Ci sono voluti i contagiati ed morti da coronavirus 19 all’interno delle case riposo per riportare sotto le luci della ribalta la questione degli anziani da un lato ed assieme la condizione di queste strutture.
Il Covid e gli anziani: i dati in Italia ed in Europa
Hanno colpito i dati dell’Istituto Superiore di Sanità che, in una sua indagine mirata[1] nel periodo che va dal 1° febbraio a fine marzo e metà aprile, quando sono stati compilati i questionari, ha contato – nelle circa 1.000 strutture che hanno risposto sulle 3.500 cui era stato inviato – 6.773 residenti deceduti per qualsiasi causa di morte, per quasi metà (45%) in Lombardia.
Di questi oltre 6.700 soggetti deceduti, 364 erano risultati positivi al tampone e 2360 avevano presentato sintomi simil-influenzali, ovvero il 40,2% del totale dei decessi (2724)ha interessato residenti con riscontro di infezione da SARS-CoV-2 o con manifestazioni simil-influenzali.
In Italia è subito partita, secondo tradizione, la magistratura alla ricerca – doverosa – di responsabilità che consegue all’obbligatorietà dell’azione: eppure sollevare lo sguardo oltre i confini nazionali per cogliere subito che, al di là della intensità del contagio, gli anziani, dentro e fuori le case di riposo, sono stati i più esposti al virus ed alle sue conseguenze.
Hans Kluge, direttore per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato che nelle RSA c’è stato il 50% dei morti che si sono contati in Europa, una tragedia umana inimmaginabile: 8.800 su un totale di oltre 23.000 morti in Francia, in Belgio dei 7.200 morti oltre il 54% è stato in case di riposo, oltre 15.000 morti nelle strutture per anziani in Spagna.
Ovunque gli anziani ricoverati per settimane non hanno potuto ricevere le visite dei parenti, spesso affidati alle cure di infermieri rimasti in pochi e per di più non capaci di fronteggiare un nemico mai visto prima. Senza trascurare che durante la grande emergenza gli ospedali, messi di fronte alla necessità di scegliere a chi dedicare i pochi letti rimasti e i respiratori messi in funzione gli anziani non hanno mai avuto la priorità.
«Ci sono state anche molte negligenze. La pandemia ha messo sotto i riflettori gli angoli più ignorati della nostra società. In Europa le case di cura sono state spesso trascurate, ma non dovrebbe essere cosi», così concludeva la sua analisi Hans Kluge.
La situazione delle RSA in Italia di fronte al coronavirus
L’Istituto Superiore di Sanità – nel Survey citato – ha anche approfondito le azioni messe in atto dalle RSA e chiesto quali difficoltà avessero incontrato: la principale, segnalata da oltre l’80% delle strutture, ha riguardato la mancanza di dispositivi di protezione individuale seguita, per poco meno della metà (46,9%), dalla impossibilità di far eseguire tamponi.
Entrambi fattori esterni seguiti subito dopo da criticità interne, le assenze del personale sanitario (33,5%) e le difficoltà nell’isolamento dei pazienti affetti da coronavirus per il 25,9%.
In particolare per le modalità di isolamento adottate, solo il 47% delle strutture dichiara di avere utilizzato camere singole, il 31% camere con raggruppamento di pazienti solo Covid-19, nel 5,9% si è optato per trasferimenti in ospedali e l’8,4% ha dichiarato di non avere potuto procedere ad un isolamento.
Principali criticità riscontrate nelle RSA (%)
Quel che è successo ha avuto ovviamente un forte impatto sull’opinione pubblica, che ha espresso la sua indignazione per il trattamento riservato agli anziani, soprattutto a quelli affidati alle strutture di assistenza, ma anche per chi si è trovato ad affrontare l’emergenza in condizioni di solitudine: questioni che preesistevano alla pandemia e che purtroppo permarranno irrisolte dopo, considerata che l’attenzione si è focalizzata sull’impatto dell’emergenza.
