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Giovanni Spiti

Il dr. Giovanni Spiti è direttore amministrativo e segretario generale della Fondazione Filippo Turati Onlus.

La non autosufficienza tra passato presente e futuro

25/10/22 - Giovanni Spiti

Ho avuto il piacere di essere stato invitato martedì 18 ottobre 2022 da una primaria compagnia di assicurazioni a parlare del problema inerente la non autosufficienza. Allo stesso convegno ero stato invitato tre anni fa e, quindi, ho esordito dicendo che in tale occasione nessuno si sarebbe mai immaginato che di lì a poco sarebbe successa una catastrofe di dimensioni così grandi che avrebbe stravolto la vita di tutti noi. Per chi gestisce RSA e centri sociosanitari è stata una situazione gestionale difficilissima per tantissimi motivi, che ha avuto purtroppo risvolti negativi anche sotto l’aspetto della tenuta economica delle nostre strutture.  La Fondazione Turati ha adottato in questi anni misure addirittura più restrittive rispetto a quelle imposte dalle normative e questo ha scongiurato perdite in termini di vite umane come purtroppo si sono registrate in altre realtà.

Di seguito i numeri relativi al Covid nel biennio 2020 e 2021:

 

L’eccesso di mortalità interessa più gli uomini e gli anziani.
Delle 58mila unità stimate come eccesso di mortalità nel 2021, circa 32 mila sono uomini e 26 mila donne, confermando che la pandemia colpisce letalmente soprattutto il genere maschile. In base all’età le perdite umane in eccesso si concentrano tutte dopo i 50 anni e risultano maggiori all’avanzare dell’età.
Si registra un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa soprattutto le classi 80-94 anni (oltre 16mila decessi in più), mentre per le donne prevale nella classe 85-99 anni (circa 18mila).

Un altro importante fattore da tener presente è la situazione demografica in prospettiva a medio e lungo termine e le aspettative di vita alla nascita:

 

 

Nel 2021 la speranza di vita alla nascita è stimata in 80,1 anni per gli uomini e in 84,7 anni per le donne.

Senza distinzione di genere risulta pari a 82,4 anni. Le stime, pertanto, mostrano un recupero rispetto al 2020, quantificabile in 4 mesi di vita in più per gli uomini e in circa 3 per le donne. Rispetto al periodo pre-pandemico, tuttavia, il gap rimane sostanziale. Nel confronto con il dato del 2019, per esempio, gli uomini subiscono una perdita in termini di speranza di vita alla nascita di 11 mesi, le donne di 7.

Non si smette di invecchiare nonostante la pandemia, in relazione al permanente regime di bassa fecondità, nonché al fatto che si vive sempre più a lungo, la struttura della popolazione prosegue il suo progressivo scivolamento verso le età senili, anche in una fase storica come quella corrente, caratterizzata dalla presenza del Covid con pesanti ricadute letali per la sopravvivenza della popolazione anziana.

Il trend demografico è segnato dal calo della popolazione che dai 59 milioni del 2021 passa ai 54 milioni del 2050 per poi accelerare fino ai poco meno di 48 milioni del 2070. Gli ultrasessantacinquenni passeranno dal 23,5% al 34,1% del 2070, così come gli ultraottantacinquenni saranno più che raddoppiati, dal 3,7% al 9,3%.

Un altro dato importantissimo e da tenere ben presente in quanto contribuisce ad accelerare il percorso che può portare alla non autosufficienza di una persona è lo stato familiare. Dalla slide sottostante possiamo, purtroppo, vedere che moltissime persone over 65 vivono in solitudine, con una forte prevalenza del genere femminile.

 

Il Frailty Index (indice di fragilità) tratto da Italia Longeva PC-FI si basa su 25 problemi di salute (comprendenti malattie croniche, aspetti funzionali e nutrizionali, segni, sintomi selezionati da un algoritmo informatico validato.

