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Autonomia e responsabilità per assicurare i diritti essenziali ai cittadini

8/03/23 - Luciano Pallini

A sostegno della tesi che l’autonomia differenziata di fatto rappresenterebbe la secessione dei “ricchi” a scapito delle regioni più arretrate economicamente i cui cittadini sarebbero penalizzati dal minor accesso a prestazioni essenziali, si fa sempre riferimento all’esperienza della sanità, materia di competenza regionale in pratica dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale.

L’esperienza della sanità: spesa e output

Ci sono grandi disparità nelle risorse assegnate a ciascuna regione (in verità, sulla base di parametri definiti d’intesa, in sede di Conferenza Stato Regioni) e profonde disparità in termini di quantità e qualità dei servizi erogati ai cittadini, ai quali dovrebbero essere garantiti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) definiti attraverso un lungo e complicato percorso, tecnico amministrativo e istituzionale.

Nel corso di una ricerca su alcune regioni benchmark, sono state elaborate alcune semplici tabelle, riferite a 21 regioni e province autonome,  con i dati riferiti all’anno 2019, l’ultimo precedente la  pandemia, sia per  la spesa corrente pro-capite sia per il punteggio ottenuto con il monitoraggio degli adempimenti LEA.

Spesa pro capite e punteggi LEA per regione – anno 2019

(in verde chiaro per le regioni non sottoposte a monitoraggio, in arancio le inadempienti LEA)

La spesa pro capite per regione oscilla tra il minimo della Campania – 1.780 euro – ed il massimo della provincia autonoma di Bolzano – 2.398 euro – e della regione Molise – 2.390 euro –  la quale riceve oltre il 34 % in più per ogni suo cittadino rispetto alla regione Campania.  Ma tutte le regioni meridionali spendono importi più modesti della generalità delle regioni del Centro nord.

I punteggi LEA, costruiti sulla base di una apposita griglia,  possono essere considerati una misura aggregata dei servizi che il Servizio sanitario di ciascuna regione, con le risorse date, è in grado di assicurare ai suoi abitanti.

Va ricordato come la griglia LEA sia contestata da numerose parti perché inadeguata a valutare “la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini” (Osservatorio GIMBE) in particolare perché avrebbe  modeste capacità di identificare gli inadempimenti per il numero limitato di indicatori e per le modalità di rilevazione, ovvero l’autocertificazione da parte delle stesse Regioni; per il progressivo appiattimento perché indicatori e soglie di adempimento non vengono modificati dal 2015, perché la dichiarazione di adempimento è rimasta sempre la stessa, 160 su 225 punti, per il ritardo della pubblicazione del monitoraggio (circa due anni) così che si perde la possibilità di tempestive azioni di miglioramento.

Tutto ciò premesso,  il monitoraggio basato sulla griglia LEA, ancorché con i limiti richiamati, offre un indicatore approssimato  della quantità e qualità dei servizi erogati.

Autonomia differenziata e diritti dei cittadini: un percorso virtuoso

In un meditato intervento sull’autonomia differenziata pubblicato sul Corriere della Sera il 4 febbraio scorso il professor Maurizio Ferrera respinge la demonizzazione che se ne fa, ricordando che: 1) l’autonomia differenziata è prevista e disciplinata dalla Costituzione, a seguito della riforma adottata dalla maggioranza di centro-sinistra nel 2000 e confermata da referendum popolare; 2)  l’attuazione di questo principio è iniziata nel 2017, con la richiesta di trasferimento dei poteri in varie materie da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e la successiva definizione di accordi preliminari con il governo Gentiloni nel febbraio 2018; 3) negli ultimi decenni, il trasferimento di poteri e competenze dal centro alle regioni ha interessato molte democrazie occidentali.

Al centro del dibattito c’è sempre stata la medesima questione: “Da un lato, concedere maggiore autonomia in modo da promuovere flessibilità, sperimentazione, responsabilità. Dall’altro, evitare di produrre disparità di diritti fra cittadini. Conciliare questi due obiettivi si è rivelato tutt’altro che facile”.