Un recentissimo articolo[2] ben riassume quello che sta succedendo nelle RSA: «Colpisce il rimpallo di responsabilità tra enti gestori, rapidamente diventati “capro espiatorio”, Asl e Regioni. Con un Ministero della Salute intervenuto tardivamente sull’emergenza: solo il 3 aprile pubblica la circolare con la quale si raccomanda l’effettuazione di tamponi su tutti gli ospiti e gli operatori delle residenze, mentre sono del 18 aprile le indicazioni per la prevenzione dell’infezione nelle strutture residenziali.
Parlare di prevenzione quando i deceduti accertati erano già settemila e quelli stimabili il triplo è stato un atto fuori tempo, nei confronti di una realtà in cui si fa ancora fatica a trovare DPI e tamponi in numero sufficiente, a isolare i contagiati, a gestire i reparti sotto una pressione inaudita e con molto personale in malattia. Un Ministero meno impegnato a pubblicare documenti e più occupato a organizzare screening estesi e test su larga scala ci aiuterebbe ad affrontare la fase 2 con meno preoccupazioni».
Occorre riflettere sulle misure da adottare per migliorare la qualità del servizio offerto dalle RSA come sono attualmente ma va ripensata complessivamente la risposta da dare alla condizione degli anziani nella società, di fronte ai profondi mutamenti che già si sono verificati ma anche di quelle che sono le prevedibili evoluzioni
Gli anziani e la società
Una casa di riposo, pur sorta a tutela di persone fragili, rientra – per dirla con E. Goffman – tra le istituzioni totali, che agiscono con un potere inglobante più compromettente di altre e simbolizzato nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno, concretamente fondato nella struttura fisica dell’istituzione.
Se anche le RSA sono istituzioni totali attenuate vale comunque quanto scriveva Franca Ongaro Basaglia nel 1968: «Appartenere ad una istituzione totale significa essere in balia del controllo, del giudizio e dei progetti altrui, senza che chi vi è soggetto possa intervenire a modificarne l’andamento e il significato». Ma appartenere a un’istituzione durante una pandemia, a maggior ragione cosa significa? Significa comunque chiusura, significa abbandono: le istituzioni totali sono state chiuse con le persone dimenticate dentro. Dimenticando che dentro, tutte queste persone si stanno ammalando, stanno morendo e continueranno a morire.
La collocazione in casa di riposo, è stato scritto, risulta funzionale ad un mondo iperproduttivo che vuole tutti sani, belli, efficienti. «Per tutti gli altri al massimo c’è una casa di riposo o un paravento dove nascondere gli insulti dell’età. Gli anni della vita si allungano, ma la vita sfugge da questi anni sempre più vuoti di emozioni, progetti, speranze». [3]
Di fatto si è progressivamente realizzata una generale rimozione degli anziani dalla vita economica, sociale e culturale nella società postmoderna, che si è accompagnata alla crisi del sistema informale di welfare fondato sulla famiglia per i radicali mutamenti che hanno investito nei decenni trascorsi questo istituto, posto a base della società come recita l’art. 29 della Costituzione.
Le case di riposo oggi: alcuni dati
I numeri ci dicono che le case di riposo, intese in senso ampio e non specificatamente tecnico, ospitano circa 300.000 persone fortemente caratterizzate per età (il 75% con più di ottanta anni), per sesso (circa il 75% sono donne) e disabilità (quasi l’80%): tra 2009 e 2016 i ricoverati sono calati – secondo i dati – di 15.000 unità (-5,0%) con un andamento divaricato tra gli autosufficienti che sono calati di 13.000 unità mente sono cresciuti di 22.000 unità quelli ad alta intensità sanitaria.
Deve essere sottolineato come in Italia permanga una sotto-dotazione complessiva rispetto ad altri Paesi: i 290.000 posti disponibili in Italia sono ben al di sotto dei 370.000 della Spagna, i 720.000 della Francia, gli 870.000 della Germania.