Attraverso una serie di elaborazioni si giunge alla individuazione di 4 livelli di fragilità, cui corrispondono altrettanti rischi e in prospettiva adeguate risposte. L’indagine è fatta su 89 province a livello nazionale e 8 in Toscana (mancano Siena e Livorno).

Sull’intero territorio nazionale, il 6,5% della popolazione over-60 frequentante il MMG è affetto da fragilità grave, mentre il 14,1% è affetto da fragilità moderata e il 35,5% da fragilità lieve. La proporzione di individui affetti da fragilità grave è lievemente maggiore tra i maschi (6,8% contro 6,2%) e cresce all’aumentare dell’età, passando dallo 0,8% nella fascia 60-65 al 17,3% nella fascia 80+.

La percentuale di over60 affetti fragilità grave varia dal 5,3% nell’area geografica del nord, all’8,2% nell’area del sud e isole, passando per il 6,2% nell’area centro.

In Toscana sono poco più di 50.000 le persone affette da fragilità grave, con una incidenza leggermente inferiore alla media nazionale.

 

Le risposte

L’assistenza domiciliare

Le cure domiciliari sono in costante crescita quantitativa ma la durata dei singoli interventi è quasi sempre breve mentre la sua intensità (le ore di assistenza settimanali) è spesso modesta. Per avere una idea della situazione occorre rammentare che attualmente sono erogate in media annua per ogni anziano assistito a domicilio solo 9 ore di lavoro dell’infermiere e altre 6 ore di altre professioni sanitarie (Ministero della Salute 2021). L’80% degli anziani assistiti a casa riceve da 1 a 3 accessi mensili. Le cure domiciliari, inoltre, non tengono conto delle esigenze complessive delle persone non autosufficienti che hanno un bisogno duraturo di aiuto anche e soprattutto nel compimento degli atti della vita quotidiana. Inoltre, in genere, non sono presenti sistemi di supporto, consulenza e informazione nelle 24 ore per quei pazienti domiciliari che possono avere delle urgenze percepite che, se risolte, potrebbero evitare ricoveri inappropriati. L’attuale modello di intervento non è in grado di intercettare una buona parte dei bisogni assistenziali domiciliari con particolare riferimento ai bisogni della non autosufficienza.

 

Assistenza presso le RSA

Gli inserimenti in RSA hanno visto un leggerissimo aumento: oltre all’impatto del Covid-19, pesa l’inadeguatezza delle risorse per quote sanitarie ed intervento sociale dei Comuni.

Anche per questa ci sono significative disparità territoriali.

In Toscana i posti letto complessivi di RSA sono 14.000, i posti letto accreditati e convenzionati sono 12.800 e la Regione Toscana garantisce la copertura per circa 9.000 posti letto, totalmente insufficiente per la copertura del fabbisogno. La tariffa delle RSA si distingue in due classi, una quota sociale ed una quota sanitaria. La quota sanitaria è appunto quella coperta dal SSR che, come detto poco fa, è del tutto insufficiente, l’altra è la quota sociale per la quale interviene il Comune di Residenza in base all’ISEE del cittadino. La quota complessiva è pari a circa 110 euro al giorno di cui il 50% di quota sanitaria ed il 50% di quota sociale.

Badanti e colf

Risulta sempre più diffuso il ricorso a colf e badanti: su circa 2,2 milioni stimate, oltre 1 milione sono irregolari.

Nel 2019 le famiglie italiane hanno speso complessivamente per colf e badanti 15,1miliardi​ di euro così suddivisi: 8 miliardi per badanti e 7,1 miliardi per colf. In questa cifra, sono compresi  i costi per i lavoratori domestici non in regola, che rappresentano quasi il 60% del totale del settore. Considerando invece il solo lavoro domestico regolare, la spesa annua si attesta sulla cifra di 7,1 miliardi: 5,7 di retribuzione netta più contributi previdenziali e Tfr.

