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povertà

La povertà è d’importazione

La povertà in Italia è cresciuta come conseguenza dell’immigrazione. Le ripercussioni, pesanti per gli italiani, nell'assegnazione delle risorse pubbliche.

11/05/18 - Luciano Pallini

“Noi anderemo a Roma davanti al papa e al re. 

Noi grideremo ai potenti che la miseria c’è”

 

Le due susseguenti crisi economiche che nel periodo 2007-2014  hanno colpito l’Italia hanno avuto la conseguenza di impattare pesantemente su occupazione e redditi dei cittadini e, via tagli alla spesa pubblica, sui sussidi:  ne è conseguito – secondo l’opinione corrente –  che la povertà sia cresciuta, la disuguaglianza sia aumentata ed il ceto medio – come le api – si avvii alla scomparsa.

La povertà: le diverse misure

Partiamo dalla povertà: è opinione largamente condivisa che il numero dei poveri in Italia sia aumentato, ed a sostegno di questa si citano le statistiche ufficiali, per promuovere a livello politico misure quali il Reddito d’inclusione (REI) o il reddito di cittadinanza.

Ma quanto sono i poveri in Italia? L’Istat nello sforzo di offrire una visione a 360 gradi del fenomeno elabora e diffonde tre misure di povertà, che differiscono per metodologia e fonte.

La prima è la povertà assoluta (ai livelli dell’Europa occidentale)  stimata sulla spesa per un paniere di beni e servizi giudicato essenziale per conseguire uno standard di vita socialmente accettabile.

Cosa entra  in questo paniere dipende dalle caratteristiche familiari, mentre il suo costo riflette il livello dei prezzi del luogo in cui la famiglia risiede. Nel 2016 la soglia di povertà per una persona sola tra i 18 e i 59 anni variava tra 554 euro mensili in un piccolo comune del Mezzogiorno e 818 euro in una grande città del Nord; per una coppia con due bambini tra i 4 e i 10 anni la soglia variava tra 1.188 e 1.630 euro mensili.

Semplificando si può affermare che la povertà assoluta misura la platea della povertà vissuta, quella di chi  che non è in grado di mettere insieme il pranzo con la cena.

La seconda è la povertà relativa la cui soglia viene calcolata prendendo la spesa media mensile per consumi  pro-capite e sulla base di una scala di equivalenza stabilire la soglia per numero componenti: per il 2016 era uguale a 637 euro mensili per una persona sola, a 1.061 euro per un nucleo di due persone, a 1.730  euro per un nucleo di quattro persone etc.

Forzando l’interpretazione si potrebbe dire che la povertà relativa rappresenta la povertà percepita, una platea che comprende anche quelle che non ancora in povertà assoluta ma  tuttavia sono lì al limite.

La terza misura  il rischio di povertà, componente di un più ampio rischio di povertà o esclusione sociale che la Strategia Europa 2020 dell’Ue  intende contrastare e che include  tutte le persone che vivono in una famiglia che presenta almeno una delle tre condizioni: rischio di povertà, bassa intensità di lavoro, grave deprivazione materiale.

Il rischio di povertà si basa su una soglia relativa calcolata sui redditi familiari per la quale sono esposte a tale rischio tutte le persone il cui reddito equivalente è inferiore alla soglia di  812 euro mensili per una persona sola e 1.707  euro per una coppia con due bambini (soglia pari al  60% della “mediana della distribuzione individuale del reddito equivalente” in termini tecnici).

Si potrebbe tentare di tradurre questa misura del rischio di povertà come misura della platea di chi vive  paura di cadere in povertà.

Ed a queste se ne potrebbero aggiungere numerose altre di diversa e diversamente autorevole provenienza.

La diffusione in tempi diversi delle statistiche accresce la confusione che già il presentare diverse misure dello stesso fenomeno sociale genera.  Se a questo si somma da un lato la modesta  capacità di comunicare dell’Istat costretta – anche per la natura della sua missione –  a ristringersi ad anodine illustrazioni dei dati e dall’altro l’approssimazione della stampa – sia quella residua su carta che la marea montante di quella on line – è pienamente giustificata la difficoltà dei cittadini ad orientarsi su questo tema.

Non è facile intendersi bene quando la povertà può riguardare 4,8 milioni  persone anzi forse quasi 8,5 ma anche 12,5 milioni.

 

Tab. 1 Persone sotto la soglia secondo le diverse misure della povertà %  su totale residenti – anno 2016 (ISTAT)

assoluta relativa a rischio
persone 4.742.000 8.465.000 12.480.000
% 7,9 14,0 20,6

 

Andamento e caratteristiche della povertà relativa

La scelta è di concentrarsi sulla povertà relativa, il suo andamento nel tempo, le sue componenti, la sua configurazione territoriale e sociale.

Appena al di sotto del 12% nel 2000, con alti e bassi si mantiene al di sotto di questo livello  fino al 2011 quando in concomitanza con la crisi del debito sovrano riprende a salire inesorabilmente fino a raggiungere il 14% nel 2016, con un balzo partito nel 2014.

 

Graf. 1 Individui Incidenza %  povertà relativa 1997-2014 (ISTAT)

 

La conclusione parrebbe semplice: la crisi ha creato nuovi poveri, ma non sempre quel che appare semplice lo è effettivamente.

