenta il tema dell’assistenza agli anziani che non può più avere solo nelle Rsa l’unica risposta. Da qui l’esigenza di potenziare l’assistenza domiciliare, i centri diurni e la residenzialità protetta sulla falsariga di quanto già avviene negli altri Paesi europei. «Si tratta in definitiva non di togliere qualcosa dell’esistente – ha tenuto a precisare monsignor Paglia – ma di aggiungere risorse a quanto già viene fatto».

Al convegno ha inviato un messaggio il ministro della Salute, Roberto Speranza, sottolineando come oggi ci troviamo «a ripensare il nostro sistema di assistenza – ha scritto – partendo dall’esigenza di tutelare i più fragili, i nostri anziani, investendo sui servizi territoriali e sulla prossimità socio-sanitaria». La giornata ha rappresentato una prima occasione di confronto fra istituzioni, autorità sanitarie e soggetti pubblici e privati che si occupano di assistenza alle persone anziane. Sia monsignor Paglia che gli organizzatori hanno infatti convenuto sull’importanza e la necessità di lavorare insieme per dare le migliori risposte possibili alla necessità di adeguare la sanità italiana alle nuove emergenze messe in luce sia dai cambiamenti demografici sia dalla pandemia.

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Franca Maino: «Assistenza agli anziani, la sfida ora è una riforma»

28/06/21 - Giulia Gonfiantini

La pandemia ha contribuito ad accrescere l’attenzione attorno al tema dell’assistenza agli anziani, fortemente colpiti dall’emergenza, e alcune delle proposte provenienti dai principali soggetti impegnati nel settore hanno trovato spazio all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per Franca Maino, direttrice del laboratorio Percorsi di secondo welfare e docente presso il dipartimento di Scienze sociali e politiche all’università degli studi di Milano, questo è il momento di guardare a una riorganizzazione organica dell’intero ambito. «Nei giorni scorsi abbiamo avuto un riscontro positivo dall’Unione europea, che ha approvato il nostro Pnrr – dice – e adesso siamo pronti a partire. Non abbiamo più scuse: il piano è ambizioso e in particolare per quanto riguarda gli anziani ora si tratta di pensare a come attuarlo. La sfida, da qui al 2023, è mettere in cantiere una riforma che l’Italia attende da troppo tempo e che possa colmare la distanza che ci separa da quei Paesi che da decenni hanno investito in questo ambito». Per Maino, assistenza domiciliare e residenze socio-assistenziali non costituiscono due alternative, bensì debbono essere ripensate in modo da rendere possibili – grazie soprattutto a investimenti e innovazione – «scambi virtuosi» tra i due modelli.

Il nostro welfare è da tempo di fronte a sfide importanti legate all’invecchiamento della popolazione e alla crescita delle disuguaglianze. Che effetti ha avuto la pandemia su tutto questo?

«L’impatto della pandemia sugli anziani è stato importante e dalle conseguenze pesanti: sono stati tra i soggetti più colpiti, sia che si trovassero all’interno di residenze sia che vivessero al proprio domicilio. Anche quelli in condizioni di maggiore autonomia hanno subìto conseguenze dalla situazione generale, che al di là delle implicazioni sanitarie ha rimesso in discussione la socialità e la possibilità di vivere in un contesto sociale aperto. L’emergenza però ha avuto almeno un merito: ha contribuito a puntare i riflettori su un ambito di politica pubblica poco presidiato dal nostro sistema di welfare: l’assistenza continuativa alla popolazione anziana, settore tra i più carenti nel fornire risorse, coperture, risposte, servizi e presa in carico di soggetti fragili in condizione di non autosufficienza».

Dunque, è cambiata la percezione politica del problema?

«Direi di sì. Nel dibattito e tra gli addetti ai lavori è cresciuta l’attenzione verso i bisogni di questa fascia di popolazione e ora la questione ha uno spazio e una visibilità notevoli. Un esempio è il Piano nazionale di ripresa e resilienza attraverso il quale il governo ha stanziato risorse e si è impegnato a ripensare un settore di policy che in passato ha avuto scarsa considerazione. Negli ultimi 20 anni si sono succeduti diversi progetti di riforma per la tutela degli anziani non autosufficienti, ma nessuno di questi è arrivato in fondo. Il fatto che il governo abbia raccolto tale sfida è frutto di una grande sollecitazione alla quale ha contribuito molto il lavoro del Network Non Autosufficienza (rete composta dai principali attori che da tempo si occupano di questo ambito, nda), che a gennaio ha avanzato una prima idea di riforma affinché il tema entrasse nel Pnrr e che ha fatto sì che, grazie all’interlocuzione con il governo, almeno una parte di quelle proposte, sebbene in maniera non organica, venisse accolta».

