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terza età

Proteggere gli anziani, far vivere i giovani

23/02/21 - Luciano Pallini

L’informazione sulla diffusione della pandemia da COVID 19 è stata imponente in virtù del pesantissimo impatto che ha avuto sulla vita dei cittadini dell’intero pianeta, un drammatico evento globale per il costo in termini di vite umane, di ammalati con postumi anche seri e di blocco sostanziale della vita sociale e di relazione oltre che delle attività economiche.

Serve una informazione essenziale e tempestiva

È evidente che una informazione tempestiva e approfondita è una precondizione indispensabile per la definizione di strategie di contenimento e di cura e per questo merita di essere oggetto di attenta valutazione nella sua capacità di illustrare le dinamiche della pandemia ed illuminare i nodi critici nei quali occorre intervenire con misure appropriate, in primis ai fini di prevenzione con l’uso delle mascherine, disinfezione delle mani e degli ambienti, distanziamento sociale.

I mezzi di comunicazione, dalla stampa alle tv alla informazione on line, nella sostanza hanno messo in rilievo due dati: a) la diffusione del contagio, presente senza particolari differenziazioni per età, e b).  il numero dei decessi, concentrati tra la popolazione più anziana, entrambi analizzati nel loro andamento giornaliero attraverso le diverse ondate con il calcolo di indici. A questi due dati si è accompagnata la quotidiana indicazione del numero dei ricoverati nei reparti ordinari degli ospedali  e nei  reparti di terapia intensiva, giustamente assunti ad indicatori della pressione sulle strutture ospedaliere e della loro capacità di risposta (peraltro solo tardivamente accresciuti).

Sui lockdown e sulla differenziazione dei colori

Avvicinandosi l’esaurirsi di questa capacità si è ricorsi all’inevitabile lockdown inizialmente totale- salvo la sanità ed i servizi essenziali – poi con esenzioni più o meno ampie che comunque hanno causato  il coma profondo – non si sa se e in quale misura reversibile – di tutte le attività fondate sulla vita di relazione, dal turismo agli eventi come dallo spettacolo alla ristorazione allo sport , verso le quali erano stati indirizzati tanti giovani, anche per assenza di alternative,  con importanti perdite occupazionali, cui altre se ne aggiungeranno per la fine del blocco dei licenziamenti e la ripresa  delle procedure fallimentari.

Il sistema delle restrizioni differenziate secondo diversi colori assegnati in base ai punteggi di un algoritmo appare se possibile ancora più nocivo, ingenerando aspettative di ripresa per le quali si investe attingendo a riserve che si assottigliano salvo poi ricevere il CONTRORDINE COMPAGNI, con il ritorno di restrizioni: un allargarsi e richiudersi demenziale e perdita di risorse e di fiducia: ultimo disastroso episodio il rinnovato blocco degli impianti sciistici a poche ore dalla riapertura precedentemente fissata.

Il lockdown blocca tutto e tutti, ugualmente esposti al rischio di contagio ma, si dice,  non presenta alternative e a conferma di questa affermazione  si portano esempi di altri paesi che non stanno meglio dell’Italia pur avendo effettuato scelte diverse,  mirate ad una immunità di gregge non raggiunta,  per tutti si cita  la Svezia dove queste scelte sicuramente non hanno funzionato e si trova nelle condizioni del  nostro paese, per contagi,  sovraccarico degli ospedali e decessi, ma a differenza dell’Italia non ha sopportato i danni causati del lockdown.

Ora che l’avvio della campagna dei vaccini[1] apre la prospettiva concreta di uscire da questa condizione di vita-non vita, si possono sviluppare riflessioni e valutazioni, consapevoli di poter essere additati come untori sulla  gogna mediatica dei social.

Leggere e riflettere sui dati

a) contagi e decessi per classi di età

Per questi approfondimenti dal Centro Studi della Fondazione Turati sono state richiesti dei dati che, sicuramente disponibili, non erano apparsi nella comunicazione pubblica, distintamente all’ Istituto superiore di Sanità (ISS) ed alla Azienda Regionale di Sanità (ARS) della Toscana.

