Sono sempre di più gli italiani insoddisfatti del Servizio sanitario nazionale. Il dato emerge dal 15° rapporto annuale “Ospedali&Salute 2017” promosso dall’Aiop, l’associazione italiana di ospedalità privata. Il malcontento è espresso dal 32,2% delle persone intervistate, una percentuale in crescita di 11 punti rispetto al 2015 quando i critici si erano fermati al 21,3%. Nel mirino soprattutto gli ospedali pubblici, in un solo anno gli scontenti sono passati passati dal 22,7% al 30,2 con punte del 50,6% nelle regioni meridionali. Da notare infatti che le percentuali riportate costituiscono la media nazionale e quindi c’è da tenere presente (parleremo nei prossimi numeri delle differenze fra regione e regione) che il dato del sud pesa molto sulle valutazioni finali. Il giudizio negativo deriva soprattutto da due fattori. Il peggioramento del trattamento dei pazienti, e la lunghezza dell’attesa per avere il trattamento richiesto, giudizio questo espresso dal 54,1% dei pazienti intervistati (il dato del 2014 era del 24,2%). L’insoddisfazione per il servizio e l’attesa per la sua erogazione spingono una percentuale non secondaria della popolazione a ricorrere alle strutture accreditate o private (39,3% nel 2017 rispetto al 35,5% del 2009), a rivolgersi ad ospedali fuori regione (30%) o a recarsi addirittura all’estero (18,5% nel 2017 rispetto al 14,1 del 2013).
Tutti comportamenti che hanno la conseguenza diretta di far lievitare la spesa sanitaria privata delle famiglie che oggi è arrivata a 40 miliardi l’anno con un incremento che negli ultimi 10 anni è stato del 22,4% a fronte di aumento della spesa pubblica del 14,2. Le ragioni che spingono i singoli ad investire in salute, nonostante sulla carta il Servizio sanitario sia universale e solidale, sono fondamentalmente quattro:
- le liste d’attesa troppo lunghe;
- il desiderio di scegliersi uno specialista di fiducia;
- la sfiducia in alcuni ospedali e nei relativi servizi;
- la necessità di avere medicinali che o non sono prescrivibili o necessitano di particolari lungaggini burocratiche.
Non tutti ovviamente possono accedere al mercato privato della sanità. Infatti il 26,8% degli intervistati è stato costretto nel 2017 a rimandare o rinunciare alle cure, con l’aggravante che il 20% di questi aveva rinunciato a curarsi anche nel 2016. Di fatto un depotenziamento dell’universalità e gratuità del Servizio sanitario pubblico che, a questo punto, senza una riforma vera e profonda fa saltare quel diritto alla salute che, nel nostro Paese, sembrava ormai definitivamente acquisito.
Giancarlo Magni