Il punto cruciale  è rappresentato dalla  definizione del pacchetto di servizi garantiti, i livelli essenziali di prestazione (LEP),  per salvaguardare il livello minimo di prestazioni assicurate ai cittadini  a prescindere dalla regione di residenza.

Un percorso complicato quello per definire questo pacchetto di servizi  garantiti  e nel quale scompare un aspetto fondamentale, richiamato da Ferrera nel suo articolo:  “I livelli essenziali vanno definiti non solo nel contenuto, ma anche nei loro costi standard. Solo così sarà possibile quantificare le risorse che lo Stato deve garantire a ciascuna regione, a seconda del fabbisogno. La Costituzione prevede un fondo perequativo a sostegno dei territori con minore capacità fiscale”.

Ma è lo status quo, quello difeso dagli avversari dell’autonomia differenziata, che produce oggi profonde disparità tra i cittadini che ricevono molto di meno di quello che spetterebbe loro e che neanche sanno potrebbero avere, in una situazione che genera anche clientelismo e corruzione.

Afferma ancora Ferrera che è indispensabile il monitoraggio “basato sugli output (non solo la spesa, ma le effettive prestazioni e, possibilmente, la loro qualità) è la chiave di volta del federalismo fiscale” per comprendere perché, con lo stesso livello di spesa pro capite, Avellino e Lecce eroghino quantità di servizi molto diverse: 15 prestazioni ogni 100 residenti a Lecce, 3 ad Avellino: autonomia e responsabilità devono essere coniugate insieme, per garantire efficienza, economicità ed equità nelle prestazioni per i cittadini.

Un esercizio di aritmetica (con valenza politica)

“Posso resistere a tutto fuorché alle tentazioni” è aforisma citatissimo di Oscar Wilde: la tentazione con i numeri a disposizione e le sollecitazioni dal testo di Ferrera è stata irresistibile e ha spinto ad un esercizio aritmetico sui numeri della sanità.

Nella tabella iniziale la spesa pro-capite per la sanità è impiegata per un complesso articolato output che è espresso  dal punteggio ottenuto. E allora è stato calcolato – per le regioni soggette a monitoraggio –   il costo medio per punto LEA che oscilla tra gli 8,7 € del Veneto ai 15,9 € del Molise. Si possono individuare quattro gruppi: i campioni dell’efficienza sotto i 9€ (Veneto e Marche), gli efficienti tra 9 e 9,5 € (Lazio, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lombardia, Emilia Romagna, Puglia),  in ritardo sopra 10 € (Liguria, Piemonte, Sicilia, Campania, Basilicata), gli inadempienti con Calabria e Molise.

Costo medio per punto LEA anno 2019 importi in €

 

Ovviamente dovrebbero essere considerati nel calcolo del costo medio fattori correttivi per diseconomie di scala per le regioni troppo piccole, per l’incidenza della popolazione anziana, per la distribuzione territoriale della popolazione e del sistema di mobilità.

L’esercizio che viene sviluppato si fonda sull’assunzione del costo medio sostenuto dal Veneto come frontiera dell’efficienza verso la quale devono muoversi (essere costrette a muoversi) le regioni che ne sono lontane.

Se ogni regione impiegasse le risorse attualmente assegnate avendo lo stesso costo medio del Veneto (8,7 €) quantità e qualità dei servizi garantiti ai cittadini espressi in punti LEA: dai 3.085 punti della situazione attuale si passerebbe, con il recupero in termini di efficienza di spesa, a 3.570 punti LEA, con un progresso di 485 punti.

Nonostante l’evidente miglioramento in tutte le regioni, vi sarebbero due regioni del Centro (Lazio e Marche) e sei del Meridione, quasi al completo, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) nelle quali il benchmark del Veneto (222 punti LEA) non è raggiunto senza aumento della spesa: ai 238 da incremento di efficienza bisogna aggiungerne 88 con assegnazione di fondi aggiuntivi.