Impossibile sostenere il costo economico con una pensione

Come ben sanno le famiglie che si avvalgono di una badante per assistere il proprio congiunto anziano o disabile, è praticamente impossibile poter pagare un lavoratore in regola con la sola pensione media dell’anziano: analizzando le entrate degli anziani con reddito prevalente da pensione, e i consumi medi degli ultra 65enni che vivono da soli, il margine di risparmio da destinare a un aiuto domestico è molto ridotto. La maggior parte dei pensionati (il 55%) può permettersi solo un’assistenza di 5 ore a settimana, ma se le ore passano a 25 la percentuale di chi può usufruirne cala drasticamente (20%) e solo pochissimi riescono a sostenere, con il solo reddito pensionistico, aiuti superiori.
Nel caso di​ assistenza a persone non autosufficienti​ la situazione precipita: in questo caso i pensionati che possono permettersi un’assistenza con personale adeguatamente preparato è del 4%. Percentuale che si alza tra il 6 e l’8% se si fa ricorso a lavoratori non formati.

Il risparmio per lo stato

Questa “compartecipazione famigliare” all’assistenza, il risparmio per lo Stato si attesta sui 10,9 miliardi di euro annui che altrimenti dovrebbero essere destinati dalle casse pubbliche alla gestione delle strutture di assistenza di anziani e non autosufficienti.

Come è ripartita tra regioni (anno 2018)

La spesa sanitaria

Vediamo a quanto ammonta la spesa per la sanità e quanto è sostenuta dal pubblico e quanto dal privato e volontariato.

Nel 2015 la spesa sanitaria complessiva era di € 150,4 mld, di cui 114,6 mld di spesa pubblica e 35,8 do spesa privata. Nel 2020 la cifra complessiva era di € 162,5 mld, di cui € 126,7 pubblica ed € 35,8 privata.

 

Nell’ambito dei servizi, l’assistenza ambulatoriale è la funzione in cui è maggiore la componente privata di finanziamento, con il 37% finanziato direttamente dalle famiglie e il 3% intermediato da regimi di finanziamento volontari. All’estremo opposto si collocano i ricoveri ospedalieri (ordinari e diurni), per i quali il finanziamento è quasi esclusivamente pubblico. Diversamente, nell’assistenza a lungo termine, sia ambulatoriale (presa in carico di particolari target di popolazione inseriti in programmi di assistenza continuativa quali, per esempio, i pazienti cronici o dei dipartimenti di salute mentale) che ospedaliera (tipicamente ricoveri in RSA), si assiste alla presenza di una quota rilevante di finanziamento privato, che passa dal 11% per l’assistenza ambulatoriale al 36% per l’assistenza ospedaliera. Rilevante è anche la componente privata per i servizi ausiliari (diagnostica per immagini e analisi di laboratorio, servizi di trasporto), che ammonta al 26%. Per i prodotti, la componente di spesa privata appare ancora più consistente: vale il 37% per i prodotti non durevoli (farmaci e altri prodotti medicali non durevoli) ed il 21% per le apparecchiature terapeutiche e gli altri prodotti durevoli (di cui il 6% tramite regimi di finanziamento volontari).

 

La spesa sanitaria privata procapite per regione (2019)

 

La non autosufficienza come priorità politica

Il 10 ottobre, il Governo Draghi – in occasione del suo ultimo Consiglio dei Ministri – ha approvato il testo del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale del settore della non autosufficienza. Una approvazione che dovrebbe così avviare l’iter della riforma, che prevede nell’autunno la seconda fase del procedimento legislativo: la discussione del Disegno di Legge Delega in Parlamento, che avrà tempo sino a primavera 2023 per portarlo a termine. Un traguardo atteso da trent’anni che, nel frattempo, è stato raggiunto in tutti i Paesi europei simili al nostro.

il Disegno di Legge Delega prevede:

