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disuguaglianze

La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

27/09/22 - Redazione

Nel 2019 la spesa per i servizi sociali dei Comuni in Italia è stata pari allo 0,42% del PIL, arrivando a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media). Grandi sono le differenze territoriali che non sembrano però seguire un pattern Nord-Sud: la spesa sociale provinciale per abitante dei Comuni singoli e associati al netto della compartecipazione degli utenti e del SSN è stata di 583 euro per la provincia di Bolzano e solo 6 per quella Vibo Valentia.

Le analisi relative al 2019 indicano un trend di spesa leggermente positivo, al netto delle compartecipazioni, pari a +0,48%, che passa così da 7,472 a 7,508 miliardi di euro (+35,9 milioni). Si tratta di un valore inferiore al tasso di inflazione. È una spesa peraltro che è sostanzialmente analoga a quella reale di 10 anni prima, nonostante i fenomeni di incremento della domanda sociale, con persistenti marcate divergenze regionali ed anche infra-regionali. Tale trend non è omogeneo sul territorio italiano, anzi, ci sono territori che retrocedono. In 42 aree provinciali si infatti è registrato un decremento della spesa sociale.

Le aree di intervento che assorbono la maggior parte della spesa sociale sono tre: Famiglia e minori, Disabili e Anziani. Nel 2018 per la prima si sono spesi circa 2,8 miliardi euro, pari al 37,9% della spesa dei Comuni; per la seconda circa 2 miliardi, pari al 26,8%; per la terza circa 1,3 miliardi, pari al 17,2%. Le spese per l’assistenza domiciliare risultano modeste: meno della metà di quella complessiva investita per l’area anziani e meno di 1/6 per l’area disabili.

Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto “I servizi sociali territoriali: una analisi per territorio provinciale”, redatto dall’Osservatorio Nazionale sui Servizi Sociali Territoriali del CNEL realizzato in collaborazione con ISTAT sul database informativo 2018 e i trend di spesa 2019. Le analisi sono state svolte dal gruppo di lavoro composto dai consiglieri CNEL Gianmaria Gazzi, Alessandro Geria (coordinatori), Giordana Pallone, Cecilia Tomassini ed Efisio Espa, dal prof. Emanuele Padovani dell’Università di Bologna coadiuvato dal dott. Matteo Bocchino di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Aziendali, e dalla dott.ssa Giulia Milan di ISTAT.

Presentando la ricerca, Geria e Gazzi hanno spiegato come siano necessario “portare a compimento con urgenza il processo di definizione normativa di tutti i livelli essenziali (LEPS) previsto nelle due ultime Leggi di Bilancio, e definirne di ulteriori per minorenni e ragazzi”. Inoltre “le evidenze relative alla rete dei servizi socio-sanitari per gli anziani e tutti gli altri soggetti fragili e non autosufficienti che emergono dal Rapporto attestano la necessità di approvare la riforma organica di sistema dell’assistenza di lungo periodo, attesa da un ventennio e ora prevista dal PNRR per la primavera 2023”.

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L’articolo originale è stato pubblicato su Percorsi di Secondo welfare a questa pagina:

La spesa sociale dei Comuni è la stessa di 10 anni fa

 

Archiviato in:Evidenza, News, Studi e ricerche Contrassegnato con: anziani, disuguaglianze, Franca Maino, Istat, non autosufficienza, Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, welfare

Sanità, buona ma diseguale

22/03/18 - Luciano Pallini

L’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane[1] ha dedicato un focus alle disuguaglianze nella sanità a livello regionale.

Come è ampiamente noto, i fattori principali delle disuguaglianze sono legati

  1. al contesto, sia riferiti al sistema (risorse a disposizione del Servizi sanitario nazionale, la sua organizzazione ed efficacia, etc. ) sia al contesto di vita (livello di deprivazione, grado di urbanizzazione, capitale sociale del territorio di residenza etc.).
  2. agli individui, sia di natura biologica (genere, l’età e patrimonio genetico) sia di natura socioeconomica (titolo di studio, condizione professionale, livello di reddito).

Senza entrare nel merito della gerarchia delle determinanti delle disuguaglianze, il focus documenta le disuguaglianze osservate nel nostro Paese mettendole in relazione con i principali fattori individuali e di contesto, avendo ben presenti i vincoli di finanza pubblica cui anche il settore della sanità è assoggettato: va anche detto che queste differenze sono riscontrabili, in misura differenziata, anche negli altri paesi europei.

Gli indicatori evidenziano l’esistenza di sensibili divari di salute sul territorio, come testimoniato dai dati sulla speranza di vita alla nascita: in Campania è di 78,9 anni per gli uomini e di 83,3 anni per le donne, nella Provincia Autonoma di Trento per gli uomini è 81,6 anni e per  le donne 86,3.

Tra il 2005 e il 2016 i dati ci dicono che Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale, con  la Campania, la Calabria e la Sicilia che peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni.

A livello sociale, la speranza di vita è di 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea (tra le donne: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate).

Anche le condizioni di cronicità risentono delle differenze sociali: nella classe 45-64 anni, è il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati .

Il rapporto mette in evidenza come i divari di salute siano  “particolarmente preoccupanti quando sono cosi legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni”.

L’obesità ad esempio  che costituisce uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti ed il 12,5% del quinto più povero della popolazione  a fronte del  9% di quello più ricco, ma conta anche il contesto familiare, come il livello di istruzione della madre per i figli: il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata.