Dal 2014 sono disponibili i dati per presenza di stranieri in famiglia: l’andamento della povertà relativa espresso in numero delle famiglie è in pratica sovrapponibile a quello degli individui, ovvero il 10,6%.

I dati del triennio 2014-2016 mostrano che il numero di famiglie di soli italiani in condizioni di povertà relativa si riduce, seppur di poco, da 8,9% nel 2014  a 8,5% nel 2016.

Raddoppia la quota di famiglie miste in condizioni di povertà relativa da  19,1% del 2014  al 36,1% del 2016, cresce in misura contenuta mantenendosi su livelli assai alti la quota di famiglie di soli  stranieri in condizione di povertà relativa, da 28,6% a 31,5%.

Tab. 2 Povertà relativa per presenza di stranieri in famiglia 2014-2016 (ISTAT)

2014 2015 2016
Famiglie di soli italiani 8,9 8,6 8,5
Famiglie miste 19,1 23,4 36,1
Famiglie di soli stranieri 28,6 30,8 31,5

 

Sono le stesse conclusioni cui giunge una ricerca recentissima[1] condotta nell’ambito di banca d’Italia che, premessa la crescita degli stranieri nell’ambito dell’indagine sulla ricchezza delle  famiglie dall’1% di inizio anni novanta a oltre 10% negli ultimi anni

“Ne consegue un contributo decisamente crescente degli immigrati nella diffusione della povertà in Italia; questi negli ultimi anni sono arrivati a rappresentare circa un quarto dei poveri in Italia. Per la sola popolazione dei nati in Italia, la diffusione della povertà relativa è stata pressoché stabilmente decrescente dalla metà degli anni novanta al 2008 e sostanzialmente stabile negli anni successivi”.

In pratica, la povertà relativa è cresciuta perché importata, come è successo e succede sempre nei processi migratori rapidi e non governati.

 

Graf. 2 quota % stranieri poveri (Banca d’Italia)

 

L’impatto sociale è pesante: le famiglie povere italiane si sono ritrovate concorrenti inattesi nella assegnazione delle provvidenze pubbliche per contrastare la povertà ed in generale per l’utilizzo di servizi, dalle abitazioni popolari alla sanità, in un contesto di risorse pubbliche sempre più contenute.

Tanti atteggiamenti sociali e tanti comportamenti politici derivano dalla conflitto per le risorse che esplode ai livelli inferiori della scala della ricchezza e lascia esente chi a livelli superiori non l’avverte.

Un altro aspetto che deve essere sottolineato riguarda la fortissima polarizzazione territoriale della povertà relativa che se riguarda il 5,7% delle famiglie nel Nord ed il 7,8% nel centro, arriva a quasi il 20% nel meridione, dove – e questo va sottolineato – si riduce seppur di poco rispetto al 2015 mentre nelle altre ripartizioni tende a salire.

 

Tab. 3  Incidenza della povertà relativa per ripartizione territoriale  – famiglie – 2015 e 2016

2015 2016
ITALIA 10,4 10,6
NORD 5,4 5,7
CENTRO 6,5 7,8
MEZZOGIORNO 20,4 19,7

 

Alla scala regionale emergono le differenziazioni tra le regioni, in un intervallo di oscillazione che va da 1 a 10: se in Toscana la povertà relativa  è al 3,6% in Calabria arriva al  34,9%.

Questi numeri spiegano il successo in quelle regioni di proposte politiche fondate sulla redistribuzione generalizzata, quale può essere un reddito di cittadinanza: serve lavoro, ma lavoro vero che viene dal mercato non quello che variamente denominato viene dallo stato.

 

Graf. 3 Incidenza della povertà relativa per regione –  famiglie

 

Quali sono le famiglie ed individui tra i quali c’è una minore incidenza della povertà relativa? Gli ultrasessantacinquenni che beneficiano di pensioni ed indennità ancorché modeste, le famiglie monopersonali e le famiglie con un anziano (chi trova un anziano trova un tesoro) perché contribuisce alle spese familiari e in coerenza i ritirati dal lavoro.

Di converso operai ed assimilati e disoccupati, i giovani e le famiglie numerose presentano una incidenza decisamente superiore della povertà relativa.

Chi ha un diploma e laurea come chi ricopre ruoli di dirigente, quadro ed impiegato ma anche gli imprenditori ed i liberi professionisti sono solo sfiorati dalla povertà che picchia duro in chi a livelli di istruzione ed è meno attrezzato per adattarsi ai mutamenti del mercato del lavoro.

Poi vivere in comuni centrali di area metropolitana gode sicuramente di maggiori opportunità e quindi è meno colpito dalla povertà rispetto a chi vive in centri minori: l’aria della città rende liberi.

 

Tab. 4 Famiglie e individui tra i quali incide meno la povertà (ISTAT)

Tipologia persona di riferimento 2016
65 anni e più 8,2
famiglie monopersonali 5,3
famiglia con  1 anziano 7,1
Diploma e oltre 6,3
Dirigente, quadro e impiegato 3,1
Imprenditore e libero professionista 4,2
Ritirato dal lavoro 8,0
Comuni centro area metropolitana 5,7

 

 

[1] LA DISUGUAGLIANZA DELLA RICCHEZZA IN ITALIA: RICOSTRUZIONE DEI DATI 1968-75 E CONFRONTO CON QUELLI RECENTI Luigi Cannari  e Giovanni D’Alessio,  Quaderni di ricerca di banca d’Italia,  marzo 2018

 

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive.
Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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