• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale
  • Passa alla barra laterale primaria
  • Passa al piè di pagina
  • QUESTA INIZIATIVA
  • AUTORI
  • CONTATTI

Senzeta

Mensile di utilità scientifiche e culturali

  • Focus
  • Primo piano
  • Idee e proposte
  • Approfondimenti
  • Cultura
  • Studi e ricerche
  • Segnalazioni

Recovery Fund

“Una riforma per proteggere gli anziani”

1/09/21 - Redazione

“Una riforma per proteggere gli anziani”

di Roberto Bernabei, Francesco Landi e Graziano Onder (da Repubblica Salute, anno 3 n. 8, 26 agosto 2021)

“In Italia ci sono oltre 3.400 Rsa (o strutture residenziali per assistenza socio sanitaria alle persone non autosufficienti, come sarebbe più corretto chiamarle, che ospitano ogni anno circa 290 mila anziani. L’assistenza in queste strutture rientra tra le prestazioni essenziali che sono garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nonostante ciò, il settore Rsa in Italia è meno sviluppato rispetto a quanto non lo sia in altri Paesi europei: basti pensare che nel nostro la disponibilità di posti letto è pari a circa il 2% della popolazione ultrasessantacinquenne, contro il 5% in Francia o in Germania.

L’epidemia di Covid-19 ha messo a nudo la fragilità di queste strutture. I rapporti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno mostrato come nella prima fase epidemica le Rsa fossero spesso prive di dispositivi di protezione individuale, avessero personale insufficiente e scarsamente formato, non fossero adeguatamente collegate con gli ospedali. A causa dell’epidemia Covid-19, nel marzo-aprile 2020 il numero di decessi nelle Rsa è più che raddoppiato rispetto alla media del quinquennio 2015-2019. Una tragedia ben nota ed evidenziata dai media.

Queste criticità, osservate peraltro anche in altri paesi europei e nord americani, hanno portato a un progressivo allontanamento degli anziani da queste strutture (fino al 25% dei posti letto nelle strutture non sono occupati) con un conseguente importante danno economico al settore, in gran parte privato in cui lavorano circa 200 mila persone.

Se le scelte future in tema di politiche sanitarie devono essere guidate dalle lezioni imparate dall’epidemia Covid-19, appare prioritario riformare il settore delle Rsa, che più degli altri ha rilevato criticità negli ultimi mesi (…)”. Per proseguire la lettura dell’articolo “Una riforma per proteggere gli anziani”, da Repubblica Salute del 26 agosto 2021, cliccare qui.

Archiviato in:Evidenza, Segnalazioni Contrassegnato con: anziani, coronavirus, covid-19, Focus Rsa, Long Term Care, non autosufficienza, PNRR, Recovery Fund, Rsa, welfare

A Firenze si è tenuto il convegno “Oltre la Rsa”

5/07/21 - Redazione

Una riflessione a 360 gradi su come è necessario riorganizzare l’intero sistema dell’assistenza alle persone anziane e non autosufficienti, anche sulla base dell’esperienza indotta dalla pandemia. È stato questo il motivo conduttore di “Oltre la Rsa. Verso una long term care inclusiva”, giornata di studio e di confronto fra esperti, istituzioni e gestori di Rsa e centri diurni organizzata a Firenze, all’auditorium di Sant’Apollonia, dalla Fondazione Filippo Turati Onlus, dalla Scuola superiore di Scienze dell’educazione “Don Bosco” di Firenze affiliata all’Università Pontificia Salesiana e dall’Arat, Associazione delle residenze per anziani della Toscana, con il contributo di Assiteca, primario broker assicurativo, della Fondazione CR Firenze e di Sara Assicurazioni.

Le relazioni iniziali di tre esperti, il professor Vincenzo Maria Saraceni (presidente del Comitato scientifico della Turati e docente universitario), la professoressa Franca Maino dell’Università statale di Milano e il professor Luca Gori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, hanno evidenziato come il sistema della cura delle persone anziane in Italia sia fortemente squilibrato. Siamo in Europa uno degli ultimi Paesi per quanto riguarda l’assistenza domiciliare e anche per quanto attiene ai posti residenziali in strutture per le persone più fragili e i malati cronici. Da qui la necessità, non più procrastinabile, di rivedere l’intero sistema organizzandolo secondo un continuum assistenziale che parta dalla presa in carico, a casa, della persona anziana bisognosa di assistenza, dal potenziamento dei centri diurni e degli alloggi protetti fino al ricovero in Rsa quando le condizioni sociali e/o sanitarie lo rendano indispensabile.

«Serve – ha detto aprendo i lavori il presidente della Turati, Nicola Cariglia – un’assistenza continuativa sul territorio, in grado di generare scambi virtuosi tra residenzialità e domiciliarità. Perchédomiciliarità e Rsa non sono modelli alternativi ma devono coesistere ed essere entrambi oggetto di investimenti e innovazione».

Su questo filo conduttore si è sviluppato l’intero convegno che ha visto anche gli interventi del presidente della Regione Eugenio Giani, dell’assessore al Welfare del Comune di Firenze Sara Funaro e dell’assessore regionale al Sociale Serena Spinelli che hanno riconosciuto la necessità, fortemente sostenuta dalle associazioni di gestori delle Rsa, di governare il Sistema sanitario regionale e nazionale secondo una visione d’insieme che riconosca e valorizzi il ruolo dei vari attori, pubblici privati,e faccia crescere il sistema complessivo dell’assistenza allargando il campo delle risposte.