Ad entrambi gli organismi   sono state formulate due richieste, la prima di avere il numero dei ricoverati in ospedale ed in terapia intensiva fino al 31 dicembre 2020 per classi di età, la seconda di avere questi stessi dati per soggetti contagiati tra ospiti di strutture sociosanitarie protette, RSA o RSD o comunità.

Mostrando grande attenzione e rapidità, considerato il momento, dall’l’ISS, Reparto Epidemiologia, Modelli Matematici e Biostatistica, sono arrivati i dati relativi ai ricoverati in ospedale e terapie intensive distinti per età mentre per quanto riguarda i dati sulle persone ricoverate o decedute provenienti da strutture assistenziali è stato fatto presente che “.. nel sistema di sorveglianza non è raccolta l’informazione in maniera strutturata delle persone che erano ospiti in RSA al momento della diagnosi”.

I dati, che sono stati resi disponibili per classi di età decennali, sono stati riorganizzati in tre grandi gruppi: i giovani fino a 29 anni che sono 16,7 milioni (27,8% della popolazione), i maturi in età lavorativa tra 30 e 69 anni che ammontano a 32,6 milioni (54,6%) e gli ultrasettantenni che sono 13,4 milioni (17,6%).[2]

Si è scelto di elaborare indicatori elementari rinviando per più sofisticate analisi alle pubblicazioni dell’ISS[3] intanto per misurare la diffusione del contagio e la mortalità da COVID 19 nel 2020 dall’esplodere della pandemia fino al 31 dicembre.

Tra i giovani  si sono contati  lo scorso anno  519.061,  ovvero 31 casi per 1000 abitanti, tra i maturi  i casi accertati sono stati  1.236.556 (38 casi per 1000 abitanti) e tra gli ultrasettantenni sono 397.421, ancora 38 casi per 1000 abitanti: si può concludere che il contagio corre più o meno con la stessa intensità quale che sia l’età, tenendo anche  conto del fatto  che sul più basso indice di contagio tra i giovani può aver  inciso  un minor numero di test effettuati all’emergere di qualche sintomo data la prevalente asintomaticità della infezione in queste fasce di età.

Ben diversa  si presenta  la situazione dei decessi[4] per coronavirus, come è stato immediatamente percepito dalla opinione pubblica.

In totale i decessi al 31 dicembre 2020 sono stati 70.797, ossia 118,7 ogni 100.000 abitanti ma tra i  diversi gruppi considerati si hanno rilevantissime differenziazioni:  i decessi tra i giovani  sono stati in tutto 54 cioè 0,3 ogni 100.000 residenti di   questo gruppo, tra i maturi si contano 9.946 decessi ovvero 30,5 decessi ogni 100.000 residenti, fino al dato drammatico di 60.797 morti dai 70 anni in su, ( l’86% dei deceduti) per oltre 585 morti ogni 100.000 residenti di questo gruppo. .

Si comprende come a fronte di questa ecatombe sarebbe importante sapere quanto ha pesato la inadeguata protezione degli anziani ospiti di strutture sociosanitarie, all’inizio abbandonate a se stesse di fronte al dilagare della infezione, e poi in qualche modo danneggiate da misure adottate senza un’ottica di sistema, come il colmare la carenza di infermieri negli ospedali pubblici  sottraendoli alle RSA. Dopo una indagine sommaria sulle RSA nella prima fase della pandemia[5], non risultano a chi scrive approfondimenti statistici seri sull’impatto della pandemia sugli ospiti di queste strutture.

b) i ricoveri in ospedale ed in terapia intensiva per classi di età

I dati dell’ISS sui ricoveri in ospedale ed in terapia intensiva mostrano chi sono i più fragili di fronte alla infezione (intuitivamente era noto) dai quali origina la pressione sulle strutture ospedaliere,

Tra i giovani, su 1.000 contagiati poco più di 18 finiscono in ospedale e meno di 1 su mille mostre condizioni critiche che impongono la terapia intensiva. Si potrebbe dire, ovviamente con il rischio di essere rimbrottati, che per loro è poco più di una brutta influenza? E allora ci si può immaginare la loro frustrazione nell’essere soggetti a restrizioni nella  vita sociale  in nome di una solidarietà intergenerazionale verso i loro padri e nonni che non ne hanno mostrata granché  per quel debito pubblico monstre che peserà su di loro negli anni a venire?

