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terzo settore

Caro bollette, “Finalmente un primo ascolto”

26/09/22 - Redazione

«Dopo le tante voci che, insieme a quella del nostro presidente nazionale, il dottor Domenico Giani, si sono levate dal Terzo settore in questi mesi per chiedere aiuto, il Governo e il Parlamento ci hanno finalmente dato un primo ascolto». È la reazione del presidente della Federazione regionale delle Misericordie della Toscana, Alberto Corsinovi, all’approvazione del ‘DL Aiuti Ter’ che guarda anche al mondo del Terzo settore, comprese le Rsa, che fino ad adesso era stato escluso.

«Finalmente la politica pensa anche a chi si prende cura dei più fragili. Continuare ad escludere queste realtà dai ristori contro i rincari delle bollette sarebbe stato gravemente ingiusto e avrebbe fatto ricadere l’emergenza energetica proprio sulla fascia più debole e indifesa della popolazione. Le tante Misericordie e realtà non profit  che svolgono attività di cura e assistenza verso le persone fragili sono da mesi in difficoltà ed abbiamo a più riprese dato voce alle loro richieste nei confronti della politica e delle istituzioni. Ne avevamo parlato anche il 30 giugno scorso, nella sede del Consiglio regionale della Toscana, nel corso dell’iniziativa organizzata insieme alla Fondazione Turati Onlus sul futuro degli ETS. Continuare ad ignorare il grido di aiuto di queste realtà le avrebbe messe nella condizione di non poter continuare a operare. Oggi si è proceduto ad un primo ascolto, ci auguriamo che adesso non ci si dimentichi più di loro. Vigileremo perché ciò non avvenga».

(Comunicato stampa)

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Degani (Uneba): «Rsa, serve una visione programmatoria»

12/05/21 - Giulia Gonfiantini

Da oltre un anno le Rsa sono in prima linea nel fronteggiare l’emergenza, ma anche alle prese con alcuni problemi che proprio la situazione attuale ha esacerbato. Su tutti, la definizione dei rapporti tra il privato accreditato e le Regioni, nonché l’assenza di una programmazione che tenga conto di queste strutture quale parte integrante del sistema sociosanitario, considerando nel suo complesso sia l’offerta di posti per la popolazione sia il fabbisogno di personale. «La pandemia ha portato a ribadire l’importanza di una valorizzazione dei servizi territoriali, ma al contempo viene sdoganata la possibilità di assunzione di infermieri negli ospedali pubblici che li sottraggono, paradossalmente, proprio al territorio», dice Luca Degani, avvocato cassazionista e presidente di Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) Lombardia.

Titolare di uno studio legale specializzato in legislazione sociosanitaria e no profit, e membro del Consiglio nazionale del terzo settore, Degani è intervenuto pubblicamente a più riprese per sottolineare la centralità di strutture quali le residenze sociosanitarie per il sistema generale. «Manca la capacità di una visione programmatoria: ormai da anni la politica propone di spostare il modello organizzativo della sanità italiana da un’attenzione esclusivamente ospedaliera a una territoriale – prosegue – dove il personale infermieristico e paramedico è fondamentale per costruire servizi perseguendo standard di adeguatezza terapeutica». L’invecchiamento della popolazione e l’evolversi della risposta farmacologica alle patologie più diffuse rendono infatti sempre più rilevante la presenza delle malattie croniche. Ma le assunzioni previste nel settore pubblico sono a oggi destinate soltanto a una dimensione ospedaliera e dunque acuta.

Che fare in questa situazione?

«Innanzitutto, affrontare il tema della formazione infermieristica, differenziandola, specializzandola e soprattutto ampliandola in relazione al reale bisogno. In secondo luogo, si può pensare ad altre figure, come l’operatore sociosanitario specializzato (l’Osss, con la terza s), che potrebbero essere utili, a fronte delle tante cronicità presenti sul territorio, sia nei servizi residenziali sia in quelli territoriali e domiciliari».

Com’è strutturata oggi la formazione di infermieri e operatori?

«Attualmente quella dell’infermiere professionale è l’unica professione paramedica riconosciuta e con un proprio ordine professionale al di fuori di quella medica medica o tecnico riabilitativa. L’operatore sociosanitario è invece formato con 1.100 ore post diploma: su queste figure non ci sono però indicazioni sul quantum necessario per i territori. Ma tra l’Oss e l’infermiere vi è un ampio gap, corrispondente a numerose possibili attività. Sarebbe perciò opportuno valutare sia un aumento del numero di infermieri sia l’elaborazione di una professionalità intermedia, adatta all’implementazione dei servizi territoriali, domiciliari e residenziali».

E nel breve periodo?

