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contenzione

Nuove frontiere per l’assistenza

Il modello della sanità triestina. L’eliminazione della contenzione per restituire dignità alle persone. L’impegno del personale sanitario che opera nei Centri della Fondazione Turati.

6/02/18 - Aline Pizzardi

Quando nel Febbraio 2017 mi confrontai con Beatrice Cioni, appena arrivata nella sede di Zagarolo della Fondazione Turati con il ruolo di Direttore, fu subito chiaro che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda in termini di filosofia dell’assistenza. Anch’io ero a Zagarolo da pochissimo, come coordinatrice infermieristica.

Ne è scaturito un cammino stimolante nell’ottica di un continuo miglioramento e una voglia di aprirsi verso tutto ciò che può rendere sempre più dignitosa la vita delle persone che si affidano a noi.

L’eliminazione della contenzione – intesa come qualsiasi tipo di limitazione fisica e restrizione nella libertà di movimento che comporti l’uso di presidi o di farmaci –  è immediatamente stato uno dei temi sul quale abbiamo incrociato le nostre reciproche esperienze ed idee. Sulla contenzione abbiamo con entusiasmo progettato un percorso; il primo passo di questo “viaggio” è consistito nell’intercettare in giro per l’Italia Maila Mislej e Livia Bicego, dirigenti infermieristiche friulane, pioniere attivissime su questo fronte. A loro abbiamo richiesto di accoglierci a Trieste per poter capire, chiedere, vedere.

Ovviamente, oltre al tema della contenzione, ci interessava capire in cosa consistesse il plus di qualità nell’assistenza fornito dal modello triestino.

Così, una delegazione composta da nove persone provenienti dalle tre sedi della Fondazione ed appartenenti a diverse professionalità, è partita per una “tre giorni” triestina. Cosa abbiamo trovato?

Una felice congiunzione di “vertici” sanitari illuminati, operatori sanitari con una grande consapevolezza del proprio ruolo, soldi spesi con appropriatezza e lungimiranza – in particolar modo per la prevenzione – ci hanno fornito un quadro che non parla di idilli, ma mostra che le cose possono essere fatte come si deve.  Nelle strutture, nell’assistenza domiciliare, nei luoghi potenzialmente a rischio, nell’ospedale gli infermieri hanno ruoli chiave che derivano da competenze e consapevolezza della professione, perno fondamentale del  “nursing abilitante”.

Gerarchie “appiattite” e integrazione professionale permettono la massima efficacia ed efficienza, dimostrando che, come sempre nella società, si può cambiare se cambia la cultura, la mentalità dei professionisti. Nel rispetto delle reciproche competenze e mantenendo sempre ben focalizzato l’obiettivo unico per il quale si lavora, abbattere la rigidità – anche burocratica – che non permette la fluidità dell’intervento è risultata una componente essenziale per la riuscita della assistenza su diversi ambiti.

Il dialogo interprofessionale e la rete costruita permette una presa in carico a 360°, a partire da chi ha bisogno di un ricovero in fase acuta, fino al bisogno della persona sola, anziana e diabetica che necessita di prestazioni e servizi ma anche di soldi per fare la spesa.

Le strutture che abbiamo visitato, parlano del rispetto della persona come sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, supportandole nelle varie fasi dei loro bisogni di salute, attraverso una reale sanità di iniziativa. Letti con una sola spondina alzata, materassi a terra a protezione di cadute accidentali, percorsi ed ambienti protetti ma liberi per persone con malattia di Alzheimer a diversi livelli, attività e luoghi fisici attrezzati alla stimolazione sensoriale, pronti soccorsi ospedalieri che collaborano con i distretti territoriali per evitare ricoveri impropri ed offrire risposte immediate al cittadino direttamente a casa sua, laddove possibile. I presidi socio-sanitari (microaree, portierato sociale) insediati direttamente all’interno dei luoghi a rischio per povertà, nei quartieri popolari, hanno il potere di raccogliere direttamente il bisogno laddove sorge e di attivarsi secondo necessità. Ciò che gli operatori stessi tengono a sottolineare, è l’obiettivo di stimolare sempre l’autonomia e non di fornire assistenzialismo, pericoloso per tutta la comunità. La bella sensazione percepita nel partecipare dal vivo alle loro attività, è stata quella di una grande coesione sociale, di una totale (e meritata) fiducia nelle istituzioni pubbliche e private da parte dei cittadini. Un senso di comunità che si è in gran parte perso nel nostro Paese.

Nel lungo viaggio di ritorno, ognuno di noi ha considerato, confrontato, riflettuto… ritorniamo nelle nostre sedi della Fondazione Turati orgogliosi di ciò che finora abbiamo fatto ma consapevoli di dover approfondire ed implementare tanti elementi del modello triestino. Non un “copia e incolla”, ma un “fermati e rifletti”. Con gioia ed entusiasmo abbiamo guardato verso una direzione che ci sembra illuminata, e con lo stesso entusiasmo ne assorbiamo l’energia e l’esempio culturale che dovrà tramutarsi  – attraverso la  condivisione con gli operatori sanitari – in un modus operandi che non deve prescindere mai dal rispetto della dignità e della libertà della persona. Chi è in prima linea nell’assistenza alle persone H24, ha il compito più difficile – ma anche più bello di tutti. Come disse Florence Nightingale, “L’assistenza è una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle”. Oggi, a questa storica citazione,  vogliamo aggiungerne un’altra che riteniamo altrettanto bella ed importante di Maila Mislej: “Se si può, si deve”.

Aline Pizzardi

 

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Archiviato in:Idee e proposte Contrassegnato con: Livia Bicego, Maila Mislej

Info Aline Pizzardi

Nata a Voiron (Francia) da genitori originari di Terracina, cittadina sul mare in provincia di Latina, è dapprima cresciuta professionalmente in ambiente turistico e, successivamente, ha conseguito la laurea in Infermieristica all'università di Roma La Sapienza, alla quale ha poi affiancato il master in Management e Coordinamento dell'Alma Mater Studiorum di Bologna.
Dal 2007 al 2014, presso l’azienda ospedaliero-universitaria S. Orsola Malpighi della stessa città, ha lavorato come infermiera, raccogliendo un'esperienza professionale e formativa molto significativa, specie in ambito geriatrico e soprattutto per la collaborazione costante con il Centro studi Evidence Based Nursing sito all'interno del policlinico stesso.
Dal 2014 ha lavorato al Policlinico Umberto I di Roma in day hospital reumatologico e in seguito collaborando con l’Istituto Nazionale per la Salute, Migrazione e Povertà. Dal 2017 è coordinatrice infermieristica presso il Centro socio-sanitario di Zagarolo della Fondazione Turati. Nel tempo libero si dedica all'arrampicata sportiva, al nuoto e alla passione per il tango argentino.

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