La soluzione per garantire i medesimi diritti ai cittadini non è incremento sic et simpliciter di fondi ma, una assegnazione dei fondi che mancano (una stima spannometrica indica 3 miliardi circa per anno) condizionata all’accertato recupero di efficienza, secondo un programma pluriennale concordato tra Governo e regioni. Non si versa altra acqua in un secchio sfondato.

Alle regioni che con la convergenza sulla frontiera dell’efficienza vedono il loro benchmark superare quello del Veneto, dovrebbe essere previso un meccanismo premiale che lascia loro le risorse di cui beneficiano con la facoltà di destinarle ad altro impiego, caso mai prevedendo anche per loro qualche risorsa in più, come incentivo ulteriore.

Se libertà è partecipazione, autonomia è responsabilità.

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10 priorità per rilanciare il Ssn

22/03/18 - Redazione

La Commissione ritiene sia necessario un forte impegno delle politiche per la salute sugli aspetti riassunti nelle seguenti conclusioni.

  1.  il finanziamento del Ssn: le restrizioni imposte alla sanità pubblica, in particolare nelle regioni sotto Piano di Rientro, hanno contribuito, dal 2010 ad oggi, a contenere in modo significativo la spesa sanitaria, ma stanno producendo effetti preoccupanti sul funzionamento dei servizi e sull’assistenza erogata ai cittadini. La Commissione ritiene che, nei prossimi anni, il sistema non sia in grado di sopportare ulteriori restrizioni finanziarie, pena un ulteriore peggioramento della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un deterioramento delle condizioni di lavoro degli operatori. Eventuali margini di miglioramento, sempre possibili, possono essere perseguiti solo attraverso una attenta selezione degli interventi di riqualificazione dell’assistenza, soprattutto in termini di appropriatezza clinica e organizzativa, evitando azioni finalizzate al mero contenimento della spesa, nella consapevolezza che i risparmi conseguibili devono essere destinati allo sviluppo di quei servizi ad oggi ancora fortemente carenti, in particolare nell’assistenza territoriale anche in relazione all’aumento delle patologie cronico-degenerative;
  2. la sostenibilità della spesa privata: la sostenibilità della spesa sanitaria pubblica non può essere approfondita senza affrontare in modo esplicito il suo aspetto speculare, la sostenibilità della spesa privata per la salute, di dimensioni rilevanti, in particolare in alcune settori di assistenza e per molte famiglie già pesantemente colpite dalla crisi economica. Particolare attenzione deve essere riservata alla spesa per le varie forme di protezione integrativa, analizzandone i costi e i benefici (per il singolo cittadino, per la collettività e per le finanze pubbliche), il ruolo nella tutela della salute nonché l’adeguatezza della relativa disciplina a tutela del consumatore di prestazioni sanitarie; è inoltre irrinunciabile un riordino complessivo degli aspetti regolatori e legislativi della sanità integrativa finalizzandola a un concreto sostegno al servizio sanitario;
  3. un piano straordinario di investimenti: la carenza di risorse per gli investimenti costituisce un elemento di grande debolezza per il Ssn: il degrado di molte strutture sanitarie, il mancato rispetto delle norme di sicurezza e l’obsolescenza di alcune dotazioni tecnologiche mettono a rischio la qualità dei servizi oltre che la credibilità delle istituzioni. Un Piano straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie, accuratamente disegnato in modo da evitare i passati insuccessi di alcune regioni, potrebbe costituire un volano per l’occupazione e la crescita, oltre che una occasione per ammodernare il patrimonio del Ssn, soprattutto nelle regioni più fragili. Un aggiornamento dello stato di obsolescenza delle strutture sanitarie pubbliche e della sicurezza delle stesse (per gli operatori e per i pazienti) appare fondamentale in vista di una nuova programmazione degli interventi. La Commissione propone inoltre l’inserimento delle infrastrutture sanitarie fra gli investimenti finanziabili attraverso i finanziamenti europei, a partire dai fondi strategici del piano Juncker;