Come mai le passate proposte di riforma non sono mai approdate alla fase effettiva?

«Da un lato perché altri problemi, come quelli della povertà, della denatalità e della conciliazione, hanno catturato l’attenzione dei decisori. In secondo luogo, perché resiste l’idea che il comparto anziani sia già presidiato attraverso la previdenza. Ma la copertura previdenziale in realtà non sopperisce ai bisogni di cura e assistenza che la perdita dell’autosufficienza porta con sé. Questo approccio ‘tradizionale’ che considera le pensioni sufficienti ad affrontare la questione dell’anzianità ha quindi in parte condizionato la volontà di investire in tale ambito. Inoltre, il problema sta anche nel nostro sistema socio-assistenziale, altamente frammentato: a livello nazionale l’indennità di accompagnamento ha in parte tamponato la situazione, ma tutto il resto è lasciato all’iniziativa di Regioni ed enti locali e ciò non ha contribuito a far entrare il tema nell’agenda di governo prima degli ultimi mesi».

Si parla molto di riformulare la medicina del territorio, qual è il suo punto di vista?

«È importante favorire un investimento più capillare sui territori che consenta di interpretare meglio i bisogni per rispondervi in modo più efficace. Questo, però, è possibile solo a patto che ci sia a monte un forte coordinamento: investire sulla medicina territoriale non significa che ognuno può seguire un proprio modello, bensì è necessaria una cornice più ampia e generale, capace di permettere di governare il cambiamento in corso. E anche di valorizzare il contributo proveniente, oltre che dalle istituzioni pubbliche, dai soggetti privati. Per guardare lontano è infatti fondamentale investire non solo sui servizi ma anche sull’innovazione di processo e su modelli di governance multiattore».

In questo contesto quale potrebbe essere secondo lei il ruolo delle Rsa?

«La pandemia ha messo a nudo non solo tutti i problemi della long term care, ma anche le criticità legate all’approccio alla residenzialità. Nel nostro Paese ci sono meno strutture di quelle di cui ci sarebbe bisogno, perciò il punto non può essere semplicemente ricondurre l’assistenza agli anziani nell’ambito della domiciliarità. Quest’ultima è importante, ma non costituisce sempre un’alternativa alle Rsa e non risolve certo tutti i problemi: l’allungamento della vita media, infatti, comporta una crescita del numero di soggetti non autosufficienti che da un certo punto in poi necessitano di una presa in carico complessiva, e in molti casi questa non è attuabile esclusivamente al loro domicilio».

Come può essere ripensato, dunque, il modello di assistenza dentro le residenze?

«In questo ambito c’è grande spazio per innovare. Ad esempio, con forme di residenzialità più leggera, capaci di integrarsi maggiormente con i servizi territoriali e che al contempo risultino più accoglienti rispetto ai bisogni di una popolazione che oggi quando entra in Rsa appare ‘compromessa’, ma che in futuro non necessariamente lo dovrà essere. Accanto a strutture dedicate a situazioni di totale non autosufficienza, dobbiamo quindi immaginare sistemi di assistenza continuativa posti in stretto dialogo con il territorio, in grado di generare scambi virtuosi tra residenzialità e domiciliarità».

Il Pnrr offre un buon punto di partenza?

«Per fare quanto sopra descritto servono risorse: il Pnrr inizia a stanziarle e indica l’assistenza continuativa agli anziani quale ambito prioritario di riforma. Tuttavia, sottostima la sfida che attende il Paese. Domiciliarità e istituzionalizzazione non sono modelli alternativi: devono coesistere ed essere entrambi oggetto di investimenti e innovazione e anzi, come dicevo, oggi il nostro Paese è carente proprio sul fronte della residenzialità. Guardando al futuro è inoltre necessario considerare il crescente numero di anziani soli e per questo ulteriormente a rischio fragilità».