  1. l’introduzione di un Punto Unico di Accesso – presso le Case di Comunità – quale luogo fisico di facile individuazione che offra informazioni sugli interventi disponibili, orientamento su come riceverli e supporto nelle pratiche amministrative (volto, dunque, a ridurre le distanze tra i servizi e i beneficiari);
  2. la Valutazione multidimensionale unificata, che assorbe le diverse valutazioni nazionali esistenti e definisce la possibilità di ricevere le prestazioni statali. Alla Valutazione è collegata la successiva valutazione multidimensionale territoriale, di competenza di Regioni e Comuni, per ottenere le prestazioni di loro responsabilità: svolta la prima, gli anziani sono indirizzati alla seconda, che parte dalle informazioni raccolte in precedenza;
  3. la valorizzazione di una “nuova domiciliarità“, capace di assicurare risposte unitarie da parte di Comuni e ASL e offrire un appropriato mix di prestazioni: medico-infermieristico-riabilitative, garantendo l’assistenza per il tempo effettivamente necessario;
  4. la considerazione, in sede di valutazione delle condizioni della persona anziana e di successiva definizione del Piano Assistenziale Integrato, delle condizioni del caregiver familiare, ove presente, con riguardo ai suoi specifici bisogni di supporto, anche psicologico. La delega prevede interventi di formazione e certificazione delle competenze acquisite nel corso dell’esperienza sviluppata e, inoltre, forme integrate di sostegno, per evitare che l’impegno assistenziale possa costituire un pregiudizio per la vita lavorativa.

La proposta mira essenzialmente a raggiungere lo scopo del cosiddetto invecchiamento attivo, per la promozione dell’autonomia delle persone anziane e il benessere degli assistenti familiari a supporto degli anziani non autosufficienti. Appaiono invece non particolarmente focalizzati i temi della residenzialità e della tutela dei caregiver familiari, lasciando intravedere margini di miglioramento della proposta.

Problemi aperti

Quella delineata è la situazione della fragilità e della non autosufficienza allo stato attuale e, per quanto riguarda l’ipotesi di riforma, in prospettiva.

È necessario individuare però i problemi che concretamente si trovano di fronte le persone e le famiglie.

Le risposte che cercherò di sintetizzare si basano sull’esperienza diretta sul campo fatta dalla Fondazione Turati, che con le sue strutture assiste tutta la vasta gamma della post-acuzie (cioè dei bisogni di cura che si manifestano a valle dei momenti acuti delle malattie che vengono trattati in ospedale) con particolare riferimento ai ricoveri a lungo termine come quelli offerti in RSA per anziani non autosufficienti, RSD per disabili gravi, reparti per soggetti affetti da Alzheimer e in stato vegetativo permanente e dalla Fondazione Raggio Verde che assiste minori e adulti affetti da disturbi dello spettro autistico.

Le difficoltà sono ovviamente molteplici ma le principali rispondono essenzialmente a due questioni:

  1. L’adeguatezza della risposta al bisogno, cioè avere la soluzione migliore e più appropriata a fronte del problema che ha quella data persona;
  2. Il costo della risposta;

Ad oggi il settore della Long Term Care (assistenza a lungo termine) ha le seguenti caratteristiche:

  1. è prevalentemente privato
  2. l’offerta di servizi è largamente inferiore alla domanda potenziale
  3. ha costi molto elevati
  4. presenta un’alta percentuale di improvvisazione e di scarsa professionalità

A questa situazione si sta cercando di dare una risposta con il Disegno di legge Delega per la riforma del settore della Non Autosufficienza ma l’impresa è titanica sia per lo stato della finanza pubblica italiana sia per l’eccessiva burocratizzazione di tutto il settore pubblico sia per la difficoltà di trovare delle risposte valide a fronte dell’enorme varietà di casistiche del settore.