Momenti centrali della giornata, la tavola rotonda sull’organizzazione, la qualità e la sicurezza dei servizi sociosanitari nel post pandemia con la partecipazione delle associazioni di settore e dunque i presidenti nazionali di Anaste (Associazione nazionale strutture terza età), Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) e Ansdipp (Associazione dei manager del sociale e del socio-sanitario), e gli interventi del professor Leonardo Palombi e di monsignor Vincenzo Paglia, rispettivamente segretario e presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria della popolazione anziana.

Massimo Mattei, Franco Massi, Sebastiano Capurso e Padre Virginio Bebber, in rappresentanza delle principali associazioni di gestori di Rsa, hanno difeso a spada tratta il lavoro fatto, soprattutto durante la pandemia, e hanno tenuto ad evidenziare come le residenze siano state lasciate sole a contrastare l’azione del virus sulla parte più fragile della popolazione. Un’azione resa ancora più difficile dalle massicce assunzioni di personale infermieristico e Oss fatta dalle Asl. Nonostante questo, e contrariamente a quanto detto in alcune circostanze, le Rsa hanno contribuito a “difendere” gli anziani fragili. «È il virus – ha detto Paolo Moneti, vicepresidente nazionale di Anaste – che ha causato la morte di tante persone, non il luogo, e questo è tanto vero che i morti a casa e negli ospedali sono stati molto maggiori».

Dal canto loro sia Palombi che Paglia hanno sottolineato come il progressivo invecchiamento della popolazione e il corrispondente calo delle nascite stiano cambiando la struttura di fondo della società italiana e come questo imponga la necessità di riformulare dalle fondamenta il tema dell’assistenza agli anziani che non può più avere solo nelle Rsa l’unica risposta. Da qui l’esigenza di potenziare l’assistenza domiciliare, i centri diurni e la residenzialità protetta sulla falsariga di quanto già avviene negli altri Paesi europei. «Si tratta in definitiva non di togliere qualcosa dell’esistente – ha tenuto a precisare monsignor Paglia – ma di aggiungere risorse a quanto già viene fatto».

Al convegno ha inviato un messaggio il ministro della Salute, Roberto Speranza, sottolineando come oggi ci troviamo «a ripensare il nostro sistema di assistenza – ha scritto – partendo dall’esigenza di tutelare i più fragili, i nostri anziani, investendo sui servizi territoriali e sulla prossimità socio-sanitaria». La giornata ha rappresentato una prima occasione di confronto fra istituzioni, autorità sanitarie e soggetti pubblici e privati che si occupano di assistenza alle persone anziane. Sia monsignor Paglia che gli organizzatori hanno infatti convenuto sull’importanza e la necessità di lavorare insieme per dare le migliori risposte possibili alla necessità di adeguare la sanità italiana alle nuove emergenze messe in luce sia dai cambiamenti demografici sia dalla pandemia.

Archiviato in:News, Primo piano Contrassegnato con: anziani, coronavirus, covid-19, Focus Rsa, Franca Maino, Long Term Care, PNRR, Recovery Fund, Rsa, Uneba, welfare

Franca Maino: «Assistenza agli anziani, la sfida ora è una riforma»

28/06/21 - Giulia Gonfiantini

La pandemia ha contribuito ad accrescere l’attenzione attorno al tema dell’assistenza agli anziani, fortemente colpiti dall’emergenza, e alcune delle proposte provenienti dai principali soggetti impegnati nel settore hanno trovato spazio all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per Franca Maino, direttrice del laboratorio Percorsi di secondo welfare e docente presso il dipartimento di Scienze sociali e politiche all’università degli studi di Milano, questo è il momento di guardare a una riorganizzazione organica dell’intero ambito. «Nei giorni scorsi abbiamo avuto un riscontro positivo dall’Unione europea, che ha approvato il nostro Pnrr – dice – e adesso siamo pronti a partire. Non abbiamo più scuse: il piano è ambizioso e in particolare per quanto riguarda gli anziani ora si tratta di pensare a come attuarlo. La sfida, da qui al 2023, è mettere in cantiere una riforma che l’Italia attende da troppo tempo e che possa colmare la distanza che ci separa da quei Paesi che da decenni hanno investito in questo ambito». Per Maino, assistenza domiciliare e residenze socio-assistenziali non costituiscono due alternative, bensì debbono essere ripensate in modo da rendere possibili – grazie soprattutto a investimenti e innovazione – «scambi virtuosi» tra i due modelli.

Il nostro welfare è da tempo di fronte a sfide importanti legate all’invecchiamento della popolazione e alla crescita delle disuguaglianze. Che effetti ha avuto la pandemia su tutto questo?

«L’impatto della pandemia sugli anziani è stato importante e dalle conseguenze pesanti: sono stati tra i soggetti più colpiti, sia che si trovassero all’interno di residenze sia che vivessero al proprio domicilio. Anche quelli in condizioni di maggiore autonomia hanno subìto conseguenze dalla situazione generale, che al di là delle implicazioni sanitarie ha rimesso in discussione la socialità e la possibilità di vivere in un contesto sociale aperto. L’emergenza però ha avuto almeno un merito: ha contribuito a puntare i riflettori su un ambito di politica pubblica poco presidiato dal nostro sistema di welfare: l’assistenza continuativa alla popolazione anziana, settore tra i più carenti nel fornire risorse, coperture, risposte, servizi e presa in carico di soggetti fragili in condizione di non autosufficienza».