«Nel breve termine occorre da un lato valutare l’effettiva opportunità di concorsi pubblici per assunzioni ospedaliere che poi non rendono gestibili i servizi dai quali spesso questo personale viene prelevato, ossia i servizi territoriali. A fronte di un obbiettivo buono, rischiamo cioè di ottenere esclusivamente risvolti negativi. Si potrebbe inoltre ideare una sorta di pillole formative per il personale Oss già esistente, allo scopo di implementarne le mansioni».

Di cosa dovrebbe tener conto una programmazione efficace?

«Dovrebbe chiarire intanto cosa si intende con una modifica dei servizi alla persona. Perché se parliamo di ospedali di comunità, di presidi sociosanitari territoriali, di ridefinizione e valorizzazione dei servizi di supporto ai medici di medicina generale; se parliamo di presidi ospedalieri territoriali che gestiscano in maniera diversa ad esempio i codici bianchi o di valorizzazione dell’assistenza domiciliare, allora dobbiamo definire quali figure professionali vi operino e in quali numero, programmando poi a partire dalle quantità e dalle tipologie di professionisti richieste. I concorsi per le aziende ospedaliere dovrebbero essere preceduti da una valutazione del sistema di servizi e degli operatori presenti sul territorio. Altrimenti il rischio è quello di impoverire l’offerta del privato sociale, che si prende carico di anziani e disabili».

Le Rsa sono state estremamente colpite dall’emergenza, quali interventi per il settore?

«Ha bisogno innanzitutto di essere riconosciuto e conosciuto. Oggi esiste una sola norma di riferimento, un decreto del Presidente della Repubblica del 1997 che individua meramente gli standard strutturali. Non ci sono invece regole omogenee sugli standard di natura gestionale, né leggi circa la dimensione finanziaria ed economica di questo mondo. Ogni regione ha un comportamento diverso in tal senso. E, pur essendo spesso richiamato dalla normativa statale sui temi pandemici, tecnicamente non vi è un direttore sanitario nelle Rsa italiane. La metà di queste non ha nemmeno un responsabile medico. A livello nazionale sono non solo poco normate, ma anche poco pensate nella loro eccessiva differenziazione regionale e nella necessità di essere un luogo in cui investire in termini economici».

Un esempio?

«Oggi una Rsa in Lombardia, in Emilia, in Veneto o in Toscana, prende dal sistema sanitario tra i 40 e i 50 euro per la presa in carico di un cosiddetto ‘grande anziano’, mediamente 85enne e con due o più comorbilità, mentre la cifra prevista nel settore ospedaliero per lo stesso soggetto è quasi 10 volte tanto. Qualcosa non va: servono invece investimenti reali per la non autosufficienza. La Rsa non è un luogo in cui si posteggiano gli anziani, anzi. I gestori di queste strutture erogano servizi domiciliari e diurni, e al ricovero si arriva solo quando non ci sono più alternative».

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Un Piano Nazionale per il Terzo Settore

17/06/20 - Redazione

Con una lettera aperta al Presidente del Consiglio, esponenti della società civile, operatori, ricercatori e cittadini hanno chiesto che l’Italia si doti di un piano d’azione per il Terzo Settore e l’economia sociale. La lista dei firmatari dell’iniziativa, promossa da Carlo Borzaga e Gianluca Salvatori di Euricse e Marco Musella di Iris Network, è in continuo aggiornamento. Per informazioni e adesione scrivere a: euricse@euricse.eu

I cento giorni della pandemia hanno inferto al corpo della società italiana una ferita che per rimarginarsi richiederà tempo, molte risorse e nuove energie. Preso singolarmente, nessuno di questi tre elementi è risolutivo. Il tempo, di per sé, può essere sprecato senza una visione lungimirante accompagnata dagli strumenti per realizzarla. Le risorse, anche se copiose, senza idee per utilizzarle strategicamente finiscono disperse in rivoli. E anche le energie rischiano di essere frustrate se mancano gli strumenti e il tempo per trasformarle in forza di cambiamento.

A fronte di questo scenario, ci rivolgiamo al Presidente del Consiglio dei Ministri in quanto crediamo che tra le energie indispensabili nella fase del rilancio post Covid-19 quelle del Terzo settore e dell’economia sociale debbano svolgere un ruolo fondamentale, non sostitutivo ma integrativo di quello delle imprese private e delle amministrazioni pubbliche, e in una prospettiva non di breve termine.

Non parliamo, solo, di riconoscere il contributo del Terzo settore nella gestione dell’emergenza, attraverso i volontari della protezione civile, le associazioni che hanno curato la distribuzione di viveri e generi di prima necessità, le cooperative sociali che hanno garantito i servizi nei luoghi più esposti al contagio, e molto altro ancora. O del contributo, più in generale, che le organizzazioni dell’economia sociale garantiscono all’economia italiana nel suo complesso, operando trasversalmente in tutti i settori e dando lavoro a più di un milione e mezzo di persone.