È auspicabile che le cose migliorino ma il progresso sarà minimo rispetto a quello che sarebbe necessario anche perché la risposta principale della riforma sarà il potenziamento dell’assistenza domiciliare che è certamente una cosa giusta e da perseguire ma che può essere una risposta valida solo per una parte dei problemi concreti che si porta dietro il forte invecchiamento della popolazione.

Anche domani sarà la famiglia a doversi fare carico, in misura maggiore o minore, dei problemi della persona fragile, disabile o non autosufficiente. Così diventa estremamente importante intervenire sulla seconda delle difficoltà evidenziate, vale a dire il costo di una risposta adeguata al bisogno di quella data persona.

Anche in caso di intervento pubblico che attualmente è molto basso (si pensi solo che in Toscana a fronte di 14mila posti nelle RSA, il pubblico riconosce, esclusivamente per mancanza di soldi, solo 9000 quote sanitarie che di regola coprono circa la metà dei costi di un ricovero in RSA che oggi oscilla intorno ai 3000 euro al mese) le cifre da pagare di tasca propria sono comunque notevoli. Ma poi c’è da considerare il disagio sociale, la difficoltà di tenere in case che spesso sono piccole e scomode persone con problemi gravi, oppure al contrario si pensi alla necessità di una famiglia con soggetto disabile fisico o intellettivo di sapere cosa riserverà il futuro al loro congiunto (il Dopo di Noi), di trovargli una collocazione che non necessariamente deve essere una struttura ma anche una casa dotata di una certa assistenza etc. Sul problema del Dopo di Noi si stanno muovendo molte realtà del volontariato (anche la Fondazione Raggio Verde sta muovendosi in maniera più strutturata) ma nel settore le difficoltà e i costi sono ancora maggiori.

Proposta

Risulta opportuno intervenire nel settore attraverso ad esempio polizze assicurative appositamente studiate per garantire la copertura di una parte dei costi per una soluzione di Long Term Care (badante, servizi integrativi a quelli offerti dal pubblico, quota-parte di retta in una struttura) oppure per garantire in tutto o in parte il Dopo di Noi. Sotto quest’ultimo aspetto, che negli anni a venire prenderà sempre più spazio e assorbirà sempre più risorse potrebbe anche essere creato un trust che è un istituto giuridico con cui i beni del patrimonio di un soggetto vengono separati per perseguire specifici interessi a favore di determinati beneficiari oppure per raggiungere uno scopo determinato. I beni separati vengono gestiti da una persona (trustee) o da una società professionale (trust company) magari in collaborazione con Enti del Terzo Settore, come ad esempio Fondazione Turati o Fondazione Raggio Verde, che già operano nel settore.

 

 

 

non autosufficienza
Un momento del convegno presso l’agenzia Generali di Pistoia

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Come cambia il welfare

12/04/19 - Giovanni Spiti

Invecchiamento della popolazione in Italia: come cambia il welfare

La popolazione italiana vive molto a lungo: la speranza di vita alla nascita è di 82,8 anni, in netta ascesa, si passa infatti da un’aspettativa di vita di soli 55 anni nel 1930 fino ad arrivare ad 83 anni oggi. Questo è il dato più alto di Europa.

L’effetto combinato di questo dato con il decremento del tasso di natalità genera il cosiddetto indice di vecchiaia che non è altro che il rapporto tra la popolazione over 65 anni e la popolazione di 0-14 anni, moltiplicato per 100. Questo dato nel 2017 era pari al 165,3%. Era 157,7% nel 2015 e 163,4% nel 2016. Il significato di questo rapporto è molto semplice e cioè che ci sono molti più anziani rispetto ai giovani e che questo sbilanciamento è in continua crescita.

Nel 2017 sono nati in Italia 464 mila bambini, il peggior risultato dall’Unità d’Italia ad oggi. Il saldo con il numero dei morti è negativo (-191 mila unità), compensato quasi completamente dal saldo migratorio positivo (+188 mila unità). Il movimento naturale della popolazione (nati – morti) è però sempre più negativo mentre il saldo migratorio è sempre meno positivo.