Alle disuguaglianze di salute si accompagnano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica, attraverso le rinunce , da parte dei cittadini, alle cure o prestazioni sanitarie a causa dell’impossibilità di pagare il ticket per la prestazione, impattando così  in misura significativa sulla capacità di prevenire la malattia, o sulla tempestività della sua diagnosi.

Ad esempio, nella classe di età 45-64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati.

Il focus approfondisce le disuguaglianze di salute nel confronto con alcuni altri Paesi dell’Unione Europea, distinguendoli a secondo dei due principali modelli sanitari adottati, il Beveridge e il Bismarck.

Nel Modello Bismarck, ovvero sistema di social health insurance o  sistema mutualistico, il bene Salute, garantito dallo Stato, è un diritto dei cittadini nei limiti della copertura assicurativa sociale (compartecipazione dei lavoratori e dei datori di lavoro).

Nel Modello Beveridge, ovvero sistema finanziato con la fiscalità generale, il bene Salute, garantito dallo Stato, mediante accesso universalistico gratuito attraverso la fiscalità generale.

 

Tab. 1: Percentuale di persone che dichiarano di stare male o molto male nella classe di età 25-64

Licenza media laurea ed oltre differenza
Bismarck (sistemi mutualistici)
Paesi Bassi 18,1 3,2 14,9
Svizzera 10,7 1,7 9,0
Lussemburgo 14,6 1,5 13,1
Germania 17,3 2,9 14,4
Austria 17,1 3,5 13,6
Beveridge (fiscalità generale)
Norvegia 12,1 2,9 9,2
Finlandia 9,5 1,6 7,9
Danimarca 17,1 4,4 12,7
Islanda 10,8 2,2 8,6
Svezia 6,9 2,4 4,5
Italia 9,7 3,1 6,6

Fonte: Eurostat

 

Dai dati emerge che le disuguaglianze maggiori rispetto al livello di istruzione si riscontrano per i sistemi sanitari di tipo mutualistico, dove si osserva che la quota di persone che sono in cattive condizioni di salute è di quasi 13-14  punti percentuali più elevata tra coloro che hanno titoli di studio più bassi (fa eccezione la Svizzera dove è di 9 punti percentuali).

Tra i paesi del modello Beveridge l’Italia mostra non solo  il livello di disuguaglianza minore dopo la Svezia con 6,6 punti percentuali di differenza tra i meno e i più istruiti ma anche una percentuale tra le più contenute ai livelli di istruzione più bassi, il 9,7%, rispetto al quale fa meglio la sola Svezia.

“Questa evidenza ci spinge a dire che, nonostante i divari appena rilevati, il modello italiano è, comunque, tra i migliori, anche in considerazione della maggiore longevità di cui godono i nostri concittadini” così sintetizza l’Osservatorio.

Che il servizio sanitario italiano rientri nel gruppo dei migliori al mondo lo mostra  lo mostra la tabella 2  che mostra la classifica nella mortalità prematura da malattie croniche dove il nostro paese con il 9,4% è preceduto soltanto da Svizzera (8,7%), Giappone (8,8%), Australia (8,9%) e Svezia (9,1%).

 

[1] Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Istituto di Sanità Pubblica – Sezione di Igiene, Università Cattolica del Sacro Cuore (Largo Francesco Vito, 1 – 00168 Roma. Tel. 06-3015.6807/6808); osservasalute@unicatt.it – www.osservatoriosullasalute.it

 

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Approfondimenti specialistici

long term care

I modelli europei di Long Term Care dopo il Covid

10/10/22 - Redazione

Un rapporto dell’European Social Policy Network elaborato da Emmanuele Pavolini illustra le sfide poste dalla pandemia ai sistemi di Long Term Care in Europa. Il documento, come segnalato da Percorsi di secondo welfare nell’articolo che qui segnaliamo, analizza le variabili strutturali che caratterizzano i vari modelli, l’intensità dell’intervento pubblico e la correlazione tra assistenza continuativa e rischio di povertà ed esclusione sociale per i non autosufficienti.

Long Term Care

Operatore RSA ai tempi del coronavirus

11/04/20 - Barbara Atzori

Gli aspetti psicologici da tenere in considerazione a proposito del lavoro dell’operatore RSA ai tempi del coronavirus. Da affrontare, in questo particolare momento, riconoscendo e condividendo emozioni e timori, anche con i colleghi.

pet therapy

In tema di pet therapy

27/12/18 - Prof. Marco Ricca

Dal rapporto di empatia tra l’uomo e gli animali un grande miglioramento nelle condizioni fisiche, comportamentali, psicologiche ed emotive delle persone anziane, e anche un potente antidoto contro la solitudine. Tanto che la pet therapy è riconosciuta dal Ssn.

Validation Therapy caregiver

Validation, tornare al passato per ritrovare il presente

22/03/18 - Dr.ssa Giuseppina Carrubba

La Validation therapy nasce dall’intuizione di una psicologa americana, Naomi Feil. Capì che per l’anziano disorientato tornare al passato poteva ridare un senso al presente e che alcune tecniche di comunicazione interpersonale studiate ad hoc potevano essere utili a comunicare con lui.

memoria

La memoria: fascino e cruccio

6/02/18 - Prof. Marco Ricca

Anche per la perdita di memoria, che Eschilo definì la “madre di ogni saggezza”, la diagnosi precoce svolge un ruolo fondamentale. Per correre ai ripari, specie in caso di significative amnesie, esistono terapie ad hoc e speciali mnemotecniche.

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Notiziario di utilità scientifiche e culturali
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Registrato al Tribunale di Pistoia al n. 409 del 9 marzo 2018.


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