Parliamo del futuro che ci aspetta, delle nuove attività da sviluppare, dei posti di lavoro che andranno a sostituire quelli persi e che potranno essere creati nel settore della cura e dell’assistenza, nel rafforzamento del sistema sanitario soprattutto nella sua componente territoriale, nei servizi educativi e culturali, nella manutenzione del territorio e nella rivitalizzazione di centri minori e delle aree marginali, nella produzione in forma collettiva di energia da fonti alternative, nello sviluppo di un turismo locale sostenibile, e in molti altri ambiti che oggi neppure immaginiamo. Posti di lavoro declinati in gran parte al femminile e aperti anche a cittadini in condizioni di fragilità, creati da organizzazioni che da almeno due decenni – e in particolare dopo la crisi del 2008 – costituiscono, in termini sia di crescita del valore aggiunto e propensione all’investimento che di creazione di posti di lavoro, uno dei comparti più dinamici del nostro Paese. Parliamo della necessità di uno sviluppo economico che non neghi i valori sociali, ma anzi da questi tragga forza. Valori che sono costitutivi delle organizzazioni del Terzo settore e dell’economia sociale e di cui esse sono tra i principali promotori.

Perché dopo la crisi sanitaria e quella economica, dovremo impegnarci per evitare una crisi sociale dalle conseguenze devastanti.

In questi mesi il Governo non ha trascurato il Terzo settore e le organizzazioni dell’economia sociale. Nei provvedimenti per la ripresa economica si è tenuto conto di questi attori importanti della vita nazionale. Proprio per questo – come operatori, studiosi, cittadini – chiediamo un ulteriore passo, più ambizioso. Serve uscire dalla logica dei singoli interventi e tracciare anche per queste organizzazioni una linea di azione complessiva, ancorata a riferimenti chiari sui soggetti da coinvolgere e su tutti i possibili ambiti di attività e dotata di risorse adeguate a progettare uno sviluppo di lunga durata.

Abbiamo un’occasione, anzi due. In Europa sta prendendo forma un grande programma per dare forza al cosiddetto “pilastro sociale” dell’Unione, finora trascurato. Nei prossimi mesi la Commissione europea, dopo una consultazione ampia, darà luce a un Action plan per l’Economia Sociale, determinante per la programmazione comunitaria 2021-2027. In quella cornice verranno definiti obiettivi, strumenti e risorse per rafforzare il contributo allo sviluppo economico e sociale europeo del non profit, delle imprese sociali, dell’associazionismo, della filantropia e di tutte le organizzazioni che affondano le loro radici nell’esperienza collettiva. L’Italia deve fare altrettanto: si doti di un Action Plan nazionale per tracciare la strategia con cui rendere il Terzo settore e l’economia sociale parte integrante del percorso di rilancio del Paese.  Definisca le linee verso cui indirizzare risorse ed energie per sfruttare tutto il potenziale che le organizzazioni non profit e dell’economia sociale possono mettere a disposizione dell’interesse generale. Lo costruisca con una consultazione ampia tra tutti coloro che possono portare un contributo come ha deciso di fare la Commissione europea. Una consultazione che potrebbe opportunamente prendere avvio anche da una ricomposizione dei numerosi contributi e spunti emersi in questi mesi sul tema.

La seconda opportunità viene dal programma straordinario Next Generation EU e da tutti gli strumenti che la Commissione europea sta mettendo in campo per affrontare la crisi scatenata da Covid-19. L’indicazione che viene dall’Europa è che queste ingenti risorse servono non solo a far ripartire l’economia ma anche a irrobustire la coesione sociale. Ci sono specifiche azioni, come REACT-EU, pensate proprio a questo scopo. Quindi, al Presidente del Consiglio chiediamo che il Piano di azione per il Terzo settore e l’economia sociale venga finanziato con una quota non marginale delle risorse straordinarie e ordinarie che nei prossimi mesi verranno destinate all’Italia.

Serve un allineamento tra tempo, risorse ed energie. Serve un’azione di largo respiro e con uno sguardo lungo. Nessuna delle questioni che oggi siamo chiamati ad affrontare ha probabilità di essere risolta senza questa prospettiva e senza il contributo del Terzo settore e dell’economia sociale. È essenziale però che questo contributo non resti sotto il suo potenziale o vada disperso in mille frammenti. Perciò servono un Piano di azione nazionale e gli strumenti per realizzarlo.

 

 

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Approfondimenti specialistici

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I disturbi del comportamento alimentare in età adolescenziale: aspetti endocrino-metabolici

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I disturbi del comportamento alimentare sono patologie estremamente complesse e diffusissime tra gli adolescenti, con un’insorgenza che oltretutto si fa sempre più precoce. In questo articolo, legato all’intervento dell’autrice al convegno “La nutrizione e le sue condizioni problematiche” tenutosi a Pistoia nel 2022, ne viene presentato un quadro comprensivo degli aspetti endocrino-metabolici in linea con un approccio integrato alla malattia.

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I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

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Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

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Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

Validation Therapy caregiver

Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

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