In effetti è così: la popolazione anziana (da convenzione gli over 65) rappresenta il 22,3% della popolazione, contro una media europea del 19,4%. È, manco a dirlo, il dato più alto di tutta Europa. Storicamente siamo sempre stati tra i paesi con una maggiore quota di anziani, certo le proporzioni sono aumentate in modo molto significativo con il passare del tempo, basti pensare che nel 1983 la quota di ultrasessantacinquenni era del 13,1%.

Tutte le previsioni demografiche indicano che i processi in corso fotografati dai dati sopra riportati proseguiranno il loro trend, aggravando il processo di invecchiamento della popolazione in Italia.

Secondo le previsioni, da qui al 2045 la percentuale della popolazione over 65 arriverà al 33,50%.

Cosa succederà in Toscana? Con una popolazione sostanzialmente stabile, sopra 3,7 milioni di residenti, aumenteranno di un terzo gli ultrasessantacinquenni da 940 mila a più di un milione e 250.000 ma soprattutto aumenteranno del 70%  i grandi vecchi, gli ultraottantacinquenni, da 157.000 a 266.000 con un aumento addirittura del 69%.

Ma com’è lo stato di salute degli over 65?

Quasi la metà degli ultrasessantacinquenni (45%) soffre di tre o più malattie croniche, mentre le limitazioni nella vista riguardano un quarto (23,95) e quelle  nell’udito quasi il 40%: la stessa percentuale di chi ha limitazioni motorie.

Per quanto riguarda lo stato di autosufficienza, il 22% ha difficoltà nella cura della persona e il 40% nello svolgimento delle attività domestiche.

Il 17,4%, uno su sei, è stato ricoverato in ospedale negli ultimi 12 mesi: la quasi totalità (92%) nell’arco dell’anno si è rivolto al medico di famiglia mentre due su tre (64,4%) hanno fatto ricorso allo specialista.

La definizione di disabilità

I dati sulla non autosufficienza in Italia variano molto: perché non autosufficienza è un concetto difficile da definire, che racchiude una serie eterogenea di diversità e capacità corporee, cognitive e sensoriali. È difficile in particolare definire con esattezza il passaggio dalla autosufficienza alla non autosufficienza. Basti pensare che da qualche anno la Regione Toscana ha istituito una tipologia di assistenza in RSA denominata Bassa Intensità Assistenziale che tratta, appunto, quei casi limite in cui non è possibile stabilire con esattezza se siamo in presenza di casi auto o non autosufficienti.

Nonostante le difficoltà nella definizione, i dati riportati dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute  parlano di 2 milioni e 300 mila persone non autosufficienti di età superiore a 65 anni, che rappresentano il 17% della popolazione anziana. Questo dato, confrontato con il dato del 2007, fa vedere come anche questo fattore sia notevolmente aumentato.

Ad aggravare questa condizione dobbiamo considerare un altro dato e cioè che tra gli ultra 65enni il 42,4% vive da solo. Si tratta di una diffusa condizione di vulnerabilità che vede coinvolto  un numero elevato di persone, le quali non possono contare sull’aiuto di un familiare.

Oltre a soffrire di  queste gravi limitazioni  le persone con disabilità vivono in precarie condizioni psicologiche, come testimonia il fatto che oltre l’8,5% di queste persone soffre di un disturbo depressivo grave.

L’incremento previsto dei non autosufficienti in Italia passerà da 2.300.000 del 2017 a 4.930.000 nel 2050, pari al 5% della popolazione.

In Toscana il Rapporto sulla disabilità redatto a cura della Regione stima che i disabili passeranno dagli 85.000 circa  del 2015 ai 105.000 circa del 2030.