Dunque, è cambiata la percezione politica del problema?

«Direi di sì. Nel dibattito e tra gli addetti ai lavori è cresciuta l’attenzione verso i bisogni di questa fascia di popolazione e ora la questione ha uno spazio e una visibilità notevoli. Un esempio è il Piano nazionale di ripresa e resilienza attraverso il quale il governo ha stanziato risorse e si è impegnato a ripensare un settore di policy che in passato ha avuto scarsa considerazione. Negli ultimi 20 anni si sono succeduti diversi progetti di riforma per la tutela degli anziani non autosufficienti, ma nessuno di questi è arrivato in fondo. Il fatto che il governo abbia raccolto tale sfida è frutto di una grande sollecitazione alla quale ha contribuito molto il lavoro del Network Non Autosufficienza (rete composta dai principali attori che da tempo si occupano di questo ambito, nda), che a gennaio ha avanzato una prima idea di riforma affinché il tema entrasse nel Pnrr e che ha fatto sì che, grazie all’interlocuzione con il governo, almeno una parte di quelle proposte, sebbene in maniera non organica, venisse accolta».

Come mai le passate proposte di riforma non sono mai approdate alla fase effettiva?

«Da un lato perché altri problemi, come quelli della povertà, della denatalità e della conciliazione, hanno catturato l’attenzione dei decisori. In secondo luogo, perché resiste l’idea che il comparto anziani sia già presidiato attraverso la previdenza. Ma la copertura previdenziale in realtà non sopperisce ai bisogni di cura e assistenza che la perdita dell’autosufficienza porta con sé. Questo approccio ‘tradizionale’ che considera le pensioni sufficienti ad affrontare la questione dell’anzianità ha quindi in parte condizionato la volontà di investire in tale ambito. Inoltre, il problema sta anche nel nostro sistema socio-assistenziale, altamente frammentato: a livello nazionale l’indennità di accompagnamento ha in parte tamponato la situazione, ma tutto il resto è lasciato all’iniziativa di Regioni ed enti locali e ciò non ha contribuito a far entrare il tema nell’agenda di governo prima degli ultimi mesi».

Si parla molto di riformulare la medicina del territorio, qual è il suo punto di vista?

«È importante favorire un investimento più capillare sui territori che consenta di interpretare meglio i bisogni per rispondervi in modo più efficace. Questo, però, è possibile solo a patto che ci sia a monte un forte coordinamento: investire sulla medicina territoriale non significa che ognuno può seguire un proprio modello, bensì è necessaria una cornice più ampia e generale, capace di permettere di governare il cambiamento in corso. E anche di valorizzare il contributo proveniente, oltre che dalle istituzioni pubbliche, dai soggetti privati. Per guardare lontano è infatti fondamentale investire non solo sui servizi ma anche sull’innovazione di processo e su modelli di governance multiattore».

In questo contesto quale potrebbe essere secondo lei il ruolo delle Rsa?

«La pandemia ha messo a nudo non solo tutti i problemi della long term care, ma anche le criticità legate all’approccio alla residenzialità. Nel nostro Paese ci sono meno strutture di quelle di cui ci sarebbe bisogno, perciò il punto non può essere semplicemente ricondurre l’assistenza agli anziani nell’ambito della domiciliarità. Quest’ultima è importante, ma non costituisce sempre un’alternativa alle Rsa e non risolve certo tutti i problemi: l’allungamento della vita media, infatti, comporta una crescita del numero di soggetti non autosufficienti che da un certo punto in poi necessitano di una presa in carico complessiva, e in molti casi questa non è attuabile esclusivamente al loro domicilio».

Come può essere ripensato, dunque, il modello di assistenza dentro le residenze?

«In questo ambito c’è grande spazio per innovare. Ad esempio, con forme di residenzialità più leggera, capaci di integrarsi maggiormente con i servizi territoriali e che al contempo risultino più accoglienti rispetto ai bisogni di una popolazione che oggi quando entra in Rsa appare ‘compromessa’, ma che in futuro non necessariamente lo dovrà essere. Accanto a strutture dedicate a situazioni di totale non autosufficienza, dobbiamo quindi immaginare sistemi di assistenza continuativa posti in stretto dialogo con il territorio, in grado di generare scambi virtuosi tra residenzialità e domiciliarità».

Il Pnrr offre un buon punto di partenza?

«Per fare quanto sopra descritto servono risorse: il Pnrr inizia a stanziarle e indica l’assistenza continuativa agli anziani quale ambito prioritario di riforma. Tuttavia, sottostima la sfida che attende il Paese. Domiciliarità e istituzionalizzazione non sono modelli alternativi: devono coesistere ed essere entrambi oggetto di investimenti e innovazione e anzi, come dicevo, oggi il nostro Paese è carente proprio sul fronte della residenzialità. Guardando al futuro è inoltre necessario considerare il crescente numero di anziani soli e per questo ulteriormente a rischio fragilità».