Gli esiti sono più pesanti per i contagiati maturi: oltre 84 su 1.000 finiscono in ospedale e quasi 13 su 1.000 in terapia intensiva, contandovi in tutto lo scorso anno 15.000 ricoverati, quasi la metà del totale.

Dai settant’anni in su il rischio di finire in ospedale se si prende il contagio sale vertiginosamente, 318 su 1.000 anziani, quasi 1 su 3, finiscono ricoverato in ospedale e 40 su 1.000 in terapia intensiva, per un totale di oltre 16.000.

Rapportato alla dimensione demografica delle classi di età emerge con chiarezza come il ricovero in terapia intensiva, lo snodo critico del sistema di cura, esplode al crescere dell’età.

 

Ricoverati in terapia intensiva per Covid-19 per 100.000 abitanti, per classe di età

È evidente che gli anziani finivano in ospedale in percentuali ben superiori agli altri anche   prima della pandemia  ma l’infezione da Coronavirus ha accresciuto  e di molto questo rischio,  perché secondo i dati ISTAT il  42,3%  degli over 75  è multi-cronico, cioè soffre di tre o più patologie.

Quindi  proteggere gli anziani maggiormente esposti alle più pesanti conseguenze dell’infezione è diventato l’obiettivo delle strategie di contrasto al virus, attraverso lockdown generali per impedire che figli e nipoti con le loro relazioni esterne contraggano il contaggio trasmettendoli ai familiari anziani.

Ma quanti sono gli anziani che vivono con i figli? Secondo gli stessi dati ISTAT solo uno su cinque, il 20,9%, vive con i figli e quindi con i nipoti, se presenti, mentre un restante 40% vive o nello stesso caseggiato o entro un km di distanza: fra quelli che vivono da soli due su tre hanno almeno un nipote con i quali, nel 40% dei casi, i contatti sono settimanali.

Tutti questi numeri dovrebbero essere considerati per stabilire se le strategie di limitazioni indifferenziate – nazionali o regionali che siano – non possano essere sostituite da limitazioni ristrette ai soggetti maggiormente a rischio, nello specifico gli anziani, cui dovrebbe essere assicurata adeguata assistenza domiciliare e compensazioni attraverso mirate occasioni di rapporti sociali protetti, di impegno del tempo libero,  di soggiorni – vacanze tramite le quali oltre che a proteggere e promuovere il benessere di queste persone si sosterrebbe l’economia dei territori.

 

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[1] Ci occuperemo della vicenda dei vaccini e di come è stata trattata dai media, come se la loro scoperta e messa in produzione fosse lo stesso che, in situazione di afa estiva, tirar su qualche chiosco per vendere fette di cocomero (senza dimenticare che anche questa messa in opera richiede tempi).

[2] ovviamente potrà essere affinata l’analisi ad esempio restringendo il primo gruppo fino a 24 anni, il secondo da 25 a 64, l’ultimo includendo dagli ultrasessantacinquenni in su.

[3]  Rapporto Iss Covid-19,  n. 1/2021 “Il case fatality rate dell’infezione SARS-CoV-2 a livello regionale e attraverso le differenti fasi dell’epidemia in Italia”.

[4] I dati di diversa fonte mostrano leggerissime discrepanze che non incidono ai fini delle considerazioni svolte in questa nota.

[5] Iss, “Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie. Report finale. Aggiornamento 5 maggio 2020”.

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Quale futuro per RSA?