Purtroppo, a tale incremento dei bisogni di assistenza non corrisponde un aumento delle risorse investite. La crescente domanda di servizi non trova in questo senso un’adeguata risposta nell’offerta pubblica e privata, con tutto ciò che ne consegue per le famiglie. Se ieri il welfare statale era sufficiente, oggi non lo è più.

Sino ad oggi  per far fronte alle esigenze derivanti dall’invecchiamento della popolazione e dalla progressiva crescita degli anziani non autosufficienti, due sono state le risposte.

La prima è stata quella della “domiciliarità” con un ruolo centrale delle famiglie, supportato da risorse e servizi pubblici di sostegno.

La seconda è stata quella della “residenzialità” fondata sulla rete territoriale di presidi socio sanitari e socio assistenziali.

In Toscana al 31/12/2014 risultavano attivi circa 900 presidi residenziali con circa 24.000 posti letto, 6,4 ogni 1.000 persone residenti.

Gli ospiti sono prevalentemente anziani, 18.041, seguiti dagli adulti dai 18 ai 64 anni, 4582 ed dai minori 1181

La maggior parte dell’offerta residenziale in Toscana è di tipo socio-sanitario (77,4% dei posti letto) e fornisce un livello di assistenza medio  (54%) erogando trattamenti medico-sanitari estensivi di lungo periodo a pazienti in condizioni di non autosufficienza.

La titolarità delle strutture è in carico a enti non profit nel 44% dei casi, a enti pubblici nel 30%, a entri privati for profit in circa il 25% dei casi.

La gestione dei presidi residenziali è affidata prevalentemente a organismi di natura privata (83% dei casi), soprattutto di tipo non profit (45%); il 18% delle residenze è gestita da enti di natura religiosa; al settore pubblico spetta la gestione di circa il 17% dei presidi.

Per le rette occorre ricordare che vanno distinte la quota sanitaria, a carico del SSR, relativa ai fattori produttivi di carattere sanitario (personale, materiale di consumo sanitario), stabilita al massimo nel 50% del costo complessivo e la quota sociale, relativa ai costi di erogazione dei servizi alberghieri e di funzionamento della struttura.

Le Regioni si sono preoccupate di definire la ripartizione fra quota sanitaria e quota sociale, lasciando ai singoli Comuni la determinazione della compartecipazione alla spesa dell’assistito.

Per quanto concerne l’importo delle rette, dati di difficile rilevazione, la tariffa complessiva “media” nazionale delle strutture residenziali sanitarie è di circa 105  euro, ovviamente con ampia oscillazioni  – fra gli 80 e i 143 euro per i casi a maggiore intensità assistenziale – in ragione della funzione assegnata alle RSA nel sistema regionale di cure, degli standard di personale, della consistenza delle prestazioni a carico al SSN e della presenza più o meno marcata di strutture a più alta complessità assistenziale.

Mediamente  a livello nazionale la ripartizione delle spese per RSA  vedeva il 51% coperto dal Servizio sanitario e per il 46,6% dall’assistito, con un modesto supporto dal Comune di residenza (2,4%).

A ciò bisogna aggiungere un contesto generale caratterizzato dalla sempre più difficile sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e dalla crescita significativa della spesa sanitaria privata: +3,2% nel biennio 2013-2015, quando la crescita dei consumi si è fermata ad esempio solo al +1,7%. Sempre più spesso, infatti le famiglie ricorrono al settore privato, allo scopo di aggirare liste d’attesa divenute eccessivamente lunghe e anche per il costo dei ticket, che in molti casi ha quasi raggiunto quello delle tariffe proposte nel privato. La spesa sanitaria privata ha raggiunto i 34,5 miliardi di euro, pari al 25% della spesa sanitaria complessiva e da qui al 2050 si parla addirittura di una esplosione della spesa sanitaria complessiva con un incremento del 150%, per cui il ruolo delle forme di sanità integrativa è destinato a diventare sempre più centrale in quanto la spesa privata non potrà aumentare in maniera tale da poter coprire tutto il fabbisogno di assistenza. Arriveremo ad una svolta epocale in quanto la spesa sanitaria privata e le forme di sanità integrativa non riguarderanno più le famiglie più abbienti o i lavoratori dipendenti, ma si estenderanno gioco forza anche alle categorie meno abbienti. Nel 2015, la spesa relativa alla sanità integrativa è stata di quasi 4,5 miliardi, pari a oltre il 13% della spesa sanitaria privata. Questo dato è, per le ragioni appena descritte, destinato ad incrementarsi in maniera significativa.