Archiviato in:Evidenza, Focus Contrassegnato con: coronavirus, covid-19, Focus Rsa, Franca Maino, Long Term Care, PNRR, Recovery Fund, Rsa, welfare

Chiara Saraceno: «Rsa, l’assistenza domiciliare non è un’alternativa»

4/06/21 - Giulia Gonfiantini

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha riacceso l’attenzione anche sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, che è attesa da anni, ma in questa fase sembra esserci da più parti la tendenza a non tenere conto delle reali necessità di chi è ospitato all’interno delle residenze socio-assistenziali. «Va benissimo pensare anche di sviluppare il settore delle abitazioni protette, così come l’assistenza domiciliare, per consentire al massimo e il più a lungo possibile alle persone fragili e parzialmente non autosufficienti di vivere a casa propria o comunque in un ambiente domestico, ma occorre anche pensare a strutture per chi ha bisogno di assistenza – sanitaria e di sostegno nella vita quotidiana – continuativa e intensiva», dice la sociologa Chiara Saraceno a proposito della volontà di ripensare il sistema delle Rsa. «Certamente il modello delle grandi strutture con centinaia di ospiti va superato, e in questo senso si dovrebbe parlare, più che di riconversione, di ristrutturazione – precisa – delle residenze troppo grandi per consentire davvero un ambiente amichevole e stimolante ai loro ospiti e ai loro familiari quando vanno a trovarli, con il personale necessario in termini numerici e di professionalità richieste. Ci sono esempi di piccole strutture, ben organizzate e a misura degli ospiti che andrebbero utilmente studiate, anche perché in molti casi si sono rivelate inoltre modelli di efficiente protezione rispetto al rischio di contagio da Covid-19». Per Saraceno, questo particolare settore è soltanto uno degli aspetti da considerare per una riforma complessiva per la non autosufficienza nel nostro Paese, dove peraltro la misura più largamente diffusa è l’indennità di accompagnamento.

La riforma per la non autosufficienza prevista dal Pnrr parla di riconversione e de-istituzionalizzazione delle Rsa, ciò cosa comporterebbe?

«Bisogna intendersi. Innanzitutto le Rsa coprono solo una frazione del bisogno nel campo della non autosufficienza. Quindi una politica seria per la non autosufficienza non può avere nelle Rsa e nella loro eventuale riforma il proprio punto focale non solo perché il modello attuale di Rsa non è sempre adeguato, ma perché le politiche per la non autosufficienza devono essere a più ampio raggio e partire da una riconsiderazione e riforma dello strumento più diffuso, in Italia, in questo campo: l’assegno di accompagnamento. Chiarito questo, non è chiarissimo che cosa si intenda per riconversione e de-istituzionalizzazione delle Rsa. Se, come sembra, si intende trasformarle tutte in residenze protette dove le persone possano vivere con il massimo di autonomia possibile, temo che, per ovviare a problemi e disfunzioni che ci sono, si ignorino i problemi e i bisogni di chi è attualmente ospitato nelle Rsa: persone con problemi sanitari e di non autosufficienza gravissimi, che hanno bisogno di assistenza continua anche nelle cose minime».

Quale rapporto tra le residenze e l’assistenza domiciliare?

«Come ho detto sopra, l’assistenza domiciliare tramite personale preparato non è un’alternativa ai bisogni attualmente soddisfatti dalle Rsa. Piuttosto è una alternativa all’assistenza domiciliare attualmente fornita in modo quasi esclusivo da familiari (per lo più donne) e da badanti. Può essere considerata anche un’alternativa all’assegno di accompagnamento, fornendo appunto servizi invece che denaro sul cui uso appropriato per il benessere della persona non autosufficiente non esiste alcun controllo. A questo proposito osservo che mentre si parla molto di ciò che non funziona nelle Rsa non ci si preoccupa di come funziona effettivamente in Italia la domiciliarità, che riguarda la grande   maggioranza degli anziani fragili. Anche durante la pandemia non c’è stata alcuna attenzione per la situazione in cui si sono trovati molti anziani fragili, le loro famiglie e, per chi le aveva, le loro badanti, con le difficoltà create dal distanziamento e dal rischio di contagio».

Che ruolo ritiene possa avere il sistema delle Rsa all’interno della medicina del territorio?

«Come ho già detto, dovrebbe essere un pezzo, ridotto ma importante, di un sistema articolato e modulare, che va dall’assistenza domiciliare leggera a quella più intensiva (di cui possono far parte anche le badanti, se adeguatamente formate e certificate), ai centri diurni; può passare, se necessario (abitazioni inadeguate) dalle abitazioni protette fino alle Rsa come strutture piccole ma altamente specializzate. In questo sistema l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata – l’unica di cui si parla nel Pnrr – ha un posto importante ma, nonostante il suo nome, non copre, per il suo carattere di temporaneità e di focalizzazione esclusiva sui problemi sanitari, l’assistenza domiciliare necessaria a sostenere le persone molto fragili nei bisogni e attività della vita quotidiana».

Come riconsiderare l’assegno di accompagnamento?

«L’assegno di accompagnamento dovrebbe essere trasformato, se non direttamente in servizi, in un voucher per acquistare servizi accreditati, come avviene in Francia, o almeno adottare il modello tedesco per cui si può scegliere tra l’assegno (di importo variabile in base al grado di non autosufficienza, non come in Italia in somma fissa) e i servizi (anche in questo caso di entità variabile a seconda del grado e tipo di non autosufficienza). È vero che, essendosi consolidata l’abitudine a ricevere denaro che si può utilizzare senza controlli ci sarebbero resistenze ad una riforma di questo genere, come segnalano alcune ricerche. Ma occorre porre chiaramente la questione della appropriatezza delle cure e del sovraccarico che troppo spesso ricade sulle famiglie».