31/10/19 - Giancarlo Magni

Dai 15 ai 23 miliardi di euro. A tanto ammontano gli investimenti che verranno fatti in Italia da qui al 2035 nel settore delle Residenze sanitarie per persone anziane. Il settore è in forte affanno. Rispetto ai principali paesi europei siamo molto indietro. Da noi ci sono poco più di 4000 RSA per un totale di 280mila posti letto mentre in Spagna abbiamo 5400 strutture per 373mila posti, in Francia 10.500 per 720mila e in Germania 12mila strutture per 876mila posti. Siamo i quartultimi  nell’OCSE, ben al di sotto della media europea. Una situazione che va in controtendenza rispetto a quella che sarà l’evoluzione demografica del nostro Paese. Nel 2050 un terzo degli italiani, pari a 21,8 milioni, avrà più di 65 anni e il 10% della popolazione avrà più di 80 anni.

La situazione delle finanze pubbliche renderà estremamente difficile che a coprire questo gap siano lo Stato o le Regioni che attualmente detengono il 45% delle RSA esistenti, a fronte del 35 in mano al comparto no-profit e al 20% gestito dai privati.  Ed infatti sono proprio i privati, attirati dai rendimenti che promette un mercato in forte crescita, a fare gli investimenti maggiori e a realizzare gruppi sempre più grandi sia con i fondi di investimento, che detengono già oltre 5000 letti, sia con i grandi gruppi. Su tutti Kos e Sereni Orizzonti, 5300 letti a testa, poi a seguire società a capitale francese, Korian, 4600 letti, Orpea, 1980, La Villa, 1940, e ancora gruppi italiani, Gheron, 1730 letti e Edos, 1380 letti.

In questo quadro la situazione della Toscana è particolarmente preoccupante. Sotto diversi profili. Per la dimensione prevalente di molte delle strutture esistenti, mediamente con poche decine di posti letto, per la crescente presenza dei grandi gruppi privati e per la normativa regionale. Vediamone le ragioni. Nel mondo delle RSA “piccolo” non è bello. Perché diventa sempre più difficile stare dietro a tutte le incombenze che la legge, giustamente, dispone a tutela di ospiti e dipendenti e perché non si riescono a realizzare quelle economie di scala che permettono di offrire servizi di livello a prezzi competitivi. Non è per un caso che ogni tanto la cronaca si interessa di strutture che definire al limite delle norme è usare un eufemismo. Tutti gli studi concordano nel dire che sotto i 120 posti letto la gestione, si parla ovviamente di una gestione corretta e di un buon livello di servizi, è difficilmente sostenibile. Presenze dei grandi gruppi. Dal punto di vista della capacità gestionale le società più importanti  riescono certamente a realizzare buoni margini ma proprio quest’aspetto, vedasi il recentissimo caso di Sereni Orizzonti, che in Toscana gestisce 11 RSA, può indurre a forzare la situazione per avere profitti ancora maggiori. Ma anche ammettendo che si comportino correttamente, come è certamente nella maggioranza dei casi, sono strutture e gestioni avulse dal territorio, non ne interpretano fino in fondo i bisogni reali e, in caso di difficoltà, non hanno remore di alcun tipo a tagliare i ponti e ad abbandonare quelle realtà che non “rendono” secondo certi parametri. Da ultimo la normativa regionale. Non c’è nella legislazione toscana nessun incentivo per far crescere e favorire le aggregazioni, ad esempio di Enti no-profit di piccole e medie dimensioni, che sono espressione del territorio e che, proprio per questo, riescono a rispondere meglio alle esigenze delle popolazioni locali. Né c’è una concreta volontà di incentivare pratiche come la co-programmazione e la co-progettazione che, pur essendo formalmente previste, sono declinate con la vecchia impostazione dirigista che stenta ad essere abbandonata. La proposta deve sempre e comunque partire dagli Enti pubblici. Su questa poi vengono chiamati gli altri a collaborare. Diverso il caso di iniziative che partono dal basso e che poi gli Enti, nel caso che queste vengano valutate positivamente, possono raccogliere, coordinare e portare avanti. Con questa modalità, che per alcuni versi è prevista anche dalla riforma del Terzo Settore, si possono bypassare gli affidamenti attraverso le gare d’appalto che, nonostante tutti gli accorgimenti, finiscono spesso per premiare solo la minore spesa a scapito della qualità dei servizi.