In questo particolare momento storico in Italia, a causa di una progressiva riduzione del ruolo della famiglia nel prestare assistenza, di una modesta copertura dei servizi di assistenza domiciliare, di una scarsità dei posti letto in presidi residenziali e sociosanitari, si sta verificando quello che è stato chiamato il  “modello italiano di sostegno alla non autosufficienza” fondato  sulla esternalizzazione del servizio di cura dall’ambito domestico alla figura del collaboratore familiare e soprattutto del “badante”.

Tuttavia questo modello, fino ad oggi tutto sommato a basso costo e ad alto valore, sta entrando in crisi sia per la riduzione dei redditi familiari sia per la crescente presa di coscienza da parte di lavoratori e lavoratrici “badanti” del ruolo che hanno assunto con le conseguenti legittime rivendicazioni in termini di diritti e retribuzioni, sia e soprattutto per la scarsa professionalità che tali figure hanno nel prestare quella che è diventata un’assistenza sempre più specialistica.

Un’indagine del CENSIS mette in luce come  oggi sia emersa una propensione potenziale degli italiani ad accantonare risorse dedicate a finanziare nel tempo forme di tutela dalla non autosufficienza: quindi esiste una propensione potenziale ad investire nel tempo per costruirsi una tutela adeguata.

La questione centrale è: come si mette concretamente in movimento l’accumulo concreto di queste risorse? Con quali prodotti assicurativi? Con quali  connotati dei soggetti chiamati a operare su questo mercato? Con quali strumenti di promozione, anche fiscale, dell’importanza strategica che hanno per una buona longevità il ricorso a strumenti di assicurazione sociale per la non autosufficienza?

Un tema che è anche al centro delle forme di secondo welfare, degli accordi aziendali integrativi che sempre più diffusamente se ne occupano.

 

Indicazioni bibliografiche:

ARS – Regione Toscana, Welfare e salute  in Toscana 2017

ORS – Regione Toscana, La disabilità in Toscana Secondo rapporto – Anno 2016

Regione Toscana, I Presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari in Toscana

CGIL SPI, Le politiche per gli anziani non autosufficienti  nelle regioni italiane

ARS Toscana, Salute e qualità della vita degli anziani in Toscana – I risultati dell’indagine Passi d’Argento 2017

Rapporto Dicembre 2018 ISTAT, I PRESIDI RESIDENZIALI SOCIO-ASSISTENZIALI E SOCIO-SANITARI

2018 ISTAT  http://dati.disabilitaincifre.it/dawinciMD.jsp

OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA SALUTE NELLE REGIONI ITALIANE, Rapporto Osservasalute 2016

RBM Assicurazione salute, Il Servizio Sanitario Nazionale e le forme sanitarie integrative, nella prospettiva di un secondo pilastro in sanità

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Approfondimenti specialistici

long term care

I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

11/04/20 - Barbara Atzori

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

pet therapy

In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

Validation Therapy caregiver

Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

memoria

La memoria: fascino e cruccio

6/02/18 - Prof. Marco Ricca

Anche per la perdita di memoria, che Eschilo definì la “madre di ogni saggezza”, la diagnosi precoce svolge un ruolo fondamentale. Per correre ai ripari, specie in caso di significative amnesie, esistono terapie ad hoc e speciali mnemotecniche.

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