  4. la ridefizione e il monitoraggio dei Lea: Il complesso sistema di governance del Ssn,che non ha eguali in tutta la Pubblica Amministrazione e che ha anticipato le azioni di revisione della spesa oggi avviate in molti altri settori, ha consentito di ridurre i disavanzi e contrastare i maggiori fattori di inefficienza, ma non ha prodotto altrettanti risultati sul fronte della completezza dell’offerta, dell’accessibilità delle cure e dell’equità del sistema.bLa Commissione ritiene che debba essere garantita l’attuazione in tutto il territorio nazionale dei nuovi Lea, e che l’aggiornamento debba essere assicurato con regolarità e in funzione dei reali bisogni di salute dei pazienti (dati i mutamenti socio-demografici ed epidemiologici di questi ultimi decenni) e secondo i principi della medicina basata sulle evidenze scientifiche, secondo le logiche di Health Technology Assessment. Ritiene inoltre che sia necessaria una robusta revisione degli strumenti di verifica del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in tutte le regioni e in particolare in quelle in Piano di Rientro, innovando nei metodi e nei contenuti, anche in relazione alle nuove evidenze oggi disponibili;
  5. una governance per l’uniformità: nella tutela della salute le diseguaglianze fra regioni e all’interno di una stessa regione sono sempre più inaccettabili, soprattutto in un periodo di grave crisi economica; esse sono inoltre almeno in parte evitabili attraverso l’adozione di specifici programmi di intervento a livello locale, regionale e nazionale. L’obiettivo di una diffusa sanità di buon livello, in cui le eccellenze non si contrappongo alle manchevolezze ma spiccano su una generale buona qualità a disposizione di tutta la popolazione, deve essere considerato una delle priorità per i prossimi anni. La Commissione ritiene opportuno uno specifico sforzo volto a promuovere un sistema organico di strumenti di governance per l’uniformità degli standard dell’offerta sanitaria all’interno del Paese nei diversi aspetti dell’accesso, della completezza e della qualità dell’offerta, degli oneri a carico dei cittadini, degli esiti in termini di salute. A questo riguardo una buona governance del sistema sanitario e sociale, capace di raccogliere le sfide imposte dai tempi, deve necessariamente estendere il proprio ambito di intervento anche alle gravi criticità determinate dalle condizioni di povertà e dalle emergenze ambientali che incidono sulla salute e sui bisogni di assistenza della popolazione;
  6. le risorse umane: i molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno indebolendo il servizio sanitario in tutte le regioni, demotivando e destrutturando la principale risorsa su cui può contare un sistema di servizi alla persona. Un altro aspetto rilevante riguarda il rischio di carenza di professionalità mediche, rischio che per quanto riguarda le professioni infermieristiche è da tempo una certezza,  con conseguenti gravi rischi anche per l’offerta sanitaria: le piramidi per età dei medici del Ssn mettono in evidenza che l’età media è intorno ai 54 anni, mentre l’età media dell’infermiere dipendente è intorno ai 48 anni. Preoccupa l’uso intensivo della forza lavoro, con turni sempre più massacranti, largo impiego di precariato, penalizzazioni economiche e di carriera, fenomeni rilevati anche dall’Europa e dalla Corte di Giustizia europea.La Commissione ritiene urgente la definizione di un piano di programmazione per le risorse umane, che preveda una accurata revisione dei vincoli vigenti introducendo elementi di flessibilità, favorendo l’inserimento di nuove leve di operatori, rimodulando il turn-over, ipotizzando forme di staffetta intergenerazionale, superando il blocco dei contratti (anche solo nella parte normativa);
  7. la formazione: la Commissione ritiene opportuno aprire una fase di verifica e revisione dei percorsi formativi, per l’accesso alle diverse professioni e per l’aggiornamento degli operatori della sanità, guardando ai contenuti, ai soggetti e ai luoghi della formazione, con l’obiettivo di utilizzare al meglio le risorse disponibili (sempre più limitate) e di innalzare la qualità della formazione, in un’ottica di programmazione di medio-lungo periodo del fabbisogno di personale per il sistema di tutela della salute della popolazione. A tal fine è necessaria una maggiore compenetrazione, come ha sentenziato la Corte Costituzionale, tra la missione dell’Università (incentrata prioritariamente, ma non esclusivamente, su formazione e ricerca) e quella del sistema sanitario nazionale (prioritariamente rivolta alla cura e all’assistenza, ma sempre più attenta anche alla ricerca e alla formazione);