Dopo lo scoppio della pandemia, le Rsa si sono trovate in un certo senso «sotto accusa».

«Sono emersi problemi imputabili alla gestione pubblica di questi luoghi: carenza di personale, specie sanitario, a fronte di una concentrazione di ospiti con forti bisogni di tipo sanitario e perciò molto vulnerabili, strutture a volte troppo grandi, controlli non sempre efficienti, varietà di criteri per l’accreditamento da una regione all’altra. Tutto questo, insieme alle scarse conoscenze iniziali sulle caratteristiche della pandemia, ha portato in diversi casi alla sottovalutazione del rischio che correvano gli ospiti, e anche il personale, che non è stato considerato, come si sarebbe dovuto, alla stessa stregua del personale sanitario ospedaliero dal punto di vista delle protezioni e della prevenzione. L’elevata mortalità che ha caratterizzato alcune di queste strutture (ma non tutte), in parte dovuta a queste carenze, ma in parte anche all’elevata concentrazione di grandi anziani molto fragili, le ha fatto identificare come la causa, se non unica, principale dell’elevata mortalità per Covid-19 nel nostro paese, anche se mi sembra di aver visto dei dati che mostrano che la maggior parte degli anziani deceduti non era ospite di una Rsa».

E più recentemente?

«La successiva chiusura prolungata alle visite dei familiari, la lentezza con cui sono state messe a punto condizioni con cui consentirle in sicurezza, ha ulteriormente aggravato l’immagine delle Rsa come carceri in cui gli ospiti non hanno alcun diritto. Ma la situazione effettiva è più variegata, sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private. Piuttosto è sconcertante che, come dimostra l’assegnazione all’arma dei carabinieri di fare un censimento delle strutture e delle loro modalità organizzative, solo ora il ministero della salute si sia accorto di non avere dati e non sappia che per averli dovrebbe rivolgersi alle regioni».

 

 

Archiviato in:Focus, Primo piano Contrassegnato con: Chiara Saraceno, coronavirus, covid-19, Focus Rsa, non autosufficienza, PNRR, Recovery Fund, Rsa

Sgubin (Ansdipp): «Manca la consapevolezza del ruolo delle Rsa»

24/05/21 - Giulia Gonfiantini

L’accordo firmato nei giorni scorsi tra il ministero della Salute e il comando generale dell’Arma dei carabinieri sulla ricognizione delle residenze socio-assistenziali conferma l’attenzione rivolta a queste strutture nel post pandemia. Ma per Sergio Sgubin, presidente dell’Associazione nazionale dei manager del sociale e del sociosanitario, mancano sia la comprensione sia la consapevolezza che il settore riveste per il sistema salute. «Sembra esserci la volontà di depotenziare e de-istituzionalizzare le Rsa a favore di un improbabile passaggio all’assistenza domiciliare – dice – che però è impossibile: questi servizi devono semmai coesistere, non tutti possono essere assistiti a casa. Manca la percezione della realtà delle strutture: ecco perché come Ansdipp cerchiamo di valorizzare quello che di meglio sappiamo fare, con la comunicazione e con la diffusione delle buone pratiche. C’è bisogno di un ammodernamento dei servizi ma non si può destrutturare un ambito che necessita invece di essere sostenuto, anche in senso economico». Fin dai primi mesi dell’emergenza il sistema delle Rsa è invece finito sotto i riflettori, spesso e volentieri con l’accusa di non aver protetto adeguatamente i propri ospiti anziani.

Ciò è legato anche al mancato riconoscimento del sistema delle Rsa come parte integrante del sistema sanitario?

«È assodato che in Italia vige, sul piano sia pratico sia culturale, un sistema ‘ospedalocentrico’. Il settore sociosanitario integrato è sempre stato considerato di secondo ordine. Da una parte c’è una storica bassa consapevolezza dei numeri e della rete reale dei servizi integrati e dall’altra c’è uno sbilanciamento delle risorse economiche, che vanno soprattutto alla sanità. Si tratta di un imprinting politico e strategico esistente da tempo. Le strutture perciò soffrono per questi motivi di fondo e, oltre a ciò, con i problemi dell’ultimo anno sono emerse accuse spesso ingiustificate verso un sistema che risultava già parzialmente abbandonato allo scoppio della pandemia».

Come valuta la situazione in rapporto al bisogno, oggi affermato da più parti, di rafforzare il territorio?

«Il punto è che, specie da qualche tempo a questa parte, nelle politiche territoriali non viene considerata la presenza delle Rsa. Si tiene conto soprattutto dell’assistenza domiciliare e queste strutture non sono ritenute, come invece dovrebbe essere, il perno di tutte le attività territoriali. Eppure molte residenze già possono essere definite tali: fanno prevenzione e gestiscono direttamente l’assistenza domiciliare integrata, i mini alloggi protetti… Questi ‘centri servizi’ in Italia sono tantissimi, ma non c’è consapevolezza del loro ruolo: è come se, in virtù di una sorta di peccato originale, le Rsa siano ancora viste come i luoghi chiusi che erano negli anni Settanta e Ottanta, come cattedrali nel deserto dove le persone stanno lì a morire. Anche per questo, spesso su alcuni giornali si leggono ancora espressioni come ‘ospizio per gli anziani’. In caso di situazioni negative è naturale che la magistratura debba intervenire, ma la realtà delle cose è diversa da quella proposta da una certa visione ‘medievale’ delle Rsa».