Senza una politica “premiante” per le imprese locali, le piccole realtà toscane saranno, in corso di tempo, sempre più preda dei grandi operatori sanitari privati che, avendo una capacità di investimento molto forte,  arriveranno a monopolizzare tutto il settore della lungo-degenza con la conseguente esclusiva prevalenza del solo  criterio dell’ economicità.

 

 

 

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Persone senza età

29/01/18 - Giancarlo Magni

Senza età. A prima vista può sembrare una provocazione dettata magari da voglia di “giovanilismo”. Non è così. Il concetto fotografa una realtà che è già sotto gli occhi di tutti e che procede a passi rapidissimi nella direzione indicata. L’età anagrafica sta diventando una variabile quasi indipendente nella vita di una persona. La società e il mondo del lavoro non sono più quelli di ieri. La prima registra il progressivo aumento dell’aspettativa di vita e il costante miglioramento della qualità della stessa, il secondo vede non solo la riduzione dei tempi di lavoro ma soprattutto il superamento del lavoro manuale e il prevalere dei servizi e del terziario su un’ agricoltura e un’industria, fra l’altro, sempre più automatizzate. La fatica fisica è quasi residuale. L’età, se non intervengono patologie particolari, non è più in relazione diretta con il lavoro o con l’intelligenza e le capacità fisiche e mentali. La “pensione” vede soggetti ancora attivissimi, pieni di vita, voglia di fare. Persone nel senso pieno del termine, non “anziani”. Un pianeta di uomini e donne che possono dare e fare molto, una risorsa che viene però ignorata anche dai poteri pubblici.

Ecco allora perché il periodico on line della Fondazione Turati che vede la luce in questo 2018 si chiama “Senzetà”. Parleremo di tutto quello che interessa la popolazione più avanti con gli anni: di quella parte, maggioritaria, che non ha perso il desiderio di essere una componente attiva della società, e che coltiva ancora sogni e speranze, e di quella, minoritaria, che necessita di assistenza e che è bisognosa di cure. In un caso e nell’altro sempre “persone” che non possono essere definite in relazione all’età, persone che devono restare tali soprattutto quando si trovano di fronte alle malattie o alla perdita di autonomia che può verificarsi con il tempo che passa. Fra l’altro i cambiamenti demografici stanno modificando anche la situazione epidemiologica del Paese. La domanda di salute registra l’aumento costante delle lungodegenze. E questo cambia l’organizzazione delle stesse strutture sanitarie sul territorio. Le RSA si stanno trasformando in residenze medicalizzate dove non si assiste più un anziano solo, bisognoso di essere accudito, “il nonno”, ma una persona magari in avanti con gli anni che per periodi di tempo anche lunghi necessita di assistenza medica. Una persona che deve essere assistita più che sulla base dell’età, sulla base di una patologia che magari si è sviluppata con l’età.

Il nostro scopo è semplice: far maturare una nuova consapevolezza a livello sociale e far circolare idee, informazioni e buone pratiche che facciano, sempre di più, della Fondazione un punto di riferimento fra le Istituzioni che, di concerto con il Servizio sanitario, puntano a dare risposte efficaci ed appropriate ai problemi socio-sanitari della popolazione.

Contiamo sul vostro aiuto. Per consigli, suggerimenti, articoli e naturalmente critiche.

Giancarlo Magni

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Approfondimenti specialistici

long term care

I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

11/04/20 - Barbara Atzori

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

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In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

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Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

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La memoria: fascino e cruccio

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Anche per la perdita di memoria, che Eschilo definì la “madre di ogni saggezza”, la diagnosi precoce svolge un ruolo fondamentale. Per correre ai ripari, specie in caso di significative amnesie, esistono terapie ad hoc e speciali mnemotecniche.

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