  8. dare attuazione alla legge sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. La legge 24/ 2017 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” costituisce un provvedimento di grande rilevanza per la tutela da un lato del paziente nel diritto ad una informazione completa e chiara e al risarcimento del danno in tempi brevi, e dall’altro di tutti i professionisti che operano nel settore e che si impegnano nella realizzazione dell’atto clinico (di per sé rischioso). Migliorare la gestione del rischio clinico, garantire sicurezza ai pazienti e agli operatori, contrastare la medicina difensiva (cioè la tendenza dei medici a prescrivere più esami, visite e farmaci del necessario per scongiurare eventuali procedimenti giudiziari e richieste di risarcimento da parte dei pazienti), assicurare tempi certi e modalità semplificate per dirimere eventuali controversie, promuovere forme di protezione contro il rischio di contenzioso che siano in grado di ridurre i costi per il sistema sanitario e per il professionista sono le sfide che la legge 24/2017 consente di affrontare su una base chiara e di sistema;
  9.  l’informatizzazione e la digitalizzazione della sanità: l’informatizzazione dei sistemi sanitari e le nuove tecnologie digitali contribuiscono ad aumentare l’efficienza e l’efficacia del sistema e favoriscono la personalizzazione delle cure. Soluzioni tecnologiche nell’ambito dell’eprescription, ebooking, mobilità, FSE e cloud possono consentire inoltre una maggiore accessibilità e un migliore monitoraggio dei pazienti (anche a distanza) nonché una maggiore integrazione tra gli operatori che possono valutare con maggiore appropriatezza gli interventi di cura lungo tutto il percorso di cura del paziente. In questa logica assume rilevanza anche il dossier farmaceutico che, essendo parte integrante dell’Fse, può consentire il governo della spesa agevolando l’attuazione della pharmaceutical care. Il Patto sulla sanità digitale in fase di elaborazione e previsto nel Patto per la salute 2014-2016, può essere certamente un documento importante di indirizzo strategico per i sistemi sanitari regionali ma occorre mantenere una regia a livello centrale che possa garantire una progettazione unitaria su standard condivisi, una valutazione attraverso indicatori di processo e di risultato nonché il monitoraggio e il supporto all’implementazione; su tali temi la Commissione ritiene che si debba procedere con maggiore tempestività, evitando le debolezze e le inconcludenze che hanno contraddistinto molti degli interventi passati;
  10. legalità e trasparenza: nonostante la crescente attenzione, il sistema sanitario deve ancora dotarsi, sul piano culturale ed etico – oltre che tecnico-amministrativo, di un insieme organico di strumenti volti a promuovere l’integrità del settore, per sua natura particolarmente esposto al rischio di contaminazioni da fenomeni di abuso di potere, frodi, corruzione. Formazione culturale e informazione devono divenire prassi diffuse a tutti i livelli, compreso quello politico-decisionale. Non si tratta solo di combattere la corruzione: si tratta di lavorare per l’integrità in tutte le sue forme, dal mancato rispetto dei diritti dei cittadini (la prima forma di illegalità) alla sicurezza dei luoghi di cura, dai conflitti di interesse ai contratti di fornitura, dal caos amministrativo al rispetto dei contratti di lavoro. La valutazione delle performance delle aziende sanitarie non può prescindere dal monitoraggio di elementi propri della trasparenza e della legalità. Particolare attenzione dovrà essere dedicata, e non solo nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro, alle connessioni fra disavanzi di bilancio, disordine amministrativo, qualità degli apparati tecnici, corruzione politica e condizionamenti della criminalità organizzata; a tal fine si ritiene debbano essere individuati specifici strumenti per il “rientro nella legalità” con riferimento alle aziende sanitarie interessate da commissariamento o gravi fenomeni di corruzione.

(Dall’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del SSN – Senato della Repubblica – documento pubblicato il 10/01/2018)

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