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Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell'operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

11/04/20 - Barbara Atzori

Essere operatore in RSA nel periodo di emergenza coronavirus significa, più che mai, mettere a disposizione dei residenti non solo le proprie competenze professionali ma anche la propria vicinanza emotiva, mettersi in ascolto empatico, favorire l’espressione dei bisogni. Di questi tempi, infatti, i professionisti socio-sanitari (infermieri, animatrici, educatrici, OSS e ADB) sono chiamati in prima linea a confrontarsi con emozioni intense e spesso ambivalenti, un aumento delle responsabilità e del carico di lavoro. I residenti con maggiori risorse cognitive e in grado di comprendere ciò che sta accadendo nel mondo possono essere preoccupati per la propria salute e per quella dei propri cari e sperimentare un senso di impotenza, passività e solitudine. I cambiamenti nella routine, come la sospensione delle visite dei familiari o la riduzione di attività fisiche e ludico-ricreative, l’utilizzo dei dispositivi di protezione o il monitoraggio più frequente dei parametri possono essere difficili da comprendere ed accettare e possono favorire un disorientamento cognitivo, specialmente nei residenti con maggiori compromissioni. Si possono osservare nei residenti cambiamenti nel tono dell’umore o comportamenti oppositivi che richiedono interventi specifici da parte dell’équipe. Inoltre, spesso anche i caregiver si mostrano allarmati e allarmanti e si rende necessario dedicarsi anche a loro affinché i residenti possano ritrovare in essi una fonte di sostegno e rassicurazione. A questo aumento di richieste provenienti dai residenti, si aggiunge il carico emotivo personale degli operatori, che si trovano quotidianamente a convivere con la paura di rappresentare delle potenziali minacce proprio per coloro di cui si prendono cura, il timore per la propria salute e per quella dei colleghi, la preoccupazione di poter contagiare i propri familiari. Inoltre, gli operatori, come il resto delle persone in questa fase storica, possono trovarsi a vivere in una condizione di isolamento psicologico, oltre che fisico, non potendo avere vicino a sé figure di supporto come amici o familiari. Tutto questo può rappresentare una fonte di stress per il personale che può essere esposto a sovraccarico emotivo e sperimentare una serie di reazioni di allarme a livello cognitivo, somatico e comportamentale. Cambiamenti nell’alimentazione, irritabilità, ansia, crisi di pianto, distacco emotivo, pensieri negativi, stanchezza, difficoltà di concentrazione, rimuginio, isolamento, perdita di interesse, sono tutti campanelli di allarme che possono segnalare un aumento dello stress. Sebbene i media propongano spesso l’immagine dell’operatore sanitario eroe inarrestabile, trasmettendo implicitamente un messaggio di invincibilità e onnipotenza, è utile sapere che la vera forza deriva piuttosto dalla capacità di mantenere un contatto con le proprie emozioni, di riconoscere i propri limiti fisici e psicologici e di chiedere aiuto e sostegno.

Ma come è possibile affrontare al meglio l’emergenza coronavirus come operatori in RSA? Innanzitutto, riconoscendo e validando le emozioni che si sperimenta. La paura, per esempio, non deve essere considerata una emozione negativa, tutt’altro: senza la paura non saremmo in grado di attivarci adeguatamente di fronte ai pericoli e proteggerci. Nel momento in cui si è in grado di dare un nome alla paura, si inizia ad usarla come energia e, ad esempio, si adottano tutti quei comportamenti di prevenzione come mantenere le distanze e indossare i dispositivi di protezione. Quando riconosciamo la paura in noi, diventiamo più abili a riconoscerla anche in chi ci sta accanto e ad esprimerla e farla esprimere in maniera efficace. In secondo luogo, è importante comunicare le proprie emozioni e dare un significato a quello che si prova, confrontandosi con i colleghi. Quando si inizia a condividere la paura questa diventa meno pericolosa, ci si sente meno soli e si trasforma in una risorsa che unisce e favorisce il lavoro di squadra. Infine, quando questo non è sufficiente, è fondamentale anche sapersi fermare, darsi dei limiti e saper chiedere aiuto. Può succedere che la paura, ad esempio, sia percepita come fortemente invalidante e ostacoli il lavoro o la vita quotidiana: prima che questa prenda il sopravvento è consigliabile rivolgersi ad uno psicologo per un aiuto professionista. Per questo, il Servizio di Psicologia della Fondazione Turati, fin dall’inizio dell’emergenza coronavirus, è rimasto attivo a sostegno del personale in RSA tramite colloqui individuali e consulenze di reparto anche in videochiamate.

 

 

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Info Barbara Atzori

La dottoressa Barbara Atzori è una psicologa libero professionista con esperienza in ambito sanitario. Ha conseguito un dottorato di ricerca nel 2016 in Psicologia e Terapia del dolore e si è occupata di ricerca nel contesto clinico-ospedaliero. Da novembre 2019 esercita la professione presso la Fondazione Filippo Turati di Gavinana (PT) a sostegno dei pazienti e del personale dei diversi reparti.

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