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Appello al Governo

23/04/21 - Redazione Secondo Welfare

Una semplificazione dei percorsi per accedere agli interventi pubblici in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti; un’ampia riforma dei servizi domiciliari; un investimento straordinario per migliorare le strutture residenziali del nostro Paese. Il tutto grazie ad uno stanziamento di 7,5 miliardi di euro per il periodo 2022-2026. È quanto prevede la proposta elaborata dal Network Non Autosufficienza (NNA) che i primi promotori – Alzheimer Uniti, Aima, Caritas, Cittadinanzattiva, Confederazione Parkinson Italia, Federazione Alzheimer Italia, Forum Disuguaglianze Diversità, Forum Nazionale Terzo Settore, La Bottega del Possibile – e le numerose organizzazioni e sigle che hanno deciso di sostenerla – tra cui Percorsi di secondo welfare – chiedono al Governo di inserire come progetto nel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

L’appello a Draghi, Orlando e Speranza

I dati su età e profili di fragilità delle persone decedute a causa del Covid-19 indicano che i più colpiti dall’emergenza sanitari sono gli anziani non autosufficienti. E le grandi difficoltà incontrate dal sistema socio-sanitario pubblico nell’affrontare la pandemia confermano le criticità di fondo che – da tempo – lo affliggono. Per questa ragione le organizzazioni promotrici della proposta di NNA hanno scritto una lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi, al Ministro delle Politiche Sociali Andrea Orlando e al Ministro della Salute Roberto Speranza sottolineando che “sarebbe paradossale che un Piano nato per rispondere a una tragedia come il Covid dimenticasse proprio coloro che ne hanno pagato il prezzo maggiore“. E in questo senso “l’ampia e significativa platea di soggetti della società che, in varia misura, sostengono tale proposta, testimonia un comune sentire circa l’urgenza di intraprendere un percorso di riforma per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel nostro Paese”. Per questo, “la proposta del Network Non Autosufficienza è dunque un’occasione da non perdere“.

I contenuti della proposta

La proposta di NNA, che Secondo Welfare ha analizzata nel dettaglio qui, in sintesi prevede:

  1. la semplificazione dei percorsi per accedere agli interventi pubblici, affinché si ricomponga l’attuale caotica molteplicità di enti, sedi e procedure differenti;
  2. un’ampia riforma dei servizi domiciliari, perché rispondano alle varie problematicità legate alla non autosufficienza e diventino un effettivo punto di riferimento per le famiglie e, in particolare, per i caregiver;
  3. un investimento straordinario per migliorare quelle strutture residenziali che necessitano di essere ammodernate e riqualificate, come hanno dimostrato le vicende della pandemia.

Dato che si delinea un’azione riformatrice di sistema, gli interventi menzionati sono accompagnati da un pacchetto di azioni trasversali quali il rafforzamento della collaborazione tra Stato, Regioni e Comuni, l’introduzione di un sistema nazionale di monitoraggio, sinora assente, e un piano straordinario di formazione.

Per realizzare la proposta NNA stima uno stanziamento necessario di circa 7,5 miliardi per il periodo 2022-2026, 5 dei quali dedicati ai servizi domiciliari, e la cui titolarità dovrebbe essere condivisa tra il Ministero della Salute e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali. “Non si può infatti procedere ad una riforma” spiega ancora la lettera “senza operare finalmente una stretta interconnessione tra sociale e sanitario, per puntare a risposte integrate, cioè fondate su uno sguardo complessivo sulle condizioni degli anziani. Ma se non sono i Ministeri nazionali i primi a farlo, chiederlo agli enti locali è impossibile”.


L’importanza del momento

Quella proposta da NNA è nei fatti una riforma storica ma che potrebbe diventare tale solo se l’Esecutivo avrà il coraggio di inserirla nel PNRR. A pochi giorni dalla presentazione del documento a Bruxelles, infatti, è cruciale che il Governo tenga fede alla volontà espressa nelle scorse settimane di impegnarsi su questo fronte, accogliendo quindi le richieste che gli sono state fatte.

Come ricordava la direttrice di Secondo Welfare Franca Maino su Corriere Buone Notizie, “il futuro del nostro Paese non può prescindere da un progetto dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti facendo leva sulle possibilità di riforma e sugli investimenti una tantum offerti dal PNRR, incanalando idee e proposte verso le istituzioni responsabili della sua stesura definitiva. Non possiamo perdere questa opportunità“.

Una opportunità che, come ricordava anche Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, permetterebbe di sostenere gli anziani ma anche di investire su donne e infanzia. Esiste infatti un “nesso fra politiche a sostegno della non autosufficienza e generazioni future che sta nell’alleggerimento dei carichi familiari per le donne e nell’espansione dell’occupazione, auspicabilmente anche sui tassi di natalità“. È davvero un’occasione che non possiamo lasciarci scappare e che auspichiamo sia colta dal Governo.

 

Leggi su Percorsi di Secondo Welfare.

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