Dunque le Rsa dovrebbero essere viste come centri erogatori di servizi?

«Il problema che si dibatte da tempo è quello del rapporto tra Stato e Regioni. Essendoci differenze così marcate a livello regionale, con strategie e indirizzi completamente diversi, è difficile fare programmazione nazionale. In proposito c’è dunque confusione, la legge quadro nazionale è ancora ferma alla norma del 2000. Nel frattempo alcune Regioni sono andate avanti con le riforme, altre no. Quella presente potrebbe essere una fase di riflessione per rivedere un’ipotesi di strategia nazionale d’intervento nel settore, seppure mantenendo le specificità locali. Ma per fare ciò servirebbe una consapevolezza globale sull’importanza del ruolo delle Rsa che purtroppo, dal nostro osservatorio, attualmente vediamo poco».

Ultimamente si sta facendo largo una tesi per la quale le Rsa debbano esser pensate come strutture di passaggio.

«La strategia deve essere di rete territoriale, con le Rsa che hanno un ruolo di rilievo al suo interno. Certo occorre differenziare, ad esempio con centri diurni, alloggi, prevenzione, in modo da rendere le strutture il luogo a cui ricorrere quando i servizi domiciliari non bastano più. Farle diventare invece una sorta di ospedali gestiti dalle Asl significherebbe tornare indietro di decenni. In questi luoghi non vengono trattate soltanto post acuzie: la parte assistenziale è molto importante. Quella della sanitarizzazione e del ricorso esclusivo all’assistenza domiciliare è un’idea manichea priva di senso. Per noi la proposta vincente è quella che vede le Rsa diventare sempre più dei centri servizi, con gestioni legate al territorio e a una rete tra strutture».

Che ruolo hanno in questa visione le competenze manageriali?

«Già nel 2019, in un convegno internazionale tenutosi a Matera, Ansdipp (che è l’unica associazione nazionale dei manager riconosciuta a livello istituzionale) ha sostenuto la necessità di valorizzarle. Oggi le competenze e la preparazione sono indispensabili per la gestione di strutture e reti di servizi: occorre perciò che siano valorizzate. Anche per questo stiamo preparando un ampio progetto, la Ansdipp Academy, nell’ottica di contribuire al riconoscimento del ruolo della managerialità e al contempo di fornire ai colleghi la formazione necessaria e costante nel tempo, per non lasciare indietro nessuno e promuoverla in modo continuo a livello medio alto».

Archiviato in:Evidenza, Focus, News, Primo piano Contrassegnato con: coronavirus, covid-19, Focus Rsa, Long Term Care, Recovery Fund, Rsa

Nel PNRR non può mancare un piano di riforma per la non autosufficienza

24/02/21 - Franca Maino, Federico Razetti

Come noto, la fascia di popolazione più colpita dalla pandemia di Covid-19 è stata ed è quella anziana. Ciò ha messo in evidenza, in modo particolarmente doloroso, tutta l’inadeguatezza del modello di assistenza agli anziani il Italia. Tuttavia, l’attuale bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – necessario all’Italia per riuscire a intercettare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea proprio per rispondere alla sfide poste dalla crisi pandemica – non prevede interventi di riforma strutturali in questo ambito di policy. Può sembrare un paradosso, ma è solo l’ennesima e più clamorosa dimostrazione dell’estrema difficoltà incontrata dal tema “assistenza agli anziani” a entrare nell’agenda decisionale italiana. Da più di vent’anni gli esperti avanzano proposte di riforma di un campo del welfare relativamente recente, che ha assunto le forme di un settore di intervento disorganico, sviluppatosi per stratificazioni successive, senza una visione coerente. E da più di vent’anni si assiste alla mancata adozione di una riforma complessiva e, tuttalpiù, all’introduzione di piccoli interventi, del tutto insufficienti ad affrontare i nodi di fondo della questione.

Un’occasione da non perdere

Quella attuale, come detto, è però solo una bozza del PNRR che, se opportunamente rivista, potrebbe rappresentare un’occasione preziosa per avviare il “percorso di riforma del settore atteso dalla fine degli anni ’90, che la pericolosa combinazione tra le criticità esistenti e l’invecchiamento della popolazione suggerisce di non rimandare oltre”. È a partire da queste considerazioni che il Network Non Autosufficienza (NNA) ha redatto un articolato documento (disponibile qui) nel quale si indicano alcune direttrici utili a cogliere l’opportunità riformatrice aperta dal PNRR anche per “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia”.

Il documento – inteso dal NNA quale “proposta aperta” a idee di miglioramento, correzioni e ipotesi di sviluppo – parte da tre considerazioni: la convinzione che un Piano che ambisce a disegnare il futuro del nostro Paese non possa prescindere da un progetto dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti; la necessità di cogliere le opportunità offerte dal PNRR, concentrandosi sui miglioramenti ottenibili attraverso le due leve a disposizione del Piano, cioè le riforme e gli investimenti una tantum; il desiderio che, nelle prossime settimane, si apra un ampio confronto pubblico, nel corso del quale chi ha una risposta alla domanda “quale progetto potrebbe essere utile agli anziani non autosufficienti, e i loro familiari, nel PNRR?” la metta a disposizione delle istituzioni responsabili della sua stesura definitiva.

La proposta: 3 problemi da affrontare, 5 linee di intervento, 4 livelli di azione

Uno dei punti di forza del documento redatto dal Network (qui l’articolo di lancio) è il fatto di partire da un’analisi dello stato di fatto (le criticità attuali) e dall’identificazione di alcune priorità di intervento (le possibili risposte) ampiamente condivise nel mondo della non autosufficienza, nella ricerca così come nella pratica.

Come schematizzato nella figura 1, la proposta di riforma enuclea 3 problemi principali dell’attuale modello di assistenza alle persone anziane non più autosufficienti su cui appare urgente intervenire: la frammentazione delle risposte; una missione delle politiche pubbliche ancora incerta e, come tale, incapace di fare proprio in modo sistematico il paradigma del care e dell’approccio multidimensionale; lo storico sottofinanziamento dei servizi.

Per rispondere a questi problemi, il documento del NNA – consapevole che il piano di intervento europeo mette a disposizione risorse per riforme e investimenti una tantum e che quindi convenga partire dall’analisi di che cosa convenga realisticamente fare e non da quanto spendere – propone 5 linee di intervento dedicate, rispettivamente: alla costruzione di un “sistema di governance della conoscenza” (così da “raccogliere, elaborare e diffondere un insieme di conoscenze – coerente e metodologicamente rigoroso – in materia di assistenza agli anziani non autosufficienti, che risulti uno strumento utile all’azione dei diversi soggetti coinvolti”); alla riforma del sistema di governance istituzionale (per dare vita a “un sistema multilivello di governance che ricomponga l’insieme di servizi e interventi rivolti alle persone non autosufficienti – afferenti a diverse filiere istituzionali – in un complesso unitario e coordinato di attività e processi”); alla promozione dell’accesso agli interventi (con l’obiettivo di “unificare i passaggi che anziani e famiglie debbono compiere per accedere alla rete degli interventi pubblici, con riferimento al primo contatto e alla valutazione iniziale della condizione di non autosufficienza”); alla riforma dei servizi domiciliari (con un investimento straordinario nei servizi domiciliari in Italia per accompagnarne la riforma complessiva, seguendo il paradigma del care multidimensionale); infine, alla riqualificazione delle strutture residenziali per assicurarne l’ammodernamento e rafforzarne la dotazione infrastrutturale, così da migliorare la qualità di vita degli anziani residenti e l’efficacia dell’intervento assistenziale. Ciascuna linea di intervento è corredata nella proposta avanzata dal NNA dall’identificazione degli attori da coinvolgere (quali proponenti o attuatori), degli obiettivi da perseguire, delle azioni da realizzare, con relativo cronoprogramma e una prima stima dei costi.

Come si può vedere dalla figura, delle 5 linee di intervento 4 mirano a ridurre la frammentazione delle risposte e l’incertezza dell’attuale missione delle politiche per la non autosufficienza, contribuendo in tal modo ad assicurare alle misure di Long Term Care (LTC) la coesione che oggi manca; il problema del ridotto finanziamento dei servizi, non meno importante e urgente, è affrontato da un minor numero di linee di azione (2) a causa dei vincoli posti dal PNRR.

Nel complesso, la strategia riformatrice proposta consentirebbe inoltre di agire su 4 diversi livelli di azione relativi alla diffusione del sapere (su cui interviene la linea di azione 1), all’assetto istituzionale (linea di azione 2), all’accesso al sistema locale (linea di azione 3), all’offerta di interventi (linee di azione 4 e 5).

 

Figura 1. La proposta del NNA: una sintesi (clicca sull’immagine per ingrandirla)

Una Call to Action e al confronto pubblico

La proposta del Network Non Autosufficienza – coerente con la richiesta della Commissione Europea di rafforzare il PNRR sul fronte delle riforme, mentre la versione attuale è ritenuta troppo focalizzata sui soli investimenti una tantum – vuole essere il primo passo per arrivare alla riforma del sistema di LTC ed è per questo aperta a raccogliere idee di miglioramento e proposte di modifica. L’auspicio dei proponenti è che nelle prossime settimane si avvii un vasto confronto pubblico (in linea con quanto proposto anche dal Forum Disuguaglianze Diversità) che valorizzi al meglio il patrimonio di esperienze e competenze esistente in questo ambito e provi a fare leva sul PNRR e le sue risorse per costruire anche in Italia un sistema di assistenza agli anziani non autosufficienti articolato e coerente con i bisogni di una popolazione che invecchia sempre più rapidamente.

Percorsi di secondo welfare – da tempo impegnata a occuparsi di invecchiamento e assistenza agli anziani (si veda in particolare la sezione dedicata al progetto InnovaCAre) – intende contribuire sia sul piano ideativo e progettuale alla definizione della proposta sia sotto il profilo comunicativo alla sua disseminazione e a dare conto del dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi fino all’approvazione del PNRR.

 

Qui è possibile scaricare la proposta completa di NNA

 

A questo link l’articolo pubblicato sul sito Percorsi di secondo welfare.

Archiviato in:Idee e proposte, News Contrassegnato con: non autosufficienza, PNRR, Recovery Fund, welfare

Sanità, sistema da rifondare

26/01/21 - Vincenzo Maria Saraceni

Il Covid ha portato alla luce tutte le criticità del nostro sistema sanitario. Ora è indispensabile l’impegno di tutti e un grande piano di investimenti. Il nodo delle borse di specializzazione.

La grave pandemia da Covid, che ha così duramente colpito il pianeta, ha evidenziato particolarmente nel nostro Paese, un Sistema Sanitario fragile sia dal punto di vista della organizzazione di fronte ad eventi che, purtroppo, tendono a ripetersi nel tempo e ha messo in una evidenza, quasi drammatica, la carenza del personale, medico e non, necessario per affrontare una minaccia di così grande portata che ancora non siamo in grado di prevederne la fine. La mancanza, quindi, di un Piano pandemico non aggiornato dal 2006 e la disponibilità ridotta di risorse per il reclutamento dei medici e degli infermieri hanno portato rapidamente al collasso molti ospedali.

Sul fronte medico si deve sottolineare, anche con soddisfazione, che sono state aumentate in questo anno le borse di studio per le specializzazioni particolarmente in alcune discipline mediche in primo piano nella lotta al Covid.

Sarà utile ricordare alcuni numeri.

Nel 2019 le borse di studio sono state 8000 finanziate dallo Stato, 612 dalle Regioni e 164 da Enti pubblici e privati, mentre nel 2020 le borse sono diventate 14.455 di cui 13.400 finanziate dallo Stato, 888 dalle Regioni e 167 da altri Enti. Come si nota un incremento netto di oltre 6.000 borse. Ancora più interessante il tentativo di adeguamento delle tipologie di specializzazione che ha inteso agevolare quelle discipline ritenute giustamente più necessarie. Solo per fare un esempio, la disponibilità per la specializzazione in Malattie Infettive ha visto aumentare da 106 a 339 il numero delle borse  e quella in Malattie Respiratorie da 135 a 371.

Naturalmente questo sforzo, pur lodevole, riguarda il futuro atteso che i giovani medici che cominciano il percorso di specializzazione lo ultimeranno tra quattro anni e non rappresentano, quindi, la soluzione per la carenza attuale. Così, si è dovuto tentare il ricorso a tipologie di reclutamento di medici discutibili come il richiamo in servizio dei medici in pensione che ha registrato poche adesioni e che li ha esposti, per la condizione avanzata della età, a un rischio maggiore di avere conseguenze gravi dal possibile da Covid.

Rimane, poi, il nodo di fondo perché si vuole che i medici possano partecipare a concorsi ospedalieri solo dopo la acquisizione del diploma di specializzazione ma, ogni anno, il numero dei laureati in medicina che fanno domanda di partecipazione al concorso per la specializzazione è di gran lunga maggiore dei posti disponibili e così la specializzazione rimane di fatto un vero imbuto difficile da superare.

Come è noto il Recovery Fund (Next generation EU) prevede uno stanziamento complessivo di 750 miliardi e l’Italia è sicuramente il paese maggiormente beneficiario. Si deve ritenere, per l’utilizzo dei fondi assegnati all’Italia, che nelle intenzioni del Governo, che ha aumentato lo stanziamento di fondi per la sanità (in una versione del Piano davvero insufficienti) ci sia proprio la volontà di garantire ad ogni laureato una borsa di specializzazione.

È sufficiente? Certamente no. Ma nelle intenzioni del Governo si sono anche i presidi per le degenze temporanee, le case di comunità gestite dai medici di medicina generale e il potenziamento della rete territoriale di assistenza primaria, il rafforzamento della medicina scolastica, la riforma, essenziale, del sistema di emergenza urgenza.

Dobbiamo riuscirci, a qualunque costo.

Archiviato in:News, Primo piano Contrassegnato con: coronavirus, covid-19, Recovery Fund, Servizio sanitario nazionale

Barra laterale primaria

Approfondimenti specialistici

Disturbi del comportamento alimentare

I disturbi del comportamento alimentare in età adolescenziale: aspetti endocrino-metabolici

23/01/23 - Deanna Belliti

I disturbi del comportamento alimentare sono patologie estremamente complesse e diffusissime tra gli adolescenti, con un’insorgenza che oltretutto si fa sempre più precoce. In questo articolo, legato all’intervento dell’autrice al convegno “La nutrizione e le sue condizioni problematiche” tenutosi a Pistoia nel 2022, ne viene presentato un quadro comprensivo degli aspetti endocrino-metabolici in linea con un approccio integrato alla malattia.

long term care

I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

11/04/20 - Barbara Atzori

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

pet therapy

In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

Validation Therapy caregiver

Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

Senzeta sulla tua mail

Inserisci la tua mail per ricevere gratuitamente i nostri aggiornamenti

Seguici su Facebook

Seguici su Facebook

Footer

Senzeta.it
Notiziario di utilità scientifiche e culturali
della Fondazione Turati Onlus
Registrato al Tribunale di Pistoia al n. 409 del 9 marzo 2018.


Direttore Responsabile
Giancarlo Magni

Archivio articoli

  • Approfondimenti specialistici
  • Cultura
  • Evidenza
  • Focus
  • Idee e proposte
  • News
  • Primo piano
  • Segnalazioni
  • Studi e ricerche
  • Email
  • Facebook

Copyright © 2023 · Fondazione Filippo Turati Onlus. Tutti i diritti riservati.