Una sotto-dotazione che si accompagna anche ad una forte differenziazione geografica dai 4,1 posti letto ogni 100 anziani residenti in Piemonte fino ai 0,7 posti della Campania.
Di fatto è intervenuta una profonda mutazione: «Rsa e case di riposo sono realtà nate con una spiccata vocazione alberghiera e abitativa cui, negli anni, si è richiesta una sempre maggiore specializzazione sanitaria e di cura. Gli anziani sono diventati sempre più anziani e hanno richiesto prestazioni sempre più specialistiche; così le“case di riposo” sono diventate sempre più strutture residenziali a forte intensità sanitaria». [4]
Da questi cambiamenti è derivata sia una crescente sanitarizzazione delle esigenze di assistenza e cura che una fragilizzazione progressiva dei ricoverati accompagnate dal progressivo ritiro del pubblico dalla gestione delle strutture, sostituite da un lato da cooperative in particolare cooperative sociali per contenere i costi ed assieme dall’altro da grandi gruppi multinazionali che hanno accresciuto la loro presenza in Italia.
«Strette nella morsa tra costi crescenti e carente finanziamento pubblico, le strutture hanno ricorso ad altre strategie: l’aumento delle tariffe, il taglio del personale (soprattutto medico, in contro tendenza rispetto alla richiesta di servizi più specialistici), la rinuncia al rinnovamento degli edifici e delle attrezzature». [5]
Da questa vicenda della pandemia può emergere una forte spinta al cambiamento, quello che la RSA può rappresentare come un luogo aperto, «amico del territorio, capace di innescare una osmosi con i suoi abitanti, attraverso un insieme di proposte da progettare insieme alla comunità locale: aiuti domiciliari, di varia tipologia e intensità, centri diurni, sostegni ai familiari, supporti al lavoro privato di cura, quello svolto dalle badanti, proposte per l’invecchiamento attivo. Ma anche semplici azioni di informazione, orientamento e counseling, oggi ancora molto sporadiche». [6]
L’altra spinta è verso comunità residenziali, abitazioni protette, forme di “abitare leggero”, ed assieme le esperienze di co-housing sociale e mini alloggi, per una o due persone che consentono all’anziano di gestire in autonomia la sua quotidianità potendo condividere una serie di servizi dalle pulizie alla la lavanderia, la mensa e gli interventi di assistenza alla persona.
La Fondazione Turati ha indagato questi temi in una serie di studi e di convegni dedicati[7] nei quali sono state presentate diverse soluzioni sperimentate nel corso degli anni.
Per dire in Toscana il riferimento è all’esperienza del Comune di Lastra a Signa che però è rimasta un episodio che non ha generato comportamenti emulativi, mentre ad esempio a Mestre la Fondazione Carpinetum di don Angelo Trevisiol ha creato nello stesso tempo sei Centri Don Vecchi ispirati a questi principi.
C’è da riflettere su cosa frena questa sperimentazione.
[1] ISS, “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”, 14 aprile 2020.
[2] Sergio Pasquinelli “Dopo la strage. Come ricostruire il futuro delle Rsa”, Welforum.it, 4 maggio 2020.
[3] “Nonni che rompono le scatole, ma teniamoceli stretti”, OM OptiMagazine 12 Febbraio 2014 di Peppe Iannicelli.
[4] Antonella Carrino “Evoluzione e caratteristiche delle case di riposo in Italia”, Centro Studi50&Più.it, 16 aprile 2020.
[5] Carrino, cit.
[6] Pasquinelli, cit.
[7] Si ricordano alcune pubblicazioni curate dal Centro studi della Fondazioni Turati e pubblicate presso Lucia Pugliese editore – Il pozzo di Micene (Firenze), all’interno della collana Quaderni: “Tra paure e speranze. La condizione degli anziani in Toscana, Lazio e Puglia” (2013); “Gli anziani e l’abitazione fra domanda crescente e risposta insufficiente” (2017); “La solitudine del caregiver. Politiche e strumenti innovativi per prendersi cura di